Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 12 giugno 2014, n.33203/08

The Court reiterates that the right of believers to freedom of
religion, which includes the right to manifest one’s religion in
community with others, encompasses the expectation that believers will
be allowed to associate freely, without arbitrary State intervention.
A decision to dissolve a religious community amounts to an
interference with the right to freedom of religion under Article 9 of
the Convention interpreted in the light of the right to freedom of
association enshrined in Article 11.

Sentenza 12 giugno 2014, n.56030/07

In OLIR.it: Press Release
issued by the Registrar of the Court


Con la presente sentenza, la Grand Chamber della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo, confermando una decisione della III
Sezione, ha ritenuto che la Spagna non abbia violato l’art. 8
CEDU nel negare il rinnovo del contratto annuale di insegnamento della
religione cattolica in una scuola statale, affidato ad un sacerdote
che, perso lo stato clericale e dispensato dal celibato, aveva
contratto matrimonio civile ed avuto cinque figli e che aveva
pubblicamente aderito e sostenuto il Movimento Pro-Celibato
Opcional.

Nel giudizio di bilanciamento tra il rispetto
della vita privata e familiare del ricorrente di cui all’art. 8
CEDU e la tutela della libertà religiosa della Chiesa
cattolica, ex art. 9 CEDU, la Corte ha ritenuto legittima la
limitazione della prima, a favore della seconda, avendo verificato il
ricorrere dei tre presupposti che consentono tale limitazione: la
previsione di legge, la necessità di essa in una società
democratica e la proporzionalità.
In particolare,
con riferimento alla previsione di legge, ha rilevato come la
disciplina dell’insegnamento della religione cattolica sia
regolato dal Concordato ed il mancato rinnovo del contratto di
insegnamento fosse ben prevedibile dal ricorrente quale conseguenza
della sua condotta.
Quanto, invece, alla limitazione della
vita privata e familiare del ricorrente come necessaria in una
società democratica, i Giudici di Strasburgo hanno tra
l’altro affermato che, «per rimanere credibile, una
religione deve essere insegnata da una persona la cui condotta di vita
e le cui dichiarazioni pubbliche non siano apertamente in contrasto
con la religione in questione, specialmente quando si suppone che la
religione regoli la vita privata e le credenze personali dei suoi
seguaci». Hanno, dunque, ritenuto che la protezione da parte
dello Stato dell’autonomia della confessione religiosa importi
anche la tutela di tale dovere di fedeltà.
Per
ciò che concerne, infine, la proporzionalità della
sanzione, la Corte ha preliminarmente rilevato come il ricorrente si
era posto volontariamente in una situazione incompatibile col
magistero della Chiesa, ed ha ritenuto che nel caso di specie non vi
potesse essere una misura meno restrittiva del mancato rinnovo
dell’insegnamento che potesse avere la stessa efficacia nel
preservare la credibilità della Chiesa.

Sentenza 08 aprile 2014

Con la presente sentenza la seconda sezione della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che l’Ungheria abbia
violato gli artt. 9 e 11 CEDU nell’adottare una legislazione sul
riconoscimento delle confessioni religiose che ha privato le
confessioni ricorrenti dello status di cui godevano nella
vigenza della precedente legislazione e dei correlativi diritti.

In particolare, la Corte di Strasburgo ha statuito per la prima volta
che sussiste, in capo agli Stati, un obbligo positivo (positive
obligation
) di adottare un sistema di riconoscimento giuridico
delle comunità religiose che faciliti l’acquisizione
della personalità giuridica da parte di queste, precisando che
gli artt. 9 e 11 CEDU non garantiscono tuttavia il diritto ad ottenere
un determinato status.
È stato, inoltre,
statuito che l’art. 9 CEDU non attribuisce alle comunità
religiose il diritto ad ottenere sovvenzioni dallo Stato ma, allo
stesso tempo, pone un obbligo in capo a quest’ultimo di adottare
una legislazione non discriminatoria ove intenda accordare a
confessioni religiose contributi o altri vantaggi.
Nel
caso di specie i Giudici hanno ritenuto non compatibile con gli artt.
9 e 11 CEDU la legge ungherese n. CCVI del 2011 nella misura in cui ha
previsto due livelli di riconoscimento delle comunità religiose
(chiese giuridicamente riconosciute e organizzazioni svolgenti
attività religiose), attribuendo certi vantaggi solo alle
prime, ed ha degradato le confessioni religiose ricorrenti dallo
status di chiese, goduto nella vigenza della legislazione
previgente, a quello di organizzazioni svolgenti attività
religiose, disponendo altresì che lo status di chiesa
giuridicamente riconosciuta possa essere ottenuto solo previa
approvazione del Parlamento nazionale, col voto favorevole di due
terzi dei suoi componenti.
[La Redazione di OLIR.it ringrazia
per la segnalazione del documento e la stesura del relativo Abstract
Mattia F. Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore]

Sentenza 17 marzo 2014, n.14150/08

Le requérant est un ressortissant moldave né en 1973. Il
purge actuellement une peine de vingt-cinq ans d’emprisonnement
à la prison (Roumanie). Invoquant en particulier
l’article 9 (liberté de pensée, de conscience et
de religion), il se plaignait du fait que pendant sa détention
à la prison de Rahova d’avril à mai 1998 et du 9
au 21 février 2009, les autorités de la prison avaient
refusé de lui fournir l’alimentation
végétarienne imposée par ses convictions
bouddhistes.

Sentenza 04 marzo 2014, n.7552/09

Con questa sentenza, la Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo ha ritenuto che il Regno Unito non abbia violato gli
artt. 9 e 14 della CEDU adottando una legislazione che prevede
un’esenzione dall’imposta locale sugli immobili, in forma
totale per gli edifici di culto aperti al pubblico, e parziale (nella
misura dell’80 %) per gli edifici di culto e le altre
proprietà di confessioni religiose che, utilizzate per scopi di
charity, non siano aperti al pubblico.
La Corte di
Strasburgo ha, inoltre, riaffermato che la legislazione tributaria
può essere scrutinata sotto il profilo dell’art. 9 CEDU,
poiché gli oneri da essa derivanti sono idonei ad incidere
sull’esercizio del diritto di libertà religiosa
(richiamando sul punto la sentenza
Association Les Témoins de Jéhovah c. France, n.
8916/05, 30 giugno 2011
).
Nella fattispecie la Corte
si è pronunciata sul ricorso proposto dalla Chiesa di
Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, che lamentava la
mancata esenzione totale dall’imposta locale sugli immobili del
tempio di Preston, negata dall’amministrazione finanziaria in
ragione del fatto che l’accesso a tale tempio – secondo il
magistero mormone  – è riservato ai soli fedeli che
dispongano della necessaria raccomandazione.

Sentenza 07 gennaio 2014, n.77/07

In the case of Cusan and Fazzo v. Italy (application no. 77/07), which
is not final (during the three-months period following its delivery,
any party may request that the case be referred to the Grand Chamber
of the Court), the European Court of Human Rights held, by a majority,
that there had been: a violation of Article 14 (prohibition of
discrimination) of the European Convention on Human Rights, taken
together with Article 8 (right to respect for private and family) of
the Convention. The case concerned a challenge to transmission of the
father’s surname to his children. The Court held that the
decision to name a child based on transmission of the father’s
surname was based solely on discrimination on the ground of the
parents’ sex, and was incompatible with the principle of
non-discrimination [fonte: www.echr.coe.int – Press
release].

Sentenza 09 luglio 2013, n.2330/09

Con la presente sentenza, la _Grand Chamber_ della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, in riforma di una decisione della III Sezione (31
gennaio 2012)
[/areetematiche/documenti/documents/caseofsindicatulpastorulcelbunv.romaniasezione.pdf],
ha ritenuto che la Romania non abbia violato l’art. 11 CEDU nel non
riconoscere come sindacato il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_,
un’organizzazione sindacale costituita principalmente da sacerdoti
appartenenti alla Chiesa ortodossa rumena, oltre che da laici
dipendenti della stessa, la cui costituzione non era stata assentita
dall’autorità ecclesiastica (come, invece, richiesto dallo Statuto
della medesima Chiesa). In particolare, la Corte di Strasburgo ha
affermato che – a prescindere dalla qualificazione giuridica del
rapporto intercorrente tra la Chiesa ortodossa rumena ed i suoi preti
– tale rapporto, _de facto_, fa sorgere in capo a quest’ultimi un
diritto ad associarsi sindacalmente, protetto dall’art. 11 CEDU. Il
Collegio, tuttavia, ha ritenuto legittima una restrizione di tale
diritto, in considerazione del fatto che il riconoscimento del
sindacato ricorrente avrebbe comportato una violazione
dell’autonomia della Chiesa ortodossa rumena, garantita dall’art.
9 CEDU. Nel motivare la sua decisione, la Corte ha affermato che il
rispetto dell’autonomia delle confessioni religiose implica che lo
Stato debba accettare il diritto di tali confessioni a reagire –
secondo le proprie norme ed i propri interessi – a ogni movimento di
dissenso che emerga al loro interno e che possa mettere a repentaglio
la coesione, l’immagine o l’unità della confessione religiosa.
Ha, quindi, soggiunto che non è compito delle autorità nazionali
fungere da arbitro delle controversie tra le confessioni religiose e
le diverse fazioni dissidenti che esistono, o possono emergere,
all’interno delle confessioni stesse. I Giudici hanno, quindi,
ritenuto che sussista per i sacerdoti della Chiesa ortodossa rumena un
diritto ad iscriversi a, o a costituire, associazioni, purché queste
perseguano finalità compatibili con lo Statuto della medesima Chiesa
e non mettano in discussione la tradizionale struttura gerarchica
della Chiesa e le sue procedure decisionali. In conclusione, la Corte,
evidenziata l’assenza di un _consensus_ in materia a livello
europeo, ha ritenuto che sussista un ampio margine di apprezzamento da
parte dei diversi Stati nel decidere se riconoscere o meno i sindacati
che operano all’interno delle confessioni religiose e che perseguono
finalità che potrebbero limitare l’esercizio dell’autonomia delle
stesse confessioni. Nel caso specifico ha ritenuto che la Romania non
abbia oltrepassato tale margine di apprezzamento nel non riconoscere
il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_ e che, pertanto, la
restrizione dell’art. 11 CEDU non sia stata sproporzionata. [La
Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento e per
la stesura del relativo Abstract Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano]

Sentenza 06 giugno 2013, n.1585/09

The Court declared the complaints about Article 8 and Article 14 (read
in conjunction with Article 8) admissible and the rest of the
application inadmissibly. The Court further held that the respondent
State should pay the applicants damages (The case regards the
disclosure of Jehovah’s Witnesses’ medical files following their
refusal of blood transfusions).