Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 24 ottobre 2006, n.1725

Le rappresentazioni satiriche sul sito internet eretico.com che, allo
scopo di denunciare le posizioni della dottrina cattolica in materia
di morale sessuale, hanno ad oggetto il Pontefice, non integrano il
reato di cui all'art. 403 c.p. comma 2 come modificato dalla legge
n. 85/2006 (Offese alle confessioni religiose attraverso vilipendio di
ministri di culto). Perché si integri il reato, infatti, in
adesione alla teoria della cd "dannosità sociale" –
che circoscrive l'area della tutela penale conformemente ai
principi dello Stato laico e secolarizzato – è necessario
accertare che la condotta vilipendiosa, legittimamente punibile, abbia
determinato un pregiudizio sociale effettivo, previa valutazione degli
altri interessi coinvolti, non bastando la mera indignazione sociale.
Nel caso in esame il P. M. pur avendo preso di mira simboli e persone
rappresentative della religione cattolica non ha offeso il sentimento
religioso, inteso come l'insieme dei valori etico-spirituali
qualificanti la confessione, ma ha criticato, attraverso la satira, la
posizione della Chiesa-istituzione nei confronti
dell'omosessualità e della sessualità. Inoltre, la
circostanza che il sito si chiamasse www.eretico.com, è un
motivo per ritenere che vi si collegassero solo coloro che erano
effettivamente interessati o incuriositi da vignette, testi, giochi
elettronici satirici nei confronti della religione cattolica e delle
sue personalità maggiormente rappresentative, cioè
soggetti che difficilmente potevano sentirsene feriti o offesi.
Diversamente è a dirsi per la raffigurazione nel sito del
cursore animato del Papa che si masturba, inserito nella sezione
gadgets del 19/7/2000, in relazione al quale non si ritiene di
ravvisare alcun elemento di irrisione costruttiva, direttamente o
indirettamente riconducibile nell'alveo della libera
manifestazione del pensiero, perché finalizzato alla gratuita
mostra di un aspetto della vita sessuale del Pontefice. Con
riferimento a tale condotta, tuttavia, il Tribunale ritiene non
integrato l'elemento soggettivo dell'intenzione di
vilipendere, circa la chiara esclusione della volontà di
ridicolizzare il Papa o ferire il sentimento religioso, e del mero
intento ludico e irridente della rappresentazione.

Sentenza 22 maggio 2007, n.100

Il diritto di critica giornalistica e il diritto di cronaca possono
essere esercitati anche quando ne derivi una lesione all’altrui
reputazione, purché vengano rispettati determinati limiti,
individuati dalla giurisprudenza a) nella verità della notizia
pubblicata; b) nell’utilità sociale dell’informazione in relazione
all’attualità e rilevanza dei fatti narrati (c.d. pertinenza) e c)
nell’esigenza che l’informazione sia mantenuta nei limiti della
obiettività o serenità e in una forma espositiva corretta (c.d.
continenza), in modo che siano evitate gratuite aggressioni all’altrui
reputazione. Ciò rilavato, l’agente può in particolare invocare
l’esimente del diritto di cronaca, sotto il profilo putativo, solo se
abbia provato di avere riscontrato, con ogni possibile cura, la
verità dei fatti che si accingeva a narrare, al fine di vincere ogni
dubbio o incertezza intorno a essi, e ciò nonostante sia incorso
nell’errore di ritenere che tali fatti fossero veri. Nessuna efficacia
scriminante può invece riconoscersi all’errore in cui il soggetto
incorra per non aver riscontrato la verità del fatto, stante che in
questo caso il suo errore attiene a un elemento normativo, vertendo
sulla liceità del comportamento e derivando da una inesatta
conoscenza dei propri obblighi e dei presupposti normativi del diritto
di informazione (nel caso di specie, l’imputato – autore di un volume
sull’Islam in Italia – invocava quale esimente dell’utilizzo di alcune
espressioni dispregiative nei confronti della persona offesa,
l’esercizio putativo del diritto di cronaca, affermando che “a livello
di opinione pubblica quello di S. è da anni un personaggio discusso e
controverso”).

Sentenza 21 maggio 1994, n.126

I volantini e le immagini raffiguranti il Pontefice, utilizzate
durante il “Meeting anticlericale” di Fano, non integrano gli
estremi dell’offesa alla religione dello Stato mediante il
vilipendio di persone. Il suddetto materiale propagandistico evidenzia
un intento di puro dileggio a persona in quanto titolare dì un
determinato ufficio (e nel caso di specie concretizza un’offesa al
Sommo Pontefice). Nulla emerge per altro, che possa essere ritenuto
offensivo della religione di Stato, dato che le allusioni polemiche
contenute nel materiale incriminato sono, astrattamente e in ipotesi
condivisibili anche da persone di sicura fede cattolica.

Sentenza 04 febbraio 1963

Oggetto specifico della tutela penale in ordine ai reati previsti
dagli articoli 402, 403, 404 e 405 del codice penale è il pubblico
interesse di proteggere la religione cattolica apostolica romana,
quale istituzione dello Stato, considerata in se stessa, nelle sue
credenze fondamentali, indipendentemente dalle sue manifestazioni
esteriori, diversamente da quanto è stabilito per i culti ammessi
nello Stato. Costituisce vilipendio della religione dello Stato il
riportare su manifestini a stampa, poi affissi, brani isolati di
chiare e ortodosse affermazioni di fede degli Apostoli, di Evangelisti
e di Padri della Chiesa, in tale guisa che il loro genuino significato
possa essere facilmente frainteso, e il voler determinare chi legge a
non dare assolutamente credito alla Chiesa Cattolica, la quale avrebbe
creato una religione del tutto estranea al vero Cristianesimo avendone
tradito lo spirito e l’essenza, insinuando tra l’altro
nell’animo dei lettori – fedeli la certezza che molti sacramenti
sarebbero stati arbitrariamente inventati dalle gerarchie
ecclesiastiche cattoliche.

Ordinanza 03 ottobre 1980

Per la punibilità del delitto di vilipendio della religione dello
Stato considerata quale entità astratta ed indipendentemente dallo
sue manifestazioni esteriori è necessario che l’agente sia
consapevole della idoneità della sua condotta e si proponga proprio
il raggiungimento di siffatto scopo. (Nel caso di specie, il Pretore
ha peraltro assolto gli imputati in quanto non ha ritenuto sussistenti
nella fattispecie gli elementi psicologici indispensabili per ritenere
commesso il reato previsto e punito dall’art. 402 del codice penale,
e cioè sia il dolo generico, inteso come volontà libera e cosciente
nonché intenzione di commettere il fatto e sia il dolo specifico,
inteso come fine di vilipendere espressamente il patrimonio dogmatico
della religione cattolica).

Sentenza 15 dicembre 2005, n.622

La decisione da parte di un magistrato di astenersi dal tenere udienze
per la presenza del crocifisso in aula integra gli estremi del reato
di omissione di atti di ufficio di cui all’art. 328 c.p.. Il mancato
espeltamento della funzione giurisdizionale, infatti, non può essere
legittimato da un preteso bilanciamento – ed ancora meno dal prevalere
– delle esigenze discendenti dalla legittima tutela della libertà
religiosa o di coscienza sul dovere di adempimento delle fuzioni
proprie della magistratura. L’obbligo di esercizio di queste ultime
deve dunque essere assolto in via primaria ed il rifiuto ripetutamente
manifestato nei confronti dell’espeltamento delle stesse deve pertanto
ritenersi illegittimo.

Sentenza 14 giugno 2005

I delitti previsti dagli artt. 403 e 404 c.p. puniscono l’offesa
alla religione mediante, rispettivamente, vilipendio di persone o di
cose che formino oggetto di culto. In particolare, il vilipendio è
ravvisabile nell’offesa volgare e grossolana, che si concreta in
atti che assumono caratteri evidenti di dileggio, derisione e
disprezzo; con riferimento alle cose che formino oggetti di culto,
può estrinsecarsi non solo in atti materiali di disprezzo, ma anche
in espressioni verbali. L’elemento psicologico di tali delitti è il
dolo generico, ossia la volontà di commettere il fatto con la
consapevolezza della sua idoneità a vilipendere. Integra, pertanto,
gli estremi del reato di cui all’art. 403 c.p. la condotta di colui
che, nel corso di una trasmissione televisiva, abbia definito la
Chiesa cattolica come “un’associazione a delinquere” ed il Papa
come “un signore extracomunitario che capeggia la chiesa” ed un
“abile doppiogiochista”, posto che i riferimenti in questione –
oltre ad essere rivolti all’istituzione della Chiesa in sé – si
estendono ai suoi esponenti, per ruolo dagli stessi rivestito, con
effetti chiaramente offensivi. Integra, inoltre, il reato di offesa
alla religione mediante vilipendio di cose, il riferimento al
crocifisso come “cadavere in miniatura”, in quanto tale
definizione spoglia la croce del suo significato simbolico religioso,
riducendola ad una beffarda definizione anatomica.

Sentenza 01 ottobre 2001

L’art. 404 c.p. punisce l’offesa alla religione commessa “mediante
vilipendio di cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al
culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto”.
Sin da epoca risalente, l’elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale individua le cose che “formano oggetto di culto”
in quelle verso cui il culto si tributa, la quali sono pertanto
adorate ed oggetto di preghiera per il fatto di rappresentare o
simboleggiare l’essenza divina: si tratta delle immagini sacre, del
crocifisso, ecc. La natura mobile o immobile, la commerciabilità o
meno delle cose, l’avvenuta consacrazione o benedizione delle stesse
sono invece indifferenti, < > – secono la dottrina – <>. Tra le
“cose consacrate al culto” vengono ricomprese quelle (chiese,
altari, calici, tabernacoli, ecc.) che hanno ricevuto il particolare
atto rituale della consacrazione del vescovo o benedizione del
sacerdote, atto che sottrae la cosa ad ogni uso profano o improprio.
Infine, “cose necessariamente destinate all’esercizio del culto”
sono quelle che, non appartenenti alle altre due categorie, sono
comunque necessarie per lo svolgimento della liturgia o del rito sacro
(paramenti, stendardi, ceri, ecc.). Secondo la pacifica
interpretazione della dottrina, inoltre, il vilipendio può essere
commesso non solo con atti materiali, ma anche con parole o qualunque
altro mezzo idoneo; è invece imprescindibile che la condotta sia
posta in essere direttamente sopra o verso la cosa in questione, e
comunque in sua presenza. Nell’accertamento della sussistenza del
reato di cui all’art. 404 c.p. non può dunque in alcun modo
prescindersi dalla presenza – quale oggetto della condotta di
vilipendio – di una cosa che sia realmente ed effettivamente oggetto
di culto o consacrata, ovvero destinata all’esercizio del culto, con
l’ulteriore precisazione, quanto a tale ultima categoria, che detta
destinazione sia attuale e non solo possibile. (Nel caso di specie,
concernente la produzione cinematografica dal titolo “Totò che
visse due volte”, non è stata dimostrata la riconducibilità di
alcuno degli oggetti impiegati nelle riprese – croci, statue, edicole
votive, ecc. – all’una o all’altra delle categorie di “cose”
di cui all’art. 404, nel senso tecnico sopra precisato, ma queste
ultime sono per contro risultate oggetti fabbricati durante la
produzione ovvero noleggiati presso negozi specializzati).

Sentenza 20 marzo 2000

La condotta di invasione arbitraria ai fini dell’art. 633 c.p. deve
essere supportata dall’elemento soggettivo caratterizzato dal dolo
specifico di “occupare o comunque trarre profitto” dal bene
invaso: non è, quindi, dato di confondere i concetti di “invasione
arbitraria” e di “occupazione”, considerati separatamente dal
legislatore e riferiti a due elementi diversi del reato, e cioè
rispettivamente a quello della condotta vietata ed a quello
dell’elemento psicologico. L’occupazione in sé, e cioè il mero
permanere invito domino in un determinato bene, pur ovviamente
rimanendo un comportamento censurabile in sede civile, non rileva ai
fini dell’elemento oggettivo del reato, integrato invece dalla mera
invasione arbitraria. Ne consegue che il reato non ricorre laddove si
sia in presenza di una “occupazione invito domino” da parte di chi
sia già nel possesso del bene o comunque che vi sia acceduto senza
porre in essere la condotta di invasione.
Per l’integrazione del reato di turbamento di funzioni religiose ai
sensi dell’art. 405 c.p., come pure dell’art. 406 c.p., occorre
l’impedimento attivo dell’esercizio concreto di una funzione
religiosa, non bastando il solo fatto dell’invasione di una
basilica, specie se di grandi dimensioni. Si richiede, altresì, ai
fini dell’elemento soggettivo, che l’agente abbia l’intenzione
di cagionare il turbamento.
La norma amministrativa di cui all’art. 26 quarto comma della legge
8 agosto 1977, n. 513 deve ritenersi speciale rispetto a quella di cui
all’art. 633 c.p., perché si riferisce ad una categoria di bene
(alloggi di edilizia residenziale pubblica invece che “terreni o
edifici pubblici o privati”) e ad una condotta (non una generica
invasione arbitraria, ma la più specifica mancanza di autorizzazione
da parte dell’ente gestore del bene) più ristretta di quella
penale.

Sentenza 07 marzo 1963, n.1020

Tribunale di Roma. Sezione IV penale. Sentenza 7 marzo 1963, n. 1020. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giorno 7 del mese di marzo 1963 IL TRIBUNALE DI ROMA – SEZ. IV composto dai signori Magistrati: Dr. Semeraro Giuseppe – Presidente, Dr. Testi Carlo estensore, Dr. Bilardi Luigi – Giudici, con l’intervento del […]