Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Gennaio 2005

Circolare 01 marzo 1999, n.28

Conferenza Episcopale Italiana. Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici e per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica. Circolare 1 marzo 1999, n. 28: “Indirizzi per la definizione della condizione giuridica delle confraternite”

(Omissis)

1. Questo Comitato ha presentato agli Ecc.mi Vescovi con la circolare n. 15, fin dal 30 giugno 1987 una completa esposizione circa la condizione giuridica delle confraternite in Italia, evidenziando tre tipologie:
A) confraternite aventi fine di culto civilmente riconosciuto;
B) confraternite aventi fine di assistenza e beneficenza;
C) confraternite aventi fine di culto non ancora riconosciuto formalmente.
Appare ora necessario, anche alla luce degli sviluppi del quadro normativo e giurisprudenziale intervenuti successivamente, ritornare sull’argomento con la presente circolare.

A) Confraternite aventi fine di culto civilmente riconosciuto

2. Le confraternite dei primo tipo sono enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e devono necessariamente essere iscritte nel registro delle persone giuridiche tenuto dalla cancelleria del Tribunale civile del capoluogo della provincia in cui hanno sede.
Le curie diocesane sono invitate a controllare che tutte le confraternita per le quali esiste il decreto di riconoscimento del fine prevalente o esclusivo di culto siano effettivamente iscritte nel suddetto registro.
Nel caso che una confraternita abbia cessato di fatto l’attività, non abbia più neppure un confratello o comunque non sia in grado di eleggere gli organi statutari, il Vescovo diocesano deve nominare un commissario a norma del can. 318, § 1 del codice di diritto canonico, perché provveda all’iscrizione nel registro e agli altri atti amministrativi, governando la confraternita per un tempo determinato.
E’ noto che le persone giuridiche sono, per loro natura, perpetue (can. 120, § 1). Considerato peraltro che le confraternita sono associazioni di fedeli, per le quali la presenza di soci costituisco un elemento essenziale, è bene che il Vescovo diocesano proceda alla soppressione della confraternita “quiescente”, ai sensi dello stesso canone citato, qualora non ravvisi la possibilità di adesione di nuovi soci in un ragionevole spazio di tempo, senza attendere la scadenza del termine dei “centum annorum” previsto dalla medesima disposizione canonica come causa estintiva.
La devoluzione dei patrimonio deve essere disposta secondo le indicazioni (e con la procedura) stabilite dall’art. 20 delle Norme approvate con il Protocollo stipulato tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede il 15 novembre 1984: vale a dire, in favore dei destinatari previsti dalla volontà dei disponenti o dallo statuto della confraternita stessa, o, in mancanza di specifiche previsioni, in favore dell’ente immediatamente superiore ai sensi dei can. 123 (cioè della Diocesi), fatti sempre salvi gli eventuali diritti acquisiti.

B) Confraternite aventi fine di assistenza e beneficenza

3. Le confraternite aventi fine prevalente di assistenza e beneficenza sono equiparate alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), regolate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 (la c.d. legge Crispi) e successive modificazioni. Esse, in quanto persone giuridiche pubbliche nell’ordinamento italiano, non possono e non devono essere iscritte nel registro delle persone giuridiche private.
Negli ultimi anni si sono verificate rilevanti novità legislative e giurisprudenziali in materia di IPAB. La Corte costituzionale con sentenza n. 396 del 7 aprile 1988 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1 della citata legge Crispi, nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere, assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tutti i requisiti di una istituzione privata.
A seguito di tale sentenza il Governo ha emanate con D.P.C.M. 16 febbraio 1990 una direttiva in materia alle regioni, precisando che: “Sono riconosciute di natura privata quelle istituzioni che continuino a perseguire le proprie finalità nell’ambito dell’assistenza, in ordine alle quali sia alternativamente accertato:
a) il carattere associativo;
b) il carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati;
c) l’ispirazione religiosa” (art. 1, comma terzo).
Tali indirizzi sono stati recepiti in diverse leggi regionali.
A seguito della citata sentenza della Corte costituzionale e delle successive leggi regionali recentemente diverse IPAB hanno assunto la personalità giuridica di diritto privato.
I principi ispiratori dell’Accordo di revisione del Concordato dei 18 febbraio 1984 fanno sorgere un’incompatibilità tra l’appartenenza di un’associazione all’ordinamento confessionale e la sua qualifica di ente pubblico nell’ordinamento statale. Per questa ragione è opportuno che tutte le confraternite qualificate come IPAB chiedano la personalità giuridica di diritto privato nell’ordinamento italiano, avvalendosi della possibilità derivante dal ricordato intervento della Corte Costituzionale e facendo riferimento alle disposizioni procedurali che molte regioni hanno emanato.
E’ bene, tra l’altro, ricordare che gli indirizzi di politica legislativa emergenti dal disegno di legge in materia di riforma dei servizi socio-assistenziali presentato dal Governo al Parlamento vanno nella direzione del superamento della figura delle IPAB attraverso l’obbligatoria trasformazione in fondazione di diritto privato o in azienda comunale.

4. Per quanto riguarda l’ordinamento canonico si pone il problema se le confraternite aventi fine di beneficenza debbano essere considerate associazioni di fedeli pubbliche o private.
Le confraternite fino all’entrata in vigore del nuovo codice erano qualificate come persone giuridiche pubbliche: non solo perché il codice pio-benedettino non prevedeva le associazioni private, ma anche per la ragione specifica che esse avevano come fine l’incremento dei culto pubblico e non potevano essere erette so non con formale decreto dell’autorità ecclesiastica competente (cf. cann. 707-708 del codice del 1917).
Il codice di diritto canonico del 1983 ha introdotto la distinzione tra associazioni pubbliche e private; ciò comporta la possibilità di qualificare come associazioni private dì fedeli talune confraternite che in passato erano state qualificate pubbliche, sempreché esse abbiano le connotazioni proprie dell’associazione privata (cf cann. 298-311 e 321- 326).
Le confraternite, avendo per norma come fine anche l’incremento del culto pubblico (cf can. 707, § 2 del codex 1917), in linea con la tradizione dovrebbero essere qualificate come associazioni pubbliche di fedeli (cf can. 301). Fanno eccezione in Italia le confraternite che non hanno scopo esclusivo o prevalente di culto, per la precisa ragione che nell’ordinamento canonico vige la norma pattizia per cui esse sono soggette alla pubblica amministrazione (ora alla regione) per quanto riguarda l’organizzazione e l’amministrazione (art. 71, comma primo, delle Norme approvate con il Protocollo dei 15 novembre 1984: “Le confraternite non aventi, scopo esclusivo o prevalente di culto continuano ad essere disciplinate dalla legge dello Stato, salva la competenza dell’autorità ecclesiastica per quanto riguarda le attività dirette a scopi di culto”; cf art. 17 legge 27 maggio 1929, n. 848). Se queste confraternite non sono soggette all’Ordinario per quanto riguarda l’organizzazione e l’amministrazione, appare conveniente che nell’ordinamento canonico non siano considerate associazioni pubbliche di fedeli, bensì qualificate associazioni private dotate di personalità giuridica ai sensi dei cann. 299 e 322.
Le confraternite aventi fine prevalente di assistenza e beneficenza che hanno modificato il proprio statuto eliminando le finalità di religione e di culto o il riferimento all’autorità ecclesiastica, quelle che non si sono attivate per chiedere la depubblicizzazione e quelle che di fatto hanno rifiutato di tenere rapporti con l’autorità ecclesiastica, devono essere soppresse nell’ordinamento canonico, in quanto si verificano gli estremi delle “graves causae” previste dal can. 320, § 2 o del “grave damnum disciplinae ecclesiasticae” previsto dal can. 326, § 1.
In tale ipotesi resta fermo, qualora la confraternita abbia una propria chiesa, che essa non potrà più gestire l’esercizio del culto e dovrà cedere l’uso della chiesa alla parrocchia competente per territorio o all’ente ecclesiastico designato dal Vescovo diocesano al momento della soppressione.
Quando si verifica una delle cause sopra indicate il Vescovo deve perciò, a norma dei cann. 50 e 320, § 3, sentire i responsabili della confraternita e quindi invitarli a scegliere tra due alternative:
– o chiedere al Vescovo stesso di confermare il riconoscimento della confraternita con la qualifica di associazione privata di fedeli e impegnarsi a gestire l’esercizio dei culto a norma del diritto canonico sotto la sua vigilanza (cf. art. 17 della legge n. 848/1929 e art. 77, comma primo, delle Norme approvate con il Protocollo dei 15 novembre 1984);
– oppure, ove non si voglia il riconoscimento come associazione di fedeli, chiedere la soppressione della confraternita nell’ordinamento canonico ai sensi del can. 320 e cedere l’uso della chiesa e l’esercizio dei culto all’ente ecclesiastico designato dal Vescovo diocesano; se, rifiutata la prima alternativa, la confraternita non accede neppure alla seconda, il Vescovo può dar corso al procedimento diretto ad ottenere anche agli effetti civili la cessione dei diritto d’uso della chiesa (cf. art. 831 codice civile).

C) Confraternite aventi fine di culto non ancora riconosciuto formalmente

5. Le confraternita aventi scopo esclusivo o prevalente di culto non riconosciuto formalmente con regio decreto o con decreto ministeriale si trovano attualmente in una situazione di difficile qualificazione, che potremmo dire di “limbo”, a causa della loro inadempienza nel chiedere l’accertamento dei fine secondo quanto previsto dalla normativa pattizia dei 1929.
L’art. 71 delle Norme approvate con il Protocollo dei 15 novembre 1984 dispone nel secondo comma: “Per le confraternite esistenti al 7 giugno 1929, per le quali non sia stato ancora emanato il decreto previsto dal primo comma dell’art. 77 del regolamento approvato con regio decreto 2 dicembre 1929, n. 2262, restano in vigore le disposizioni del medesimo articolo”.
Il richiamato art. 77 a sua volta dispone: “L’accertamento dello scopo esclusivo o prevalente di culto di una confraternita è fatto d’intesa con l’autorità ecclesiastica, e gli accordi stabiliti non sono vincolativi per lo Stato se non dopo l’approvazione con regio decreto, udito il parere del Consiglio di Stato. Sino all’approvazione suddetta tutte indistintamente le confraternite continueranno a rimanere soggette alle disposizioni di legge e regolamenti in vigore, salvo quanto dispone il capoverso dell’art. 52” (ora, peraltro, l’approvazione è data con decreto del Ministro dell’llntemo e non v’è più la necessità dei previo parere del Consiglio di Stato).
L’art. 52, capoverso, si riferisce alle confraternita che non hanno scopo esclusivo o prevalente di culto (cioè a quelle del secondo tipo), e stabilisce: “Tutte le disposizioni di leggi e regolamenti, ora in vigore per le confraternite, rimangono ferme nei riguardi di quelle che non abbiano scopo esclusivo o prevalente di culto”.
Dall’esame della normativa vigente sommariamente richiamata appare chiaro che le confraternite del tipo in esame, pur essendo rimaste di fatto per oltre cento anni alle dipendenze dell’autorità ecclesiastica, sono tuttora equiparate alle IPAB e soggette di conseguenza alla relativa normativa fino a che il fine di culto non sia civilmente riconosciuto con decreto ministeriale. Esse pertanto non possono essere iscritte nel registro delle persone giuridiche private.

6. Le confraternita con fine di culto non ancora riconosciuto formalmente possono trovarsi in situazioni di fatto assai differenti:
– alcune svolgono attività in modo continuativo e provvedono regolarmente all’elezione degli organi statutari;
– altre svolgono attività soltanto in occasione delle feste patronali e non provvedono a regolari elezioni;
– altre infine non svolgono più attività da diversi anni, e tuttavia seguitano ad esistere formalmente.

7. Questo Comitato raccomanda vivamente agli E.mi Vescovi di curare che le confraternite, che ancora hanno soci e svolgono attività, richiedano l’accertamento del fine di culto secondo quanto disposto dalla normativa di derivazione pattizia.
Il Ministero dell’Interno ha indicato nella circolare ministeriale n. 111 del 20 aprile 1998 la documentazione necessaria per tale pratica (cfr. allegato A):
1. Istanza in bollo, datata e sottoscritta dal rappresentante legale
2. Assenso dell’Ordinario diocesano
3. Decreto di erezione o, in mancanza, attestato sostitutivo dell’Ordinario diocesano
4. Verbale dell’organo deliberante, da cui risulti la volontà di chiedere il riconoscimento del fine prevalente o esclusivo di culto
5. Documenti comprovanti l’esistenza della confraternita al 7 giugno 1929
6. Statuto
7. Prospetti economici analitici relativi all’ultimo quinquennio di attività dell’ente, sottoscritti dal legale rappresentante
8. Relazione storico-illustrativa dettagliata relativa alle vicende dell’ente e all’attività svolta dall’origine fino alla data attuale, indicante anche il numero dei confratelli.
Si ricorda che il parere della regione non deve essere allegato all’istanza, in quanto compete alla Prefettura richiederlo alla regione stessa nel corso dell’istruttoria.
In relazione agli elementi sopra richiamati si propongono le seguenti osservazioni:
L’assenso di cui al n. 2 risponde a un requisito sostanziale previsto in via generale per il riconoscimento degli enti ecclesiastici.
Tuttavia l’art. 77 del R.D. n. 2262 prevede che l’accertamento del fine di culto delle confraternita avvenga d’intesa con l’autorità ecclesiastica. Per assicurare in modo omogeneo e sollecito detta intesa si suggerisce, avendo sentito in proposito anche la Direzione Generale per gli Affari dei Culti, di attenersi alle seguenti indicazioni:
– le singole pratiche, accuratamente istruite in diocesi, siano sottoposte dal Vescovo diocesano all’esame di questo Comitato, che ne verificherà la completezza e la rispondenza ai requisito di legge, confrontandosi con la medesima Direzione Generale ove emergessero aspetti bisognosi di chiarificazione o di approfondimento;
– il Comitato riconsegnerà la pratica verificata al Vescovo diocesano, il quale la completerà con l’assenso previsto al n. 2 e la trasmetterà alla Prefettura competente, allegando copia della lettera di riconsegna del Comitato;
– il Ministero dell’interno considererà la trasmissione della pratica, cosi integrata, da parte del Vescovo come espressione dell’intesa dell’autorità ecclesiastica richiesta dall’art. 77 del Regio Decreto richiamato.
Appare evidente l’opportunità che le confraternite amministrate da un commissario straordinario ricostituiscano gli organi statutari prima di deliberare la richiesta di riconoscimento del fine di culto di cui al n. 4. La procedura è la seguente:
a) ammissione di un congruo numero di confratelli con delibera del commissario o dell’Ordinario diocesano;
b) convocazione dell’assemblea per l’elezione degli organi statutari; c) elezione del moderatore e degli organi statutari;
d) conferma del moderatore da parte dell’Ordinario diocesano.
La delibera, di cui al n. 4, avente ad oggetto la richiesta di riconoscimento dei fine esclusivo o prevalente di culto non deve essere fatta con atto notarile; è sufficiente che essa risulti da una copia dei libro dei verbali, autenticata dal cancelliere della curia diocesana.
I documenti comprovanti l’esistenza dell’ente al 7 giugno 1929, di cui al n. 5, possono consistere – a titolo esemplificativo – nello statuto antico, in relazioni storiche che citano la confraternita, in contabilità o in documenti relativi a beni immobili o mobili (scritture private, atti pubblici, lasciti o legati, ecc.).
Si nota che occorre dimostrare l’esistenza dell’ente, non il possesso da parte del medesimo della personalità giuridica, perché questa si presume. Il problema era già avvertito all’epoca della legge Crispi. Non era certamente agevole compito quello di accertare come e quando una confraternita sorta prima dell’unificazione del Regno avesse acquistato la personalità giuridica. Per tale motivo la giurisprudenza, come la migliore dottrina, hanno finito per orientarsi verso una soluzione di praticità. In sostanza si ritennero come dotate di personalità giuridica tutte le confraternita erette in titolo dall’autorità ecclesiastica, e in difetto di erezione canonica si ritennero ugualmente persone di diritto anche quelle che, sorte in tempi nei quali non era richiesto un intervento statale, furono sempre di fatto considerate enti morali (cf. Appello Genova 7 maggio 1892, in Rivista di diritto ecclesiastico, volume 3, p. 172; Appello Cagliari 13 gennaio 1894, ivi, volume 4, p. 628; cf. anche G. SAREDO “Acquisto dei corpi morali” in Digesto Italiano, n. 66: “L’art. 2 del Codice civile [del 1865] ha studiatamente evitato di dichiarare da quale autorità debba essere riconosciuto o creato un corpo morale per avere esistenza giuridica: ha usato la cauta locuzione legalmente riconosciuti. Il legislatore ha voluto così che di ogni corpo morale esistente, si dovesse considerare l’esistenza come conforme alle leggi, finchè non sia provato il contrario, senza domandar titoli o provvedimenti. Epperciò un corpo morale che esista da lungo tempo, anche se non possa produrre i suoi titoli di fondazione, non solo è riconosciuto, ma non gli è necessario alcun provvedimento sovrano per supplire alla mancanza di titoli. Il Consiglio di Stato ha ripetutamente sancita la massima che non sia da accogliersi la istanza di un corpo morale regolarmente esistente per essere riconosciuto come tale, non potendosi ammettere che un corpo morale che ha una lunga esistenza di fatto, che ha agito, acquistato, contrattato per lungo tempo, abbia mestieri di uno speciale riconoscimento. Ne segue che sono soggetti alla legge 5 giugno 1850 e agli art. 2, 433, 932 e 1060 del Codice civile tutti i corpi morali, così quelli che sono stati esplicitamente eretti, come quelli che esistono da lungo tempo di fatto”).
Nella linea di tale dottrina e giurisprudenza il legislatore del 1929 ha usato la dizione “esistenti al 7 giugno 1929”.
Lo statuto da allegare, di cui al n. 6, deve essere quello in vigore al momento della domanda: tale statuto dovrà essere depositato nel registro delle persone giuridiche non appena avuto il decreto di riconoscimento del fine di culto.
Nel caso che lo statuto della Confraternita riconosciuta risulti per vari aspetti meno congruo con l’attuale configurazione concreta e con l’attività spirituale e pastorale della stessa e, in, ogni caso, bisognoso di adeguamento alla disciplina del codex 1983 in materia di associazioni di fedeli, sarà bene procedere successivamente, ottenuto il riconoscimento del fine di culto, al necessario aggiornamento, coinvolgendo i confratelli.
A tal fine si allega uno schema-tipo di statuto aggiornato (cf. allegato B).
I prospetti economici, di cui al n. 7, consistono nell’indicare le entrate e le uscite dei singoli anni e il saldo esistente, nonché l’eventuale stato patrimoniale al 31 dicembre precedente.
La relazione storico-illustrativa, di cui al n. 8, è certamente il documento più importante per valutare l’attività di culto svolta dalla confraternita in relazione a quella di assistenza o di altro genere.
Questo Comitato resta a disposizione per fornire indicazioni puntuali nei casi che comportino qualche difficoltà.

8. Le confraternite che non svolgono attività, non hanno più sodali né riescono ad aggregarne di nuovi entro un ragionevole termine fissato dal Vescovo, devono essere eliminate dall’ordinamento canonico.
Resta fermo che dette confraternita, non avendo ancora avuto il riconoscimento civile dei fine di culto, secondo le norme di derivazione concordataria sono regolate dalla legge dello Stato e non possono essere soppresse con effetti nell’ordinamento civile attraverso un decreto del Vescovo diocesano.
Nel caso che tali confraternite non abbiano alcun patrimonio è sufficiente che il Vescovo con proprio decreto revochi il riconoscimento e la personalità giuridica nell’ordinamento canonico ai sensi del can. 120, § I. A livello civile resterà un “simulacro” di confraternita, finché la competente autorità non provvederà ad estinguerlo.
Nel caso invece che una confraternita possieda dei beni, e questi siano amministrati da un commissario nominato dal Vescovo diocesano, non è possibile la soppressione con devoluzione del patrimonio da parte dell’autorità ecclesiastica, perché l’ente è sotto la vigilanza dell’autorità civile. Non è possibile neppure l’accertamento del fine di culto se prima non viene ricostituita l’assemblea dei sodali e ripresa l’attività. Non resta perciò che fare ogni sforzo per ricostituire la confraternita e chiedere l’accertamento dei fine di culto nel rispetto di tutti i requisiti indicati nella Circolare Ministeriale n. 111/1998.
Talvolta può anche verificarsi che un Parroco abbia amministrato i beni intestati a una Confraternita ritenendoli di pertinenza della “Parrocchia”; in tal caso potrebbero essere maturati i termini dell’usucapione al 3 giugno 1985. L’usucapione avrà corso, se riconosciuta con sentenza dichiarativa dei Tribunale civile competente: a favore dell’I.D.S.C. quale successore del beneficio parrocchiale, se il parroco amministratore ne ha goduto i redditi pacificamente e in buona fede; a favore dell’ente parrocchia quale ente successore della chiesa parrocchiale, se i redditi furono continuativamente versati alla cassa parrocchiale.
Considerata la complessità della disciplina illustrata, questo Comitato resta disponibile a prestare la propria collaborazione per la soluzione dei casi più difficili.

(Omissis)