Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 10 novembre 2015, n.5103

Le ex IPAB non sono fondazioni pubbliche in quanto mancano alcuni
degli elementi essenziali perché possano essere considerate
tali, ovvero del requisito 'teleologico' nonché del
requisito della 'influenza dominante' necessari, ai sensi
dell' art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163 del 2006, ai fini della
qualificazione giuridica quale organismo di diritto
pubblico. (Ciò nel caso di specie in quanto, della
Fondazione in questione, i componenti del Consiglio di amministrazione
erano di nomina sindacale e non del Comune, oltre al fatto che le
rette degli ospiti erano a carico degli stessi, con l'intervento
dell'ente locale, nella sola ipotesi degli obblighi connessi alla
spedalità).

Sentenza 26 ottobre 2015, n.4898

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso deve intendersi incapace,
nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status
giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli
obblighi connessi) in quanto privo dell'indefettibile condizione
della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento
configura quale connotazione "ontologica" essenziale
dell'atto di matrimonio.
Ciò premesso, occorre
esaminare il regime positivo della trascrivibilità negli atti
dello stato civile del matrimonio omosessuale laddove sia contratto
all'estero. Al riguardo, si può rilevare come la
trascrizione di tali matrimoni sia impedita all'ufficiale di stato
civile per il difetto della condizione relativa alla
“dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente
in marito e moglie”, prevista dall’art.64, comma 1, lett.
e), d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), quale
condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile (così
come dall’art.16, d.P.R. cit., rubricato “Matrimonio
celebrato all’estero”, che utilizza, evidentemente, la
dizione “sposi” nell’unica accezione codicistica,
codificata all’art.107 c.c., di marito e moglie). Una volta
accertata l’inesistenza, alla stregua dell’ordinamento
positivo, di un diritto alla trascrizione dei matrimoni omosessuali
celebrati all’estero (e, quindi, la legittimità della
circolare del Ministro dell’interno che la vieta), occorre
verificare se il titolo rivendicato dagli originari ricorrenti possa
essere affermato in esito ad un’operazione ermeneutica imposta
dal rispetto di principi costituzionali o enunciati in convenzioni
internazionali. La compatibilità del divieto, in Italia, di
matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga, come
logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati
all’estero) è già stata scrutinata ed affermata
dalla Corte Costituzionale (Corte
Cost., sent. 11 giugno 2014, n.170
; sent. 15 aprile
2010, n.138
; ordinanze n. 4 del 2011 e n.276 del 2010), che ha
chiarito come la regolazione normativa censurata risulti, per un
verso, compatibile con l’art.29 della Costituzione
(contestualmente interpretato come riferito alla nozione civilistica
di matrimonio tra persone di sesso diverso) e, per un altro, conforme
alle norme interposte contenute negli artt.12 della CEDU e 9 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (d’ora
innanzi Carta di Nizza), nella misura in cui le stesse rinviano
espressamente alle legislazioni nazionali, senza vincolarne i
contenuti, la disciplina dell’istituto del matrimonio,
riservandosi l’eventuale delibazione
dell’incostituzionalità di disposizioni legislative che
introducono irragionevoli disparità di trattamento delle coppie
omosessuali in relazioni ad ipotesi particolari (per le quali si
impone il trattamento omogeneo tra le due tipologie di
unioni). 
Tanto rilevato occorre accertare se, tra i
poteri assegnati al Prefetto, resti o meno incluso quello di annullare
gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem
la trascrizione. Reputa il Collegio che la potestà in
questione debba intendersi implicata dalle funzioni di direzione,
sostituzione e vigilanza. A ben vedere, infatti, se si negasse al
Prefetto la potestà in questione, la sua posizione di
sovraordinazione rispetto al Sindaco (allorchè agisce come
ufficiale di governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire
l’osservanza delle direttive impartite dal Ministro
dell’interno ai Sindaci e, in definitiva, ad impedire
disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei
registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di
contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine.
Ne consegue,
in definitiva, l’accoglimento dell’appello del Ministero
e, in riforma del capo di decisione impugnato, l’integrale
reiezione del ricorso di primo grado contro il provvedimento con cui
il Prefetto (nel caso di specie di Roma) ha annullato le trascrizioni
dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero dagli originari
ricorrenti.


In Olir.it: cfr. Consiglio di
Stato, Sez. III, sentenze nn. 4897-4899 del 26 ottobre 2015

Sentenza 26 ottobre 2015, n.4897

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso deve intendersi incapace,
nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status
giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli
obblighi connessi) in quanto privo dell'indefettibile condizione
della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento
configura quale connotazione "ontologica" essenziale
dell'atto di matrimonio.
Ciò premesso, occorre
esaminare il regime positivo della trascrivibilità negli atti
dello stato civile del matrimonio omosessuale laddove sia contratto
all'estero. Al riguardo, si può rilevare come la
trascrizione di tali matrimoni sia impedita all'ufficiale di stato
civile per il difetto della condizione relativa alla
“dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente
in marito e moglie”, prevista dall’art.64, comma 1, lett.
e), d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), quale
condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile (così
come dall’art.16, d.P.R. cit., rubricato “Matrimonio
celebrato all’estero”, che utilizza, evidentemente, la
dizione “sposi” nell’unica accezione codicistica,
codificata all’art.107 c.c., di marito e moglie). Una volta
accertata l’inesistenza, alla stregua dell’ordinamento
positivo, di un diritto alla trascrizione dei matrimoni omosessuali
celebrati all’estero (e, quindi, la legittimità della
circolare del Ministro dell’interno che la vieta), occorre
verificare se il titolo rivendicato dagli originari ricorrenti possa
essere affermato in esito ad un’operazione ermeneutica imposta
dal rispetto di principi costituzionali o enunciati in convenzioni
internazionali. La compatibilità del divieto, in Italia,
di matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga,
come logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati
all’estero) è già stata scrutinata ed affermata
dalla Corte Costituzionale (Corte
Cost., sent. 11 giugno 2014, n.170
; sent. 15 aprile
2010, n.138
; ordinanze
n. 4 del 2011
e n.276 del 2010), che ha chiarito come la
regolazione normativa censurata risulti, per un verso, compatibile con
l’art.29 della Costituzione (contestualmente interpretato come
riferito alla nozione civilistica di matrimonio tra persone di sesso
diverso) e, per un altro, conforme alle norme interposte contenute
negli artt.12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea (d’ora innanzi Carta di Nizza), nella
misura in cui le stesse rinviano espressamente alle legislazioni
nazionali, senza vincolarne i contenuti, la disciplina
dell’istituto del matrimonio, riservandosi l’eventuale
delibazione dell’incostituzionalità di disposizioni
legislative che introducono irragionevoli disparità di
trattamento delle coppie omosessuali in relazioni ad ipotesi
particolari (per le quali si impone il trattamento omogeneo tra le due
tipologie di unioni).
Tanto rilevato occorre accertare se, tra i
poteri assegnati al Prefetto, resti o meno incluso quello di annullare
gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem
la trascrizione. Reputa il Collegio che la potestà in questione
debba intendersi implicata dalle funzioni di direzione, sostituzione e
vigilanza. A ben vedere, infatti, se si negasse al Prefetto la
potestà in questione, la sua posizione di sovraordinazione
rispetto al Sindaco (allorchè agisce come ufficiale di
governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire
l’osservanza delle direttive impartite dal Ministro
dell’interno ai Sindaci e, in definitiva, ad impedire
disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei
registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di
contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine.
Ne consegue,
in definitiva, l’accoglimento dell’appello del Ministero
e, in riforma del capo di decisione impugnato, l’integrale
reiezione del ricorso di primo grado contro il provvedimento con cui
il Prefetto (nel caso di specie di Roma) ha annullato le trascrizioni
dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero dagli originari
ricorrenti.


In Olir.it: cfr. Consiglio di Stato, Sez.
III, sentenze nn. 4898-4899 del 26 ottobre 2015

Sentenza 26 ottobre 2015, n.4899

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso deve intendersi incapace,
nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status
giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli
obblighi connessi) in quanto privo dell'indefettibile condizione
della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento
configura quale connotazione "ontologica" essenziale
dell'atto di matrimonio.
Ciò premesso, occorre
esaminare il regime positivo della trascrivibilità negli atti
dello stato civile del matrimonio omosessuale contratto
all'estero. Al riguardo, si può rilevare come la
trascrizione di tali matrimoni sia impedita all'ufficiale di stato
civile per il difetto della condizione relativa alla
“dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente
in marito e moglie”, prevista dall’art.64, comma 1, lett.
e), d.P.R. 3 novembre 2000, n.396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), quale
condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile (così
come dall’art.16, d.P.R. cit., rubricato “Matrimonio
celebrato all’estero”, che utilizza, evidentemente, la
dizione “sposi” nell’unica accezione codicistica,
codificata all’art.107 c.c., di marito e moglie). Una volta
accertata l’inesistenza, alla stregua dell’ordinamento
positivo, di un diritto alla trascrizione dei matrimoni omosessuali
celebrati all’estero (e, quindi, la legittimità della
circolare del Ministro dell’interno che la vieta), occorre
verificare se il titolo rivendicato dagli originari ricorrenti possa
essere affermato in esito ad un’operazione ermeneutica imposta
dal rispetto di principi costituzionali o enunciati in convenzioni
internazionali. La compatibilità del divieto, in Italia, di
matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga, come
logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati
all’estero) è già stata scrutinata ed affermata
dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. 11
giugno 2014, n.170
; sent. 15 aprile
2010, n.138
; ordinanze n. 4 del 2011 e n.276 del 2010), che ha
chiarito come la regolazione normativa censurata risulti, per un
verso, compatibile con l’art.29 della Costituzione
(contestualmente interpretato come riferito alla nozione civilistica
di matrimonio tra persone di sesso diverso) e, per un altro, conforme
alle norme interposte contenute negli artt.12 della CEDU e 9 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (d’ora
innanzi Carta di Nizza), nella misura in cui le stesse rinviano
espressamente alle legislazioni nazionali, senza vincolarne i
contenuti, la disciplina dell’istituto del matrimonio,
riservandosi l’eventuale delibazione
dell’incostituzionalità di disposizioni legislative che
introducono irragionevoli disparità di trattamento delle coppie
omosessuali in relazioni ad ipotesi particolari (per le quali si
impone il trattamento omogeneo tra le due tipologie di unioni).
Tanto rilevato occorre accertare se, tra i poteri assegnati al
Prefetto, resti o meno incluso quello di annullare gli atti dello
stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la
trascrizione. Reputa il Collegio che la potestà in questione
debba intendersi implicata dalle funzioni di direzione, sostituzione e
vigilanza. A ben vedere, infatti, se si negasse al Prefetto la
potestà in questione, la sua posizione di sovraordinazione
rispetto al Sindaco (allorchè agisce come ufficiale di
governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire
l’osservanza delle direttive impartite dal Ministro
dell’interno ai Sindaci e, in definitiva, ad impedire
disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei
registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di
contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine.
Ne consegue,
in definitiva, l’accoglimento dell’appello del Ministero
e, in riforma del capo di decisione impugnato, l’integrale
reiezione del ricorso di primo grado contro il provvedimento con cui
il Prefetto (nel caso di specie di Roma) ha annullato le trascrizioni
dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero dagli originari
ricorrenti.


n Olir.it: cfr. Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenze nn. 4897-4898 del 26 ottobre 2015

Parere 28 agosto 2015, n.1048

La specificità ed eccezionalità della disciplina
concernente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi
esclude che si possa ritenere che, allo stato della attuale normativa,
in mancanza di una disposizione esplicita, le fonti normative
prevedano la facoltà di conversione del permesso di soggiorno
rilasciato per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi di
lavoro.

Sentenza 18 maggio 2015, n.2517

Il Collegio rileva che il “sostegno al reddito” serve a
garantire agli studenti meno abbienti l’acquisto di libri e
altri essenziali strumenti scolastici mentre la “integrazione al
reddito” fa parte di una misura più complessa, si
affianca al “buono scuola” che serve per compensare il
pagamento della retta di frequenza. E’ innegabile, tuttavia,
che, pur con tale valenza integrativa, non si giustifica la
differenziazione se le misure hanno le stesse funzioni, e cioè
l’acquisto dei libri e di altri strumenti scolastici. E’
evidente pertanto che se entrambe le misure del “sostegno al
reddito” e della “integrazione al reddito”
soddisfano le stesse esigenze, conseguenzialmente non è
corretto né logico prevedere, nel primo caso, la misura da euro
60 a euro 290 e, nel secondo caso, da euro 400 a euro 950 (che si
aggiungono a integrare il buono scuola), quasi che il beneficio
compensativo per l’acquisto degli strumenti scolastici debba
essere di gran lunga molto maggiore per gli studenti che frequentano
scuole per le quali pagano una retta rispetto agli altri studenti che
non la pagano.

Ordinanza 09 aprile 2015

Sembra condivisibile la censura di disparità di trattamento
sotto il profilo economico tra la PMA omologa e quella eterologa,
stante l’incontestata assunzione a carico del s.s.r. lombardo
– salvo il pagamento di ticket – della prima,
nonché tenuto conto che, da un lato, quanto al diritto alla
salute inteso come comprensivo anche della salute psichica oltre che
fisica, “non sono dirimenti le differenze tra PMA di tipo
omologo ed eterologo” e, dall’altro lato, quanto agli
aspetti normativi ed organizzativi, “l’art. 7 della legge
n. 40 del 2004, il quale offre base giuridica alle Linee guida emanate
dal Ministro della salute, «contenenti l’indicazione delle
procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita», avendo ad oggetto le direttive che devono essere
emanate per l’esecuzione della disciplina e concernendo il genus
PMA, di cui quella di tipo eterologo costituisce una species,
è, all’evidenza, riferibile anche a questa, come lo sono
altresì gli artt. 10 ed 11, in tema di individuazione delle
strutture autorizzate a praticare la procreazione medicalmente
assistita e di documentazione dei relativi interventi” (cfr.
Corte cost. N. 162/2014).

Sentenza 27 ottobre 2011, n.5778

L'art. 71, comma 1, lett. c – bis, della L.R. 11 marzo 2005 n. 12,
così come inserito dall'art. 12 della L.R. 21 febbraio 2011
n. 3, ha ricondotto nella categoria delle "attrezzature di
interesse comune per servizi religiosi… gli immobili (comunque)
destinati a sedi di associazioni, società o comunità di
persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità
statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione,
all'esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di
preghiera, scuole di religione o centri culturali". In tale
contesto, pertanto, la trasformazione – inoppugnabilmente avvenuta nel
caso di specie – del preesistente "negozio" in luogo
preminentemente adibito a culto non può che richiedere, anche
per la concomitantemente contestata realizzazione al piano
seminterrato di un tavolato interno, il rilascio del titolo edilizio
abilitante al mutamento della destinazione d'uso dei relativi
locali.

Ordinanza 05 febbraio 2015, n.5888

Accolta la sospensiava relativa l’efficacia di parte del decreto
del commissario ad acta per la Sanità nel Lazio, con il quale
si prevedeva che anche i medici obiettori di coscienza operanti nei
consultori della regione fossero obbligati a rilasciare la
certificazione necessaria per l’interruzione volontaria di
gravidanza.