Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 27 ottobre 2014, n.5320

Le esenzioni dai contributi concessori spettano nei casi previsti
dalla legge quando è rilasciato un atto abilitativo, comunque
denominato, in attuazione di una previsione urbanistica:
l’autorità che pianifica il territorio, nel prevedere le
varie destinazioni, può così determinare quali somme
possano essere successivamente pagate, nella fase di attuazione dello
strumento urbanistico. Quando invece si è in presenza di un
immobile abusivo, non spetta alcuna esenzione: può spettare una
riduzione degli oneri – in sede di rilascio di una sanatoria o
di un condono – solo nei casi espressamente previsti dalla
legge. Tale principio è stato applicato nel caso di specie
(realizzazione di un edificio, poi destinato al culto, sine titulo
cioè emanato per volontà privata senza alcuna previsione
specifica del piano urbanistico), ritenendo applicabile unicamente la
riduzione prevista dall’art. 34, comma 7, lett. c), della legge
n. 47 del 1985 (ovvero riduzione di un terzo dell’oblazione
qualora l'opera abusiva sia destinata ad attività sportiva,
culturale o sanitaria, o ad opere religiose o a servizio di culto).

Sentenza 02 settembre 2014, n.4460

La decisione terapeutica ha nel consenso informato e
nell’autodeterminazione del paziente il suo principio e la sua
fine, poiché è il paziente, il singolo paziente, e non
un astratto concetto di cura, di bene, di
“beneficialità”, il valore primo ed ultimo che
l’intervento medico deve salvaguardare. Ciò non deve
naturalmente comportare un pericoloso soggettivismo curativo o un
relativismo terapeutico nel quale è “cura” tutto
ciò che il singolo malato vuole o crede, perché
nell’alleanza terapeutica è e resta fondamentale
l’insostituibile ruolo del medico nel selezionare e
nell’attuare le opzioni curative scientificamente valide e
necessarie al caso, ma solo ribadire che la nozione statica e
“medicale” di salute, legata cioè ad una dimensione
oggettiva e fissa del benessere psicofisico della persona, deve cedere
il passo ad una concezione soggettiva e dinamica del concreto
contenuto del diritto alla salute, che si costruisce nella continua e
rinnovata dialettica medico-­paziente, di modo che tale contenuto,
dal suo formarsi, al suo manifestarsi sino al suo svolgersi,
corrisponda effettivamente all’idea che di sé e della
propria dignità, attraverso il perseguimento del proprio
benessere, ha il singolo paziente per realizzare pienamente la sua
personalità, anzitutto e soprattutto nelle scelte, come quelle
di accettare o rifiutare le cure, che possono segnarne il destino.
Indubbiamente l’affermazione di un principio, come quello del
diritto alla salute e del consenso informato, non può non tener
conto che esso, oltre ad essere un diritto assoluto e inviolabile e,
come tale, efficace erga omnes e, in particolare, nei riguardi del
medico, è anche un diritto soggettivo pubblico o diritto
sociale che, nella dinamica del suo svolgersi e del suo concreto
attuarsi, ha per oggetto una prestazione medica che ha quali necessari
e primari interlocutori le strutture sanitarie e, in primo luogo, il
Servizio Sanitario Nazionale. Esso ha una natura ancipite, per
così dire, ed è un diritto che ha una indubbia valenza
privatistica, in quanto massima ed inviolabile espressione della
personalità individuale, ma anche una innegabile connotazione
pubblicistica, perché può e deve, se lo richiede la sua
soddisfazione, trovare adeguata collocazione e necessaria attuazione
all’interno del servizio sanitario, non potendo dimenticarsi che
la salute, anche nella declinazione personalistica che è venuta
ad assumere nel nostro ordinamento, è pur sempre, insieme,
diritto fondamentale dell’individuo e interesse della
collettività (art. 32 Cost.). Ora proprio la vicenda qui in
esame è esemplare di tale stretta e vitale interrelazione,
interrelazione che radica la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. A fronte del diritto, inviolabile, che il paziente ha,
e – nel caso di specie – si è visto dal giudice
ordinario definitivamente riconosciuto, di rifiutare le cure,
interrompendo il trattamento sanitario non (più) voluto, sta
correlativamente l’obbligo, da parte dell’amministrazione
sanitaria, di attivarsi e di attrezzarsi perché tale diritto
possa essere concretamente esercitato, non potendo essa contrapporre a
tale diritto una propria nozione di prestazione sanitaria né
subordinare il ricovero del malato alla sola accettazione delle cure.
Non può dunque l’Amministrazione sanitaria sottrarsi al
suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero, anche di
quello che rifiuti un determinato trattamento sanitario nella
consapevolezza della certa conseguente morte, adducendo una propria ed
autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che, in
termini di necessaria beneficialità, contempli e consenta solo
la prosecuzione della vita e non, invece, l’accettazione della
morte da parte del consapevole paziente.

IN
OLIR.it: Sentenza TAR Lombardia 26 gennaio 2009, n. 214

Sentenza 21 novembre 2013, n.5523

L’articolo 21 comma 1 della legge regionale Emilia-Romagna n. 31
del 2002 prevede che il certificato di agibilità abbia la
funzione di attestare che l’opera realizzata corrisponda al
progetto approvato e possieda le condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità e risparmio energetico prescritte dalla legge. Tale
certificato (secondo comma) è necessario per tutte le opere di
nuova costruzione, ristrutturazione edilizia e urbanistica, mentre se
ne può prescindere solo per opere minori, supplendo solo in tal
caso l’autocertificazione. Nella fattispecie (demolizione e
ricostruzione dei muri interni, redistribuzione dei vani, ampliamento
della superficie del 40%, con ampliamento della zona destinata al
culto) gli interventi hanno certamente raggiunto la “soglia
della ristrutturazione” e in tal senso si è reso
necessario un nuovo certificato di conformità edilizia.

Sentenza 05 luglio 2013, n.361441

La possibilità – sancita dal punto 1°, della parte I dell’articolo
R. 214-70 del Codice rurale e della pesca marittima – di derogare
all’obbligo di stordimento previo alla macellazione, quando questo
è incompatibile con la macellazione rituale, non si presta a generare
abusi che integrino l’ipotesi di maltrattamento degli animali ai
sensi dell’articolo L. 214-3 del medesimo codice, poiché il ricorso
alla deroga è sottoposto a un meccanismo di autorizzazione preventiva
soggetto al controllo del giudice amministrativo.  La deroga così
inquadrata ha lo scopo di conciliare gli obiettivi di polizia
sanitaria con l’uguale rispetto delle credenze e tradizioni
religiose ed è coerente con il principio di laicità, che impone alla
Repubblica di garantire il libero esercizio dei culti. La disposizione
non viola, inoltre, il principio di uguaglianza, che autorizza
l’autorità investita del potere regolamentare a disciplinare in
maniera differente situazioni differenti o a derogare
all’uguaglianza per ragioni di interesse generale, a patto che la
differenza di trattamento che ne risulta sia in rapporto diretto con
l’oggetto della norma che la stabilisce e non sia manifestamente
sproporzionata rispetto ai motivi che la giustificano. Infine, la
deroga all’obbligo di stordimento è in linea con il dettato del
regolamento (CE) n. 1099/2009 sulla protezione degli animali al
momento della macellazione, il quale consente di derogare allo
stordimento preventivo degli animali macellati secondo un metodo
prescritto da un rito religioso, a condizione che ciò avvenga in un
macello.  [La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del
documento e la stesura del relativo Abstract Mariagrazia Tirabassi,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza]

Sentenza 15 febbraio 2013, n.347049

Le cerimonie tradizionali delle “Ostensions”, che si svolgono nella
zona di Limoges, sono state per anni sovvenzionate da fondi comunali.
Ciò risulta contrario, ad avviso del Conseil d’Etat, alla legge del 9
dicembre 1905, detta “Loi de separation”, che vieta il sostegno e il
finanziamento dei culti. Le Ostensions, pur avendo anche un carattere
popolare e culturale, sono attività di culto; inoltre, sono
organizzate da associazioni che, pur non essendo costituite come
“associations cultuelles” ai sensi della legge del 1905, svolgono
attività religiose e sono orientate all’organizzazione e messa in
atto di cerimonie (Stella Coglievina).

Les cérémonies des ostensions septennales revêtent, en
elles-mêmes, un caractère cultuel, alors même, d’une part, qu’elles
ont acquis un caractère traditionnel et populaire et qu’elles ont
aussi un intérêt culturel et économique et, d’autre part, qu’en
marge des processions elles-mêmes, sont organisées des
manifestations à caractère culturel ou historique. Par suite,
illégalité au regard des dispositions de l’article 2 de la loi du 9
décembre 1905 concernant la séparation des Eglises et de l’Etat de
délibérations d’un conseil municipal octroyant des subventions dont
il n’était pas soutenu qu’elles aient eu un objet et aient été
accordées selon des modalités conformes aux exigences rappelées par
la jurisprudence Fédération de la libre pensée et de l’action
sociale du Rhône s’agissant de l’octroi d’une subvention à une
association qui, sans constituer une association cultuelle au sens du
titre IV de la même loi, a des activités cultuelles, et qui se
rapportaient directement à ces cérémonies cultuelles [fonte:
www.legifrance.gouv.fr].

Sentenza 14 febbraio 2012, n.880

Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14 febbraio 2002, n. 880: "Laicità dello Stato e finanziamenti pubblici in favore delle scuole private".                         IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE                                 (SEZIONE QUARTA)                            ha pronunciato la seguente                                                                          DECISIONE                                sul ricorso iscritto al NRG 615897, proposto da Regione EmiliaRomagna in persona del Presidente pro tempore, rappresentato […]

Parere 13 novembre 2012, n.4802

Consiglio di Stato. Parere 8-13 novembre 2012, n. 4802: "Ministero dell'economia e delle finanze. Schema di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, recante regolamento da adottare ai sensi dell’art. 91-bis, comma 3, del d.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 e integrato dall’art. 9, comma […]

Parere 04 ottobre 2012, n.4180

Consiglio di Stato. Parere 4 ottobre 2012, n. 4180: "Schema di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, recante regolamento avente ad oggetto la determinazione delle modalità e delle procedure per stabilire il rapporto proporzionale tra le attività svolte con modalità commerciali e le attività complessivamente svolte dagli enti non commerciali di cui all’art. 73, […]

Parere 02 maggio 2012, n.2064

Per antica consuetudine, che trova radice nella storia, l’ente
CAPPELLA DEL TESORO DI SAN GENNARO IN NAPOLI è oggi sottratto
all’applicazione della normativa in tema di fabbricerie di cui alla
l. 20 maggio 1985 n. 222 (art. 72) e relativo regolamento
d’attuazione (d.P.R. 13 febbraio 1987, n. 33). Per quanto qui più
specificatamente interessa, lo statuto (approvato con R.d. 7 giugno
1894) ed il regolamento (adottato con d.M. 23 gennaio 1926) della
Cappella disciplinano in modo del tutto peculiare, rispetto a quanto
previsto dall’art. 35 del d.P.R. 33/87, la composizione e la
procedura di nomina dei membri dell’organo che amministra l’ente.
Trovandosi ora nell’improcrastinabile necessità di procedere ad un
rinnovo statutario, l’ente rappresenta L’ESIGENZA pregiudiziale di
“CHIARIRE LA PROPRIA NATURA GIURIDICA”. Il Consiglio di Stato è
dunque investito della questione dal Ministero dell’Interno.
DUE SONO LE POSIZIONI che si confrontano avanti all’Alto Consesso.
Per un verso l’ente Cappella ritiene, in forza di una “obiettiva
disamina degli eventi che son all’origine della nascita e vita”
dello stesso, di essere collocabile nel novero degli ENTI FONDAZIONALI
MORALI DI NATURA PUBBLICISTICA: la “peculiarità identitaria … e
l’atipicità dei connotati … lo sottraggono ad ogni referibilità
alla disciplina pattizia di cui alla legge n. 222/85 e, quindi,
all’accostamento analogico alla figura giuscanonistica delle
fabbricerie”. Per il verso opposto il Ministero richiedente il
parere rappresenta come gli scopi perseguiti dall’ente, individuati
dall’art. 12 dello statuto nella “amministrazione dei beni della
Cappella e nomina del personale della Cappella e della Chiesa, del
Duomo, dell’Oratorio nella Villa alle Due Porte e della
Segreteria”, coincidano con gli scopi propri delle fabbricerie
indicati dall’art. 37 d.P.R. 33/87. Tale coincidenza di scopo,
finalità e funzioni farebbe della Cappella una FABBRICERIA E, COME
TALE, UN ENTE DI “NATURA ESSENZIALMENTE PRIVATISTICA” (secondo
quanto riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato in un precedente
parere – n. 289 del 28 settembre 2000).
Nella sua valutazione ricognitiva della natura della Cappella, il
Consiglio di Stato rileva anzitutto come tale soggetto giuridico sia
effettivamente caratterizzato da un’origine ed una storia del tutto
particolari dalle quali è discesa per l’ente un’atipicità
amministrativa e regolatoria che sopravvive ancora oggi. Nel compiere
questo rilievo viene però contestualmente riconosciuto come tale
atipicità trovasse la propria giustificazione nell’esigenza di
garantire all’ente, nel quadro degli ordinamenti precedenti a quello
attuale, l’autonomia e l’integrità del patrimonio necessarie per
l’attuazione delle proprie specifiche finalità. Oggi, mutato
l’assetto socio-economico-culturale, ci si deve domandare se tale
esigenza possa e debba ancora giustificare una regolamentazione
particolare per la Cappella.
L’ESATTA INDIVIDUAZIONE DELLA NATURA GIURIDICA DELL’ENTE in
questione – proseguono i consiglieri di Palazzo Spada – DEVE
DERIVARE piuttosto DA UN’ATTENTA VALUTAZIONE DELLE ATTIVITÀ SVOLTE:
SE, come risulta in effetti per la Cappella, LE ATTIVITÀ DI UN ENTE
COINCIDONO CON LE FINALITÀ PROPRIE PERSEGUITE DALLE FABBRICERIE (ART.
37 D.P.R. 33/87), ESSO DOVRÀ NECESSARIAMENTE ESSERE FATTO RIENTRARE
NELLA CONFIGURAZIONE COMUNE DELLA FABBRICERIA E AD ESSO DOVRÀ ESSERE
APPLICATA LA NORMATIVA GENERALE IN MATERIA. Nè potranno essere
sufficienti a sottrarre l’ente da tale applicazione antiche
tradizioni storiche che non trovano più ragion d’essere
nell’attuale assetto storico-economico-culturale.
Peraltro – conclude il Consiglio di Stato – NEL RISPETTO DELLA
PACIFICA APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA GENERALE (in materia di
fabbricerie) SI DOVRÀ TENERE OPPORTUNAMENTE CONTO, IN SEDE DI
REVISIONE DELLO STATUTO, DELLA TRADIZIONE STORICA E DELL’ATIPICITÀ
DELLA CAPPELLA, bilanciando così l’esigenza primaria del rispetto
dell’applicazione della normativa generale e comune con quella, pur
rilevante, del mantenimento, ove compatibile, delle tradizioni
storico-culturali.

[La Redazione di OLIR.it ringrazia per la stesura dell’Abstract il
dott. Alessandro Perego]

Sentenza 12 marzo 2012, n.1366

I contrassegni, per essere ricusati, debbono possedere un significato
religioso univoco e costituire un richiamo immeditato e diretto per la
popolazione che abbia a riferimento quel credo religioso. La natura
inequivocabilmente religiosa del simbolo va apprezzata avendo riguardo
alla simbologia, agli strumenti di comunicazione (verbale e non
verbale), alle tematiche aventi carattere religioso che l’immagine
è capace di manifestare in relazione al momento attuale ovvero nella
contemporaneità. La natura religiosa di una “rappresentazione”
(cioè della “riproduzione” semiologica) va quindi necessariamente
definita in base alla sua evoluzione storico-sociale, e non già in
base all’intera possibile espansione della “sfera
culturale-religiosa” accumulata nella storia (Nel caso di specie, il
giudice adito ha ritenuto che la riproduzione della figura di San
Giorgio, presa isolatamente e senza alcuna indicazione, acquisti il
valore anonimo del cavaliere medievale, risultando cioè un richiamo
ad un contenuto ideale, che ha oggettivamente perduto, nel contesto
storico-culturale contemporaneo, una diretta e immediata connotazione
religiosa).