Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 2 Luglio 2010

Deliberazione della Giunta regionale 01 marzo 2010, n.308

Deliberazione della Giunta Regionale Umbria 1 marzo 2010, n. 308: "Linee-guida sulla gestione dei Registri del volontariato. Determinazioni."

(BUR 31 marzo 2010 n. 15)

La Giunta regionale

(omissis)

Delibera

1) di prendere atto del documento istruttorio e della conseguente proposta della Presidente, corredati dei pareri e del visto prescritti dal regolamento interno della Giunta, che si allegano alla presente deliberazione, quale parte integrante e sostanziale, rinviando alle motivazioni in essi contenute;

2) di adottare il documento recante: “Linee-guida sulla gestione dei registri del volontariato”, approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nella riunione del 27 gennaio 2010, che si allega al presente atto quale parte integrante e sostanziale;

3) di pubblicare, per estratto, il presente atto nel Bollettino Ufficiale della Regione, comprensivo dell’allegato.

Allegato

Linee-guida sulla gestione dei registri del volontariato

1. Premesse

1.1. Inquadramento normativo: principi costituzionali – Legge quadro 266/1991 – Leggi regionali

Il volontariato è un fenomeno che, sebbene sorto spontaneamente nell’ambito della società civile e particolarmente dopo l’entrata in vigore della Costituzione, trova in quest’ultima sicure basi di riconoscimento.

Esso si configura infatti, come affermato dalla Corte costituzionale, quale un "un modo di essere della persona nell'ambito dei rapporti sociali", ovvero "un paradigma dell'azione sociale riferibile a singoli individui o ad associazioni di più individui", in quanto “espressione più immediata della primigenia vocazione sociale dell'uomo" e "più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un'autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa". Per questo, il suo riconoscimento deve trarsi in primo luogo negli articoli 2 e 18 della Carta Costituzionale. Il primo di questi, nello stabilire che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, definisce il primato della persona e dei suoi diritti – ai quali il volontariato è finalizzato -, il riconoscimento del pluralismo sociale – all’interno del quale il volontariato si identifica – ed infine la prospettiva della solidarietà – che del volontariato disegna lo stile di azione-.

L’art. 18, poi, riconosce il diritto di associarsi liberamente (“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”), al fine di favorire lo sviluppo della persona umana e per consentire la partecipazione dell’individuo alla vita economica, politica e sociale del Paese. Alle associazioni di volontariato la Costituzione affida dunque il compito di contribuire allo sviluppo complessivo della collettività: finalità resa esplicita da quanto stabilito, a seguito della riforma costituzionale del 2001, nell’ultimo comma dell’articolo 118, che riconosce e disciplina il principio di sussidiarietà orizzontale, ed in forza del quale "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà". Nella previsione costituzionale devono ricomprendersi tutte quelle forme organizzative poste in essere dai singoli per lo svolgimento di attività di interesse generale, e tra queste anche le organizzazioni di volontariato.

All’interno di tale quadro costituzionale l’atteggiamento del legislatore, fino alla legge quadro del 1991, è stato caratterizzato da una sostanziale indifferenza nei confronti del fenomeno del volontariato: nei prima anni Ottanta del secolo scorso la legislazione nazionale e quella regionale si sono riferite al volontariato con disposizioni finalizzate ad individuare settori di attività in cui i gruppi di volontari potevano intervenire, in collaborazione con le strutture pubbliche. Il legislatore si è sostanzialmente limitato – in quegli anni – a riconoscere espressamente «il raccordo delle organizzazioni di volontariato con l'istituzione pubblica, definendo l'area di un reciproco vincolo giuridico» [1].

È tuttavia, l’inarrestabile rilevanza sociale che il volontariato ha acquisito, anche in forza dell’incremento quantitativo di forme associative realizzatosi in tutto il Paese, nonché la varietà di interventi e di modalità operative poste in essere dalle varie amministrazioni pubbliche, hanno condotto il legislatore ad intervenire mediante una legge quadro nazionale, cui ha fatto seguito lo sviluppo di una legislazione regionale in materia: è a tale legislazione che ci si riferirà per cercare di offrire, mediante le presenti Linee-guida, uno strumento di omogeneità pur nella diversità dei punti di riferimento.

Occorre peraltro segnalare come la legislazione sia stata mossa non già da intenti limitativi della spontaneità e dell’autonomia che deve caratterizzare l’organizzazione volontaria, quanto al contrario da finalità che ne valorizzassero l’apporto, mediante un corretto sviluppo in un quadro di regole definite: agli stessi intenti, di carattere promozionale e di garanzia dei diritti di tutti, sono ispirate anche le presenti Linee-guida.

[1] Cfr. N. Lipari, Il volontariato: una nuova dimensione culturale e giuridica del Welfare State, in Riv. dir. civ., 1982, II, 826.

1.2. Titolarità della funzione di tenuta dei registri: “gestione” diretta, delega o trasferimento delle funzioni dalle regioni alle province

Il Legislatore, con la legge 266/91, ha incaricato le regioni e le province autonome ad istituire e disciplinare i registri delle organizzazioni di volontariato. Le leggi regionali hanno, in alcuni casi, delegato o trasferito le funzioni alle province. Nel caso di delega delle funzioni occorre ricordare che la responsabilità ultima della corretta tenuta del registro resta alle regioni le quali possono infatti graduare il contenuto dell’incarico stabilendo quali dei compiti compresi nella funzione assegnare alle singole province.

Ciò comporta che le regioni possono attivarsi direttamente nei confronti delle organizzazioni là dove l’attività che intende svolgere non sia stata oggetto di delega, oppure, per effetto della surroga, ogni qual volta l’ente delegato non adempia correttamente ai compiti assegnati. L’attività di vigilanza ne è un tipico esempio. Le regioni potrebbero valutare di svolgere direttamente i controlli sostanziali sulle organizzazioni pur avendo trasferito i compiti relativi all’iscrizione e verifica del mantenimento dei requisiti. Nel caso di trasferimento della funzione avviene invece uno spostamento pieno della titolarità della funzione alla provincia. Ciò comporta lo spostamento anche della piena responsabilità sulla provincia.

2. Finalità e oggetto delle linee guida

Le presenti Linee-guida sono pensate come strumenti messi a disposizione degli enti responsabili della tenuta dei registri, affinché le facciano proprie e le utilizzino secondo il loro prudente apprezzamento, tenuto conto comunque, della disciplina vigente in ciascuna Regione/provincia autonoma: esse si riferiscono alle procedure di iscrizione, controllo e cancellazione delle organizzazioni di volontariato nei registri regionali (o provinciali), con lo scopo di proporre condotte che possano ridurre le divergenze nel trattamento verso i soggetti che fanno richiesta di iscrizione o sono già iscritti nei registri.

La loro redazione è stata realizzata con un lavoro protrattosi diversi mesi e mediante un costante confronto con e tra le Regioni/Province autonome: l’Agenzia per le Onlus ha ritenuto infatti che soltanto attraverso un dialogo aperto a tutti gli uffici registranti fosse possibile redigere linee guida condivise dai soggetti coinvolti nella tenuta dei registri. Grazie alla ratificazione di un Protocollo d’intesa firmato dalla Conferenza delle Regioni e dall’Agenzia, che ha sancito il reciproco impegno ad affrontare tematiche importanti per il Terzo Settore, è stato costituto un apposito tavolo tecnico, che ha lavorato sulla base di un progetto approvato da entrambi i soggetti istituzionali. Per favorire la compartecipazione di tutte le Regioni/Province autonome, il testo delle linee guida e l’avanzamento dei lavori sono stati regolarmente condivisi, onde supplire alla mancata partecipazione di alcuni soggetti ed ottenere comunque una condivisione estesa, se non generale.

Per quanto concerne la struttura, il documento è diviso in tre parti, che ripercorrono cronologicamente le tappe dell’iscrizione di un ente al registro del volontariato. In particolare:

– la prima parte è relativa ai requisiti che gli enti devono possedere per ottenere l’iscrizione, fornendo per ognuno di essi una breve descrizione;

– la seconda parte riguarda gli ulteriori elementi di valutazione che rilevano, in particolare, ai fini della revisione dei registri e dai controlli;

– la terza parte concerne la tenuta dei registri. Particolare attenzione è dedicata al tema dei controlli, alle procedure di revisione dei registri e di cancellazione delle organizzazioni.

Dato atto che la gestione dei registri cade sotto la potestà legislativa delle Regioni, le finalità di omogeneità a cui tendono le presenti linee guida, per alcuni aspetti, possono anche non trovare una compiuta e completa realizzazione.

3. Iscrizione: elementi essenziali

3.1. Denominazione sociale

La denominazione sociale è il segno distintivo che identifica e contraddistingue l’ente nei rapporti con i terzi e risulta dall’atto costitutivo e dallo statuto.

L’ufficio registrante verifica che nella scheda di iscrizione, compilata dall’ente e sottoscritta dal suo rappresentante legale, sia riportata correttamente la denominazione contenuta nei suddetti atti. L’organizzazione, qualora si avvalga di acronimi o abbreviazioni della denominazione, dovrà indicarli nella scheda di iscrizione distinguendoli dalla denominazione sociale riportata per esteso.

L’ufficio che riscontri, nei documenti acquisiti, l’utilizzo di una denominazione sociale differente da quella riportata nello statuto, invita l’ente ad uniformarla. In particolare, nel caso in cui rilevi una differenza nella denominazione contenuta nel certificato di attribuzione del codice fiscale, sollecita l’organizzazione a comunicare all’Agenzia delle Entrate la denominazione attuale, al fine di assicurare che vi sia uniformità tra le informazioni risultanti dai vari registri o anagrafi.

Si precisa, inoltre, che le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri ( e che in forza di questo sono Onlus di diritto, ai sensi dell’art. 10, comma 8, del D.Lgs. 460/97), possono fare semplicemente uso o inserire nella propria denominazione anche l’espressione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale” ovvero l’acronimo “o.n. l.u.s.”. Denominazione che tuttavia non è obbligatoria, in quanto alle Organizzazioni di Volontariato non si applica la previsione di cui di cui alla lettera i) dell’art. 10 sopra richiamato [2].

Qualora, tuttavia, la domanda di iscrizione dell’ente ai registri del volontariato non venga accolta, gli uffici informano l’organizzazione che non potrà continuare ad avvalersi legittimamente dell’acronimo Onlus essendo venuti meno i presupposti della qualifica (salvo l’eventuale successiva iscrizione nell’Anagrafe delle Onlus presso l’Agenzia delle Entrate).

[2] Ai sensi del D.Lgs. 460/97, art. 10, comma 1, lett. i) lo statuto o l’atto costitutivo di una onlus deve prevedere espressamente: “l'uso, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione «organizzazione non lucrativa di utilità sociale» o dell'acronimo «ONLUS»”.

3.2. Data di costituzione

La data di costituzione si considera certa qualora l’atto costitutivo e lo statuto siano redatti nella forma dell’atto pubblico, della scrittura privata autenticata o registrata [3]. Nel caso in cui invece l’ente si sia costituito senza alcun atto scritto ovvero nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo originario non sia più reperibile, può essere richiesto il c.d. atto ricognitorio, ossia il verbale della seduta dell’assemblea dei soci dell’ente nella quale si è deliberata l’avvenuta costituzione dello stesso. Tale atto dovrà avere la stessa forma richiesta per l’atto costitutivo.

[3] Per maggiori approfondimenti in merito all’efficacia della forma degli atti si veda infra par. 4.1.

3.3. Sede legale

La sede legale è il luogo in cui opera l’organo amministrativo principale dell’ente e, di norma, deve coincidere con quella indicata nell’atto costituivo e nello statuto. Tuttavia, trattandosi di un’informazione passibile di frequenti variazioni, si può verificare che nei suddetti atti sia riportata semplicemente l’indicazione del comune nel quale è ubicata la sede, senza specificarne l’indirizzo. Quest’ultimo dovrà essere, comunque, indicato dall’organizzazione al momento dell’iscrizione e, in caso di successive variazioni, comunicato tempestivamente al medesimo ufficio. Analogamente, l’organizzazione può essere invitata a fornire nel modulo di iscrizione ulteriori recapiti, se diversi dalla sede legale, per l’invio di comunicazioni.

L’organizzazione può, inoltre, istituire sedi secondarie che non si qualificano come enti o soggetti autonomi rispetto alla medesima organizzazione ma costituiscono mere articolazioni territoriali prive come tali di un proprio codice fiscale. Di tali sedi, se esistenti, l’ente comunica l’indirizzo all’ufficio registrante.

3.4. Legale rappresentante

Il legale rappresentante sottoscrive la domanda di iscrizione dell’organizzazione nel registro assumendosi la responsabilità della veridicità di quanto in essa dichiarato, ai sensi dell’ art. 76 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. La validità delle suddetta dichiarazione è subordinata all’acquisizione della copia del documento di identità del dichiarante. Ai fini dell’invio delle comunicazioni al legale rappresentante gli uffici registranti possono acquisire, oltre alla residenza anagrafica, altri recapiti (numero telefonico, indirizzo di posta elettronica….).

3.5. Codice fiscale

Il codice fiscale è attribuito dall’Agenzia delle Entrate al fine di identificare l’organizzazione nei suoi rapporti con l’amministrazione pubblica (tra cui quella finanziaria) e con gli altri enti e uffici pubblici. Tale dato consente di identificare in modo certo un’organizzazione anche nel caso di modifica, ad esempio, della sede legale o della denominazione sociale.

Si evidenzia che alcune organizzazioni di volontariato richiedono all’amministrazione finanziaria, contestualmente all’attribuzione del numero di codice fiscale, anche quello di partita IVA (generalmente coincidente con il primo). Si precisa al riguardo che l’attribuzione di un numero di partiva IVA non sottintende necessariamente lo svolgimento di un’attività commerciale (in violazione quindi dei limiti imposti dal D.M. 25 maggio 1995) in quanto l’ente, anche nell’ipotesi in cui sia titolare di partita IVA, potrebbe di fatto non utilizzarlo.

Si suggerisce in questo caso di svolgere ulteriori accertamenti atti a verificare se sussiste la violazione dei limiti di cui al decreto sopra richiamato.

3.6. Settori di attività

L’art. 1 delle legge quadro si limita a precisare, in via generale, che l’attività di volontariato si rivolge al conseguimento di finalità “di carattere sociale, civile e culturale”, senza

tuttavia individuare specifici settori nei quali le organizzazioni di volontariato devono operare, a differenza di quanto previsto, ad esempio, dalla disciplina che regola le Onlus o le Imprese Sociali. Laddove, tuttavia, la legge regionale (ovvero DGR e DGP) preveda l’articolazione del registro in settori, l’organizzazione deve indicare nella domanda di iscrizione il settore nel quale svolge la propria attività. L’ufficio registrante verifica che vi sia coincidenza tra quanto indicato nella domanda e l’attività descritta nello statuto. Il modulo di iscrizione deve indicare esplicitamente, qualora l’ente svolga attività in più settori, se lo stesso può iscriversi in più sezioni ovvero in quella corrispondente all’attività prevalente.

3.7. Elenco nominativo delle persone che ricoprono cariche associative

L’acquisizione da parte degli uffici dell’elenco delle persone che ricoprono cariche associative è importante al fine di ottenere informazioni utili ad accertare un’eventuale violazione del principio di gratuità delle suddette cariche e del divieto di distribuzione indiretta di utili. Tale violazione potrebbe verificarsi, a titolo esemplificativo, qualora fossero conferiti incarichi ai medesimi soggetti che ricoprono cariche associative ovvero, fossero stipulati contratti tra gli enti e gli stessi soggetti o enti a questi riconducibili.

3.8. Numero degli aderenti, degli aderenti che prestano attività di volontariato e dei lavoratori subordinati o autonomi

L’indicazione del numero degli aderenti, dei volontari, dei lavoratori subordinati e autonomi [4] è utile al fine di verificare che l’organizzazione svolga la propria attività istituzionale avvalendosi in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti.

Si precisa, tuttavia, che in fase di iscrizione tali dati possono rivelarsi non decisivi, specie nell’ipotesi in cui essi si riferiscano ad un’organizzazione di recente costituzione. Si tratta di informazioni rilevanti nella fase di verifica dei requisiti per il mantenimento dell’iscrizione [5].

[4] Sulla distinzione tra aderenti, aderenti volontari e lavoratori si veda infra paragrafo 4.5.1.

[5] Si rinvia al par. 6.

4. Requisiti da valutare ai fini dell’iscrizione

4.1. Forma dell'atto costitutivo e dello statuto

La legge 266/91 non prescrive una particolare forma per l’atto costitutivo né per lo statuto delle organizzazioni di volontariato le quali devono, in ogni caso, rispettare quanto eventualmente prescritto dal codice civile per la forma giuridica assunta [6].

Tuttavia, la scelta della forma comporta differenti effetti in merito all’efficacia degli atti.

– Atto pubblico. Si verifica tale fattispecie allorché l’atto costitutivo e lo statuto sono redatti dal notaio. Tale forma conferisce veridicità alla data di redazione dell’atto, alle sottoscrizioni in esso presenti ed al contenuto dello stesso.

– Scrittura privata autenticata. In tal caso l’atto costitutivo e lo statuto sono redatti dai soci/fondatori ed autenticati successivamente da un notaio (o da un altro pubblico ufficiale autorizzato) il quale attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza: ciò conferisce veridicità alla data ed alla sottoscrizione apposta.

– Scrittura privata registrata. In questo caso l’atto costitutivo e lo statuto sono redatti dai soci/fondatori e sono registrati presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Tale registrazione che consente di dare certezza esclusivamente alla data di costituzione dell’organizzazione.

– Scrittura privata. Tale ipotesi si ha quando l’atto costitutivo e lo statuto vengono redatti in forma di scrittura privata semplice dai soci/fondatori senza alcuna formalità. In questo caso non è certa la data di costituzione dell’organizzazione.

[6] Le associazioni riconosciute e le fondazioni devono costituirsi per atto pubblico.

4.2. Esenzione dall’imposta di registro per gli atti costitutivi delle Organizzazioni di volontariato

La legge quadro sul volontariato dispone all’articolo 8, comma 1, che gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato sono esenti dall'imposta di bollo e dall'imposta di registro.

Da un punto di vista operativo si rammenta che il Ministero delle Finanze con la Circ. 25 febbraio 1992, n. 3 in relazione alla previsione normativa sopra citata, ha precisato agli uffici periferici che le organizzazioni di volontariato sono esonerate dal pagamento dell’imposta. Detta circolare non ha tuttavia fornito indicazioni in merito alle operazioni successive all’avvenuta iscrizione dell’organizzazione nel Registro.

L’Agenzia per le Onlus, avendo condiviso con l’Agenzia delle Entrate l’opportunità di intervenire sulla questione con ulteriori chiarimenti, ha precisato nel proprio atto di indirizzo, adottato con delibera n. 60 dell’11 febbraio 2009, i seguenti orientamenti interpretativi:

a) le organizzazioni di volontariato provvedono, ove richiesta, alla registrazione degli atti fondativi in esenzione della relativa imposta;

b) è cura delle stesse organizzazioni produrre all’Agenzia delle Entrate, al termine del procedimento di iscrizione, copia del decreto di iscrizione che attesti l’inserimento nel citato Registro del volontariato;

c) il mancato invio dell’attestazione dà luogo al recupero dell’imposta da parte dell’Agenzia delle Entrate nei termini previsti per l’accertamento;

d) la mancata iscrizione nel citato Registro comporta da parte dell’organizzazione l’immediato pagamento dell’imposta da cui era stata temporaneamente esentata la quale, diversamente, verrà riscossa nei termini dell’accertamento.

Gli uffici registranti sono tenuti ad informare le organizzazioni di volontariato in merito alla procedura sopra descritta per ottenere l’esenzione dell’imposta.

4.3. “Forma giuridica” delle organizzazioni di volontariato

L’art. 3, comma 2 della L. 266/91 prevede espressamente che le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei propri fini.

Tale libertà incontra, tuttavia, due limiti: il primo, espressamente sancito dalla disposizione sopra richiamata, dato dalla conciliabilità con lo scopo solidaristico; il secondo, rinvenibile nel successivo comma, riguardante la compatibilità con le specifiche previsioni che gli accordi degli aderenti devono contenere.

Da quanto sopra, pertanto, discende l’impossibilità di iscrivere nel registro delle organizzazioni di volontariato gli enti che assumono determinate forme giuridiche o che rivestono altre qualifiche in quanto, in via generale, presentano requisiti non conciliabili con quelli sanciti dalla L. 266/91.

Si precisa, in ogni caso, che la natura giuridica di un’organizzazione non può essere desunta semplicemente dalla denominazione della stessa (la quale potrebbe rivelarsi, in alcuni casi, fuorviante). A titolo esemplificativo, si è più volte riscontrato che un ente, pur denominandosi “comitato” o “fondazione” rivesta in realtà natura associativa.

Pertanto, l’eventuale diniego all’iscrizione deve comunque essere sempre l’esito di un’attenta analisi compiuta di volta in volta sull’atto costitutivo e lo statuto presentati dall’ente, atta a verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge.

Si ritiene opportuno ricordare, prima di procedere all’analisi delle diverse forme giuridiche che non possono essere iscritti nel registro delle organizzazioni di volontariato gli enti aventi natura pubblica. Come rilevato, infatti, dal Consiglio di Stato [7], “le organizzazioni di volontariato cui si riferisce la L. 266/91 costituiscono organismi di natura privatistica, la cui istituzione e il cui modello organizzativo, nei limiti stabiliti dalla stessa legge quadro, sono rimesse all’autodeterminazione dei fondatori”.

[7] Cfr parere Consiglio di Stato, sez. I, n. 817 del 16 febbraio 2007 e, sez. I, n. 739 del 25 maggio 1994 e T.A.R. Lazio Roma sez III-bis 23.12.08 n. 12277.

4.3.1. Associazione

È una stabile organizzazione collettiva con la quale si perseguono scopi super individuali: essa costituisce, pertanto, la forma giuridica tipica delle organizzazioni di volontariato. La fondamentale distinzione delle associazioni è tra quelle riconosciute, dotate di personalità giuridica e quelle non riconosciute, prive di tale personalità.

4.3.2. Le società ivi comprese quelle in forma cooperativa

Le società, regolate dal libro V del codice civile, sono caratterizzate da un fine lucrativo inconciliabile con lo scopo solidaristico che deve essere proprio delle organizzazioni di volontariato. Analogamente la forma cooperativa, caratterizzata dal fine mutualistico, appare incompatibile con le finalità altruistiche e solidaristiche delle organizzazioni di volontariato [8].

[8] Cfr. Circ. Min. Finanze 05.02.92 n. 3.

4.3.3. I comitati

Si tratta di enti caratterizzati – in via generale – da una struttura chiusa, tipica degli organismi destinati ad esaurirsi in tempi brevi, che appare in contrasto con l’obbligo previsto dalla L. 266/91 di indicare nello statuto i criteri di ammissione ed esclusione degli aderenti. Inoltre, l’attività istituzionale che consiste, in via prevalente, nella raccolta di fondi, risulta difficilmente conciliabile con la definizione di attività solidaristica desumibile dalla legge [9].

Si precisa tuttavia che le suddette caratteristiche, sebbene tipiche del comitato, non costituiscono requisiti obbligatori in quanto la legge non vieta a questi soggetti di svolgere un’attività stabile, organizzata e continuativa, e di perseguire, quindi, finalità perduranti nel tempo consentendo l’ingresso di soggetti diversi dai promotori [10].

Gli uffici registranti, pertanto, nella valutazione dello statuto del comitato dovranno prestare particolare attenzione a verificare che esso contenga le clausole che garantiscono la democraticità della struttura ivi compresa quella relativa ai criteri di ammissione degli associati e che l’attività sia compatibile con i principi di solidarietà sociale e di impegno civile caratterizzanti il volontariato. Qualora siano riscontrati tutti i requisiti di cui sopra non sussistono ragioni ostative all’iscrizione.

[9] Per maggiori approfondimenti si veda infra il par. 4.6.

[10] Cass. civ., sez. I, sent. 23 giugno 1994, n. 6032 “(…)Nel quadro empiricamente tracciato dalla legge è, poi, possibile distinguere tra comitati costituiti per scopi occasionali, che vivono per tempo necessario al loro conseguimento (il modello tipico è quella del comitato di festeggiamento) e comitati che sorgono per realizzare finalità protratte nel tempo, come quelli eretti per realizzare scopi benefici ed assistenziali in favore di una pluralità indeterminata di soggetti, che versano nelle condizioni previste per fruire delle prestazioni assistenziali, la cui caratteristica è data dal fatto che, pur evolvendosi nel senso dianzi indicato, permangono fino a che sia perdurante lo scopo in vista sono venuti in essere. Identificate in tal modo le note caratterizzanti del fenomeno e precisato che le due fasi non sempre si presentano in modo cronologicamente distinto, anche se sono in ogni caso "logicamente distinguibili" (così, testualmente, Cass. 12 giugno 1986, n. 3998), la sussistenza del comitato nella sua evoluzione diacronica non appare, nella specie, fondatamente contestabile. (…) La conclusione, cui si è pervenuti, merita consenso anche sul piano dei principi, atteso che la configurazione del comitato come struttura chiusa, se è aderente all'ipotesi di organizzazioni create per realizzare finalità che si esauriscono in un periodo di tempo determinabile in anticipo, (e sono questi i casi dei comitati per festeggiamenti o per recare soccorso nelle pubbliche calamità), non lo è nel caso di organismi istituiti per conseguire obiettivi che si proiettano in un arco di tempo prolungato. E nell'ambito di questa categoria è possibile comprendere, oltre l'ipotesi delle mostre o esposizioni permanenti già individuate dalla dottrina, anche quelle di comitati sorti, come nella specie, per conseguire scopi assistenziali perduranti e nei quali sussiste piena compatibilità tra la persistenza dell'organizzazione ed il mutamento della componente soggettiva”.

4.3.4. Le fondazioni

La preminenza della volontà del fondatore e l’immutabilità dello scopo originario -elementi tipici delle fondazioni – risultano difficilmente conciliabili con il requisito della democraticità della struttura richiesto per le organizzazioni di volontariato. La prevalenza dell’elemento patrimoniale risulta, inoltre, incompatibile con l’elemento personalistico centrato sull’attività del volontario. Un’eccezione può essere rappresentata dalle fondazioni c.d. di partecipazione: fondazioni a base associativa che possono avere una struttura democratica e configurarsi quali organizzazioni in cui prevale il contributo personale e volontario dei membri. Questo implica che accanto all'organo amministrativo ne sia solitamente previsto uno assembleare, con ciò realizzandosi una contaminazione tra le caratteristiche proprie del modello codicistico di fondazione e quelle tipiche di un’associazione.

Gli uffici, pertanto, nell’esaminare lo statuto di una fondazione devono prestare particolare attenzione nel verificare che esso contenga le clausole che garantiscano, insieme alla democraticità della struttura, l’elemento personalistico ossia che l’attività istituzionale sia realizzata in modo determinante tramite l’attività personale, spontanea e gratuita, dei volontari.

4.3.5. Gli enti ecclesiastici

L’espressione “ente ecclesiastico" definisce una pluralità di tipi organizzativi che non sono né enti privati né enti pubblici ma si configurano come l’espressione di una più ampia e autonoma organizzazione confessionale. In mancanza di una esplicita definizione normativa sono stati adottati due criteri interpretativi per individuare il soggetto giuridico riconducibile alla categoria degli enti ecclesiastici. Secondo il criterio finalistico, sono enti ecclesiastici quelli che perseguono un fine di religione o di culto; secondo il criterio c.d. genetico sono enti ecclesiastici quelli sorti in base ad un provvedimento canonico.

La natura propria degli enti ecclesiastici, le particolari finalità di religione e di culto che perseguono e l’ordinamento interno – di regola caratterizzato dalla presenza di organi composti da membri scelti dall’autorità ecclesiastica competente – non si conciliano con il principio di democraticità (e con gli altri principi previsti dalla normativa) che le organizzazioni di volontariato devono rispettare.

La normativa non prevede alcun divieto per le istituzioni che rientrano nel novero degli enti ecclesiastici – che hanno una struttura incompatibile con i requisiti imposti dalla legge 266/91 per qualificarsi come organizzazioni di volontariato – di dare vita ad organizzazioni di volontariato. Gli uffici registranti verificano che tali enti rispettino il principio di democraticità della struttura nonché il perseguimento di finalità compatibili con quanto previsto dal primo comma dell’art. 1 della legge quadro sul volontariato. L’eventuale riferimento, contenuto nello statuto, a principi religiosi ai quali l’ente richiedente si ispira non deve costituire, ipso facto, motivo di rigetto dell’istanza di iscrizione ai registri regionali o provinciali del volontariato.

4.3.6. Le organizzazioni non governative

Le organizzazioni non governative (ONG), organismi aventi natura giuridica privata che operano nel campo della cooperazione internazionale con i paesi in via di sviluppo, sono riconosciute idonee dal Ministero degli affari esteri, ai sensi della L. 49/87. L’art. 13 della L. 266/91 dispone che “È fatta salva la normativa vigente per le attività di volontariato non contemplate nella presente legge, con particolare riferimento alle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo (…)”. Da tale disposizione emerge che la L. 266/91 non ha modificato la nozione di volontario contenuta nelle normative preesistenti e ivi richiamate.

Le ONG, pur essendo essenzialmente associazioni che impiegano “volontari” in possesso di competenze specifiche e attivi nei paesi in via di sviluppo, costituiscono una realtà molto diversa dal volontariato di cui alla L. 266/91. La loro struttura operativa è, infatti, finalizzata allo svolgimento delle attività di cooperazione e composta da cooperanti integrati professionalmente nell’organizzazione di cui fanno parte.

Dal confronto della disciplina prevista dalle rispettive normative di riferimento (L. 266/91 e L. 49/87) emerge che alcune peculiarità delle ONG risultano difficilmente conciliabili con i caratteri delle organizzazioni di volontariato, in particolare, con riferimento alla tipologia di risorse umane impiegate. Infatti, mentre l’organizzazione di volontariato si avvale di personale che presta la propria attività in modo gratuito e solo in via residuale può avvalersi di personale retribuito, le ONG impiegano volontari che percepiscono un trattamento economico il quale, se pur parametrato al costo della vita del paese nel quale operano, non può considerarsi un mero rimborso spese nei termini e alle condizioni previste dalla L. 266/91.

Ai volontari impiegati nelle ONG che hanno già maturato una precedente esperienza e sono chiamati a svolgere funzioni di rilevante responsabilità, è inoltre possibile riconoscere un trattamento economico maggiore in considerazione del ruolo e dell’esperienza maturata. Al contrario la qualità di volontario di cui all’art. 2, comma 3 della L. 266/91, “è incompatibile con qualsiasi rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione”.

In considerazione di quanto sopra si precisa, pertanto, che difficilmente uno stesso ente potrà contemporaneamente rispettare i requisiti richiesti per l’iscrizione nel registro delle organizzazioni di volontariato e per il riconoscimento di ONG idonea [11].

[11] La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Affari Sociali – Osservatorio Nazionale del Volontariato, con nota del 1 luglio 1992, n. 200/2638/110.237 reg., indirizzata a tutti i Presidenti delle Giunte regionali precisava che “restano esclusi dall’inserimento nei registri regionali le organizzazioni non governative impegnate in attività in favore dei Paesi in via di sviluppo”.

4.3.7. Organismi di secondo livello

L’iscrivibilità nel registro degli organismi c.d. di secondo livello – ossia enti di coordinamento e collegamento composti da organizzazioni di volontariato – appare in contrasto con una rigorosa interpretazione dei requisiti prescritti dalla legge per l’iscrivibilità nei registri del volontariato. L’art. 3 della L. 266/91 prescrive, infatti, che le organizzazioni devono realizzare la propria missione istituzionale tramite l’attività personale dei volontari, da ciò desumendosi che i volontari devono essere persone fisiche (vedi infra par. 4.5.1.). Nel caso degli organismi di secondo livello, invece, gli aderenti – sono a loro volta enti collettivi purché strutturati in forma associativa.

Alcune leggi regionali superano tale problema prevedendo che gli enti di secondo livello siano iscrivibili nei registri delle organizzazioni di volontariato a condizione che gli enti ad essi aderenti siano a loro volta iscritti nel medesimo registro.

Si precisa, tuttavia, che solo un intervento del Legislatore potrà superare i dubbi interpretativi sulla legittima iscrizione di questi organismi nei registri delle organizzazioni di volontariato.

4.3.8. Le Associazioni di Promozione Sociale

Sono considerate associazioni di promozione sociale gli enti costituti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore degli associati o di terzi, senza finalità di lucro. In merito all’iscrivibilità di un’associazione di promozione sociale nel registro delle organizzazione di volontariato si osserva che, dal confronto tra le normative di riferimento (L. 226/91 e L. 383/00), emerge una discrasia tra i requisiti caratterizzanti questi soggetti tale da rendere difficilmente realizzabile la contemporanea iscrizione nei richiamati registri [12]. Tra i caratteri distintivi dei suddetti enti si individuano in particolare:

– i destinatari dell’attività istituzionale che per le Organizzazioni di Volontariato sono prevalentemente i terzi, (essendo l’azione volontaria caratterizzata dall’altruità e gratuità), mentre per le APS sono i soci e i terzi ( in forza di quanto stabilito nell’art. 2 comma 1 della legge 383/00 prevalendo in tali organizzazioni il carattere della mutualità). Qualora nelle organizzazioni di volontariato l’attività sia rivolta nei confronti dei soci, si devono intendere i volontari.

– i rapporti di lavoro che le Organizzazioni di Volontariato possono instaurare solo con soggetti che non siano anche aderenti o aderenti volontari (art. 3 L. 266/91) mentre le APS possono, in caso di particolare necessità, assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, anche ricorrendo ai propri associati (art. 18, comma 2 della legge 383/00).

– la devoluzione di patrimonio che le Organizzazioni di Volontariato devono destinare ad altre Organizzazioni di Volontariato operanti in analoghi settori mentre le APS a fini di utilità sociale.

Si precisa, in via generale e teorica, che pur rilevando l’esistenza di caratteristiche differenti tra organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale non si può affermare un’assoluta incompatibilità tra gli stessi. Con riferimento, ad esempio, alle caratteristiche sopra delineate si osserva che se è vero che un’APS può rivolgere l’attività anche ai propri soci nulla vieterebbe alla stessa di rivolgerla invece prevalentemente ai terzi. Questo vale anche per le altre caratteriste sopra evidenziate, non potendosi escludere aprioristicamente che l’APS possa adeguarsi alle prescrizioni più restrittive previste per le Organizzazioni di Volontariato.

[12] Le Regioni/province autonome che hanno già legiferato in materia hanno sancito espressamente l’incompatibilità della contemporanea qualifica di Organizzazione di Volontariato e di Associazione di Promozione Sociale e di conseguenza l’alternatività tra i due registri.

4.4. L’Attività di Volontariato

4.4.1. L’assenza di finalità di lucro anche indiretto ed il perseguimento di fini solidaristici

L’assenza della finalità di lucro non esclude la possibilità per le organizzazioni di volontariato di conseguire risultati economici positivi che contribuiscano a sostenere le attività dell’organizzazione stessa attraverso il rafforzamento patrimoniale e finanziario. Il divieto concerne, infatti, il cosiddetto “lucro soggettivo” ossia l’impossibilità per l’organizzazione di distribuire utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'organizzazione. Il vincolo di non distribuzione esclude la legittimità non solo della distribuzione diretta (che negli enti lucrativi avviene generalmente in fase di approvazione del bilancio di esercizio) ma anche di quelle modalità di utilizzazione di detti elementi che, se pur apparentemente non contrarie a norme di legge, costituiscono di fatto un aggiramento del vincolo in esame (realizzando quindi una ripartizione di utili in via indiretta).

La legge quadro non individua esplicite fattispecie in tal senso, tuttavia, si ritiene possano costituire utili riferimenti quelle evidenziate dal Legislatore nella normativa che disciplina le Onlus: quindi, ad esempio, l'acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale ovvero la corresponsione ai lavoratori di compensi ingiustificatamente elevati possono costituire elementi sintomatici dell’elusione da parte dell’organizzazione del vincolo in esame. Il requisito dell’assenza di finalità di lucro è strettamente connesso al perseguimento esclusivo delle finalità di solidarietà in quanto, se da una parte, i volontari non possono trarre alcun vantaggio nemmeno indiretto dall’attività che svolgono, dall’altra, la stessa attività dovrà essere rivolta in favore di terzi estranei [13].

Al riguardo si precisa che non è necessario che i destinatari dell’attività siano specificatamente individuati potendosi considerare perseguito il fine solidaristico anche in presenza di attività che si rivolgono a beneficio della collettività diffusa, ad esempio l’attività svolta nel campo della tutela ambientale. A tal proposito si rileva che lo stesso Legislatore, con riferimento alle Onlus, ha individuato tra i settori a solidarismo immanente anche la tutela e la valorizzazione della natura e dell’ambiente e dei beni artistici e storici.

Alla luce di tutto quanto sopra l’ufficio registrante verifica che l’attività solidaristica consista nell’effettiva erogazione di servizi e nello svolgimento di prestazioni materiali o morali rivolte ai terzi e che l’ente non distribuisca utili o avanzi di gestione, nemmeno in forma indiretta.

[13] In questo senso: T.A.R. Sicilia, sez. giurisd., 05 maggio 1997, n. 74 “(…) Le organizzazioni di cui alla L. n. 266 del 1991, invece, devono svolgere attività in favore di terzi estranei. La legge, infatti, accentua l'assenza di fini di lucro anche indiretto; così che nessun vantaggio può derivare a chi ne svolge l'attività”; T.A.R. Trento 10.03.04 n. 112 “Del resto ed in ogni caso, quando il Legislatore pone particolari criteri per l'iscrizione al registro di cui al citato articolo 6 della L. 10 agosto 1991, n. 266 li connette alla fase operativa esterna delle AA.VV.; e cioè con riguardo alla fornitura di prestazioni verso l'esterno (cd. utenza), od in relazione a convenzioni inerenti tali sole medesime attività esterne e a sgravi fiscali inerenti le stesse; ma non certo con riguardo ad attività di supporto e solo propedeutiche rispetto a queste stesse e di profilo interno (interna corporis).” T.A.R. Venezia, Sez I 19.01.09 n. 84 “(…) le attività dei volontari, aderenti alle associazioni così qualificabili, sono necessariamente rivolte verso l'esterno, nei confronti di soggetti estranei all'organizzazione, risultando così esclusa ogni forma di remunerazione anche indiretta a favore degli iscritti.”; T.A.R. Venezia, sez. I, 13.03.2009, n. 620 “(…) Proprio dall'esame delle previsioni statutarie, in rapporto alla disciplina di legge, emerge il dato rilevato dalla Direzione regionale per cui non viene escluso ogni interesse, anche indiretto, da parte degli iscritti alle attività dell'associazione, che, al contrario, quale finalità principale, prevede – all'art 2 dello statuto – che gli aderenti saranno i destinatari dell'attività della Confraternita per la sepoltura e l'accompagnamento funebre. Tale attività risulta prevalente rispetto a quella di volontariato ed è connessa ai contributi a tal fine versati annualmente dagli iscritti, che, se non in regola, non potranno avvalersene. Tale configurazione risulta in palese contrasto con la previsione normativa regionale, di cui all'art. 2 della L.R. n. 40/1993, coerentemente con la legge quadro n. 266/91, sopra riportata, ove è prescritto che le associazioni di volontariato debbono rivolgersi esclusivamente a fini di solidarietà verso terzi.” Corte Cost. 28.02.1993, n. 75 “lo scopo solidaristico si pone in rapporto diametralmente opposto rispetto al calcolo utilitaristico che muove la maggior parte delle azioni umane. (…) Quale modello fondamentale dell'azione positiva e responsabile dell'individuo che effettua spontaneamente e gratuitamente prestazioni personali a favore di altri individui ovvero di interessi collettivi degni di tutela da parte della comunità, il volontariato rappresenta l'espressione più immediata della primigenia vocazione sociale dell'uomo, (….). Esso è, in altre parole, la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un'autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa”.

4.4.2. I settori di attività

La legge 266/91 – come già anticipato nel paragrafo 3.6. – non individua i settori di attività nei quali le organizzazioni di volontariato devono operare. Pur in assenza di specifiche limitazioni in merito ai settori di operatività si possono, tuttavia, individuare particolari ambiti che sembrano non conciliarsi con la definizione di attività di volontariato. In questo senso sussistono delle perplessità in merito alla compatibilità con tale definizione della mera attività di raccolta fondi quale unica attività istituzionale di un’Organizzazione di Volontariato. Come rilevato dal T.A.R Lombardia “(…) ai fini della legge, per attività di volontariato deve intendersi quella caratterizzata dall'esistenza di prestazioni personali degli aderenti all'organizzazione, per scopi di solidarietà. I termini di prestazione e di attività di volontariato evocano chiaramente il concetto di prestazioni lavorative, che nella specie risultano caratterizzate dall'assenza di uno scopo di guadagno e di un vincolo di subordinazione con l'organizzazione di appartenenza ed indirizzate solo al fine di solidarietà verso al collettività. Da tale concetto chiaramente deve ritenersi esclusa quella attività di mera raccolta di fondi, sia pur finalizzata al sostegno della struttura ospedaliera, che costituisce l'essenza del dichiarato scopo dell'Associazione istante di voler recuperare la generosità tradizionale nei confronti dell'Ospedale di Cremona. Dalla documentazione prodotta e dalle disposizioni statuarie, del resto, si evince con chiarezza che lo scopo principale dell'Associazione è costituito senza possibilità di equivoco dall'intento di recuperare fondi tra la collettività per il sostegno dell'Ospedale [14]”.

[14] T.A.R. Milano, sez. I, 25 maggio 1999, n. 1848.

4.4.2.1 Il volontariato di protezione civile

L’organizzazione di volontariato di protezione civile è un organismo liberamente costituito, senza finalità di lucro che, avvalendosi prevalentemente delle prestazioni volontarie, personali e gratuite dei propri aderenti, svolge o promuove – in base a quanto stabilito dall’art. 2 della L. 225/92 – attività di previsione, prevenzione e soccorso in occasione di:

a) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;

b) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;

c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.

L’iscrizione delle organizzazioni di volontariato di protezione civile nei registri regionali ( o provinciali) non deve essere preclusa per il fatto di essere queste già iscritte nell’elenco delle organizzazioni di protezione civile.

L’iscrizione nel registro del volontariato comporta per le organizzazioni una serie di oneri e benefici – ad esempio fiscali – che non coincidono con gli effetti derivanti dall’iscrizione all’elenco delle associazioni che svolgono attività di volontariato di protezione civile. La finalità di questo registro è infatti fornire informazioni relative alla dislocazione sul territorio, la composizione, la dotazione di mezzi delle singole organizzazioni di volontariato di protezione civile al fine di organizzare i piani di intervento di protezione civile. I due registri assolvono, dunque, compiti differenti senza che vi sia né incompatibilità riguardo la simultanea iscrizione nei registri né l’iscrizione in uno precluda la possibilità di iscriversi nell’altro.

4.5. Gli aderenti

4.5.1. Definizione di aderente e di aderente volontario

La qualifica di aderente si acquisisce al momento della stipulazione del contratto associativo – che per i contraenti originari, o fondatori, è simultanea alla costituzione dell’organizzazione – oppure, nel caso in cui l’organizzazione sia già costituita, con successiva adesione. Non vi sono differenze giuridicamente rilevanti tra la partecipazione originaria e la successiva adesione in quanto entrambe si perfezionano nel momento dell’incontro delle dichiarazioni di volontà dell’aderente e dell’organizzazione.

L’art. 4, comma 1 della L. 266/91 parla di “aderenti che prestano attività di volontariato”; da ciò sembra potersi desumere che all’interno dell’organizzazione di volontariato possono esistere aderenti che si limitano a rivestire la qualifica di “associato” ed aderenti che sono invece anche volontari ossia che prestano in modo personale, gratuito e spontaneo la propria opera. Si osserva inoltre che il riferimento contenuto nel dettato normativo sopra richiamato al carattere personale della prestazione del volontario fa ritenere che il medesimo può essere solo una persona fisica [15].

[15] Si veda in questo senso T.A.R Catania 693/2002: “L'art. 3 della legge n. 266/91 qualifica come organizzazione di volontariato quella "…che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti". Il IV° comma del medesimo art. 3 dispone che le predette organizzazioni "possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l'attività da esse svolta". La legge richiede, quindi, che l'attività istituzionale delle organizzazioni di volontariato sia esercitata in modo determinante e prevalente dai propri aderenti, che, perciò, non possono che essere persone fisiche”.

4.5.2. Previsione dei diritti e obblighi degli aderenti

Gli uffici registranti verificano che l’atto costitutivo e lo statuto riportino esplicitamente i diritti e gli obblighi degli aderenti. Tra i primi devono essere ricompresi:

– il diritto di intervenire in assemblea, il diritto di voto, il diritto di impugnare le delibere dell’assemblea [16], il diritto di recesso, il diritto di rivestire cariche sociali; tra i secondi il principale è, senza dubbio, il pagamento della quota associativa, ove prevista dallo statuto dell’organizzazione.

[16] La presente nota è riportata, nel Bollettino Ufficiale, priva di testo.

4.5.3. Previsione criteri di ammissione ed esclusione degli aderenti

Lo statuto (o l’atto costitutivo) dell’organizzazione di volontariato deve tassativamente prevedere le modalità di ammissione e di esclusione degli aderenti.

Gli uffici registranti, pertanto, verificano che lo statuto indichi i requisiti in base ai quali l’organizzazione dovrà valutare la richiesta di ammissione degli aspiranti aderenti. Non sono ammissibili clausole statutarie che escludano aprioristicamente nuove adesioni o che demandino la decisione sull’ammissione al giudizio arbitrario degli amministratori.

L’esclusione degli aderenti può avere luogo solo se ricorrono gravi motivi. In genere l’esclusione è determinata da inadempienze dell’aderente agli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto di associazione. Possono essere ritenuti gravi, a titolo esemplificativo, inadempienze quali: lo svolgimento di attività o azioni che siano in contrasto con lo scopo statutario dell’organizzazione, la violazione del dovere di collaborazione al raggiungimento degli scopi sociali, il mancato pagamento della quota associativa e il venir meno dei requisiti soggettivi prescritti per l’ammissione.

L’esclusione è di regola deliberata dall’assemblea; lo statuto, tuttavia, potrebbe prevedere che tale potere sia di competenza di un organo diverso. In tal caso, per rispettare il principio di democraticità che caratterizza le organizzazioni di volontariato sarebbe opportuno prevedere la possibilità per il socio escluso di ricorrere all’assemblea ovvero, se presente, al Collegio dei Garanti o Probiviri.

Il rigetto dell’istanza di ammissione ed il provvedimento di esclusione devono essere sempre adeguatamente motivati. Al riguardo appare significativo quanto rilevato dal T.A.R di Catania secondo cui “È infatti di palmare evidenza che la mancata previsione dell'obbligo di motivazione in ordine al rigetto delle istanze di ammissione dei soci consente agevolmente di vanificare ed aggirare, in sostanza, l'obbligo di legge circa la prefissione dei criteri per l'ammissione dei soci, evitandone la concreta applicazione. La mancata previsione dell'obbligo di motivazione, in ordine al rigetto delle istanze dei soci, potrebbe essere altresì teoricamente suscettibile di consentire la formazione di "un gruppo egemone" all'interno dell'associazione, che -di fatto- possa pervenire alla ammissione dei nuovi aderenti "ad libitum", magari anche in modo irragionevole e discriminatorio, con ciò ledendo altresì gravemente anche l'attuazione dell'altro principio cardine di "democraticità" richiesto dalla legge, e non consentendo agli aspiranti "soci" semplicemente "non graditi", gli opportuni mezzi di difesa, a causa della assoluta carenza di trasparenza nell'attività associativa” [17].

Si evidenzia, infine, che il socio che recede o viene escluso dall’organizzazione non può vantare diritti sul patrimonio della medesima né richiedere la restituzione della quota versata.

[17] T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 23 aprile 2002, n. 693 in Foro Amm. TAR, 2002, 1423.

4.5.4. Gratuità e prevalenza delle prestazioni rese dai volontari

Gli aderenti volontari prestano la propria attività in modo gratuito, non potendo essere retribuiti in alcun modo né dal beneficiario della prestazione né dall’organizzazione a cui appartengono [18], alla quale non possono essere legati da alcuna forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo né di relazione a contenuto patrimoniale.

L’organizzazione di volontariato, ai sensi dell’art. 2, comma 2 della Legge quadro, può riconoscere al volontario solo il rimborso delle spese “effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”.

L’uso dell’espressione “effettivamente” comporta che siano rimborsabili unicamente le spese adeguatamente documentate (c.d. rimborso a piè di lista), restando escluso, invece, il rimborso forfettario che potrebbe celare una forma di retribuzione indiretta per l’attività prestata. La precisazione “entro i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse” implica, inoltre, che l’organo amministrativo debba avere preventivato i suddetti rimborsi, stanziando a tale scopo una somma idonea e compitabile con le esigenze di bilancio.

Le prestazioni rese dai volontari costituiscono lo strumento principale di cui l’organizzazione si avvale per il perseguimento dello scopo solidaristico. Il Legislatore, tuttavia, non ha escluso la possibilità per gli enti di avvalersi anche di personale retribuito a condizione che:

– i rapporti di lavoro siano limitati a quelli strettamente necessari al funzionamento regolare dell’organizzazione oppure a quelli occorrenti per qualificare o specializzare l’attività da essa svolta;

– le prestazioni dei volontari restino comunque prevalenti e determinanti [19].

La determinazione dei parametri da adottare per “misurare” l’apporto dei volontari rispetto a quello del personale retribuito rappresenta un aspetto problematico di non facile definizione. L’utilizzo, infatti di meri criteri quantitativi che si limitano a confrontare il numero di volontari e di lavoratori ovvero il numero di ore prestate, potrebbe condurre a risultati fuorvianti. A tal riguardo si osserva, ad esempio, che mentre un lavoratore subordinato è più probabile che svolga un’attività a tempo pieno, un volontario sovente dedica all’organizzazione il proprio “tempo libero” che consta di un numero di ore inferiore. Pertanto, a fronte di un lavoratore impiegato per 40 ore settimanali e di 10 volontari occupati complessivamente per 30, non necessariamente si riscontrerà una violazione del criterio della prevalenza delle prestazioni volontarie, dovendosi invece, a tale scopo, procedere ad esaminare anche la tipologia di attività svolte. Con riferimento all’esempio di cui sopra, si potrà, quindi, considerare legittima la fattispecie in cui il lavoratore, sebbene impiegato per un numero di ore pari o leggermente superiore a quella dei volontari, svolga un’attività di tipo amministrativo- segretariale mentre i volontari si dedicano allo svolgimento dell’attività istituzionale per il perseguimento della missione istituzionale. L’esempio sopra delineato – come tale non certo esaustivo delle diverse fattispecie riscontrabili – ha lo scopo di evidenziare che è necessario esaminare una pluralità di elementi al fine di valutare il rispetto dei criteri delineati nell’art. 3 della legge quadro.

A tale scopo, in ragione di tutto quanto sopra, gli uffici registranti potranno avvalersi di criteri sia tipo quantitativo sia di tipo qualitativo. Tra i primi si possono individuare il rapporto tra il numero dei volontari e quello dei lavoratori (dipendenti e/o autonomi), il rapporto, in termini di ore impiegate, tra attività svolte dai volontari e dai lavoratori, il rapporto tra numero di servizi/prestazioni resi da volontari e resi da lavoratori. Tra i secondi è importante conoscere l’attività istituzionale dell’ente, le modalità di svolgimento della stessa, le attività concretamente poste in essere dai volontari e dagli eventuali lavoratori, nonché le motivazioni che giustificano il ricorso a soggetti remunerati.

Si richiama, infine, l’attenzione degli uffici registranti sull’ eventuali violazioni indirette dei limiti imposti dal Legislatore nell’utilizzo di lavoratori remunerati da parte di un’organizzazioni di volontariato. Tale limite, infatti, potrebbe essere eluso attraverso il ricorso a contratti di appalto con i quali l’organizzazione affida a terzi lo svolgimento della propria attività istituzionale. La valutazione della legittimità di tali contratti – anche in questo caso – deve essere svolta tenendo conto dei criteri sopra delineati.

[18] Cfr T.A.R. Puglia Bari Sez. II, 7 luglio 1997, n. 519 in Trib. Amm. Reg., 1997, I, 3346 “È legittimo il provvedimento che dispone la cancellazione dal registro regionale delle Organizzazioni di volontariato di un’associazione che retribuisce le prestazioni lavorative dei propri aderenti”. T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 7 giugno 1996, n. 440 in Trib. Amm. Reg., 1996, I, 3465 “È legittimo il provvedimento con cui, nella regione Puglia, un assessore ai servizi sociali disponga che dal registro generale delle organizzazioni di volontariato venga cancellata un'associazione di assistenza pubblica, attiva presso un pronto soccorso comunale, essendo emerso che su 4 medici del sodalizio 3 ricevevano regolare retribuzione per l'attività prestata presso il predetto pronto soccorso; ed infatti in forza dell'art. 21, L.R. 29 marzo 1994, n. 11 – in attuazione della legge quadro sul volontariato 11 agosto 1991, n. 266 – nella regione Puglia ogni forma di compenso va riconosciuta incompatibile rispetto alla natura stessa dell'attività di volontariato, mentre si ammette il rimborso delle relative spese solo in presenza di idonee garanzie di trasparenza ed entro limiti fortemente rigorosi. T.A.R. Puglia Bari Sez. II, 21 ottobre 1995, n. 963 in Foro Amm., 1996, 2436 “È legittimo il provvedimento di cancellazione dal registro generale delle organizzazioni di volontariato, disposta in ragione della rilevata assenza del requisito della gratuità delle prestazioni rese nello svolgimento dell'ordinaria attività. T.A.R. Campania Napoli, 20 gennaio 2000, n. 148 in Foro Amm., 2000, 1916 “ Ai fini dell'iscrizione di un'associazione nel registro regionale del volontariato, gli aspetti di gratuità dell'ente sono preminenti e devono sussistere in concreto, sicché è legittimo il provvedimento che nega l'iscrizione a seguito della riscontrata onerosità delle prestazioni professionali ed infermieristiche”.

[19] Cfr. T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 23 aprile 2002, n. 693 in Foro Amm. TAR, 2002, 1423 “(…) il diritto dell'associazione all'iscrizione nel Registro Regionale del Volontariato non risulta escluso dalla presenza di lavoratori autonomi o subordinati, purché l’organizzazione si avvalga di essi nei limiti necessari al regolare funzionamento dell'organizzazione ovvero per qualificare o specializzare l'attività svolta, ed a condizione che l'apporto collaborativo di soggetti dipendenti o convenzionati lasci comunque sussistere il carattere determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite degli aderenti (conf. T.A.R. Campania, Sez. Salerno, 26 novembre 1997, n. 694 )”.

4.5.5. Obblighi assicurativi per i volontari

Tutte le organizzazioni di volontariato hanno l’obbligo di assicurare tutti gli aderenti che prestano attività di volontariato, ai sensi dell’art. 4 della L. 266/91, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento di detta attività, nonché per la responsabilità civile verso terzi.

La copertura assicurativa deve avvenire tramite assicurazioni private che possono essere stipulate in forma collettiva o in forma numerica come previsto dall’art. 2 del D.M. 14 febbraio 1992. Gli oneri relativi alla copertura assicurativa, qualora l’organizzazione stipuli delle convenzioni con gli enti pubblici, sono a carico dell'ente pubblico con il quale viene stipulata la convenzione medesima [20].

Le generalità e i dati anagrafici dei soggetti assicurati devono essere annotati nel “registro degli aderenti che prestano attività di volontariato” nello stesso giorno in cui sono ammessi a far parte dell'organizzazione e contestualmente comunicati alla compagnia assicurativa prescelta. Le garanzie assicurative decorrono dalle ore 24 del giorno di iscrizione nel registro e perdono efficacia dalle ore 24 del giorno della cancellazione che va effettuata lo stesso giorno in cui la cessazione si verifica. Il registro deve essere numerato progressivamente in ogni pagina, bollato in ogni suo foglio da un notaio, o da un altro pubblico ufficiale abilitato a tali adempimenti.

Le organizzazioni di volontariato, ai sensi dell’art. 4 del decreto sopra richiamato, sono tenute a comunicare a ciascuna regione o provincia autonoma nel cui territorio esercitano la loro attività ed all’osservatorio nazionale per il volontariato l’avvenuta stipulazione delle polizze, entro i trenta giorni successivi a quello della stipulazione delle polizze stesse.

Pertanto, gli uffici registranti invitano le organizzazioni a comunicare tempestivamente l’avvenuta stipulazione delle polizze, trattandosi di un obbligo di legge la cui violazione può essere fonte di responsabilità dell’associazione verso il volontario che abbia subito un danno.

[20] Cfr. Legge 266/91, art. 7.

4.6. Democraticità della struttura

La democraticità della struttura è da intendersi come l’obbligo di osservare e garantire all’interno dell’organizzazione di volontariato la parità di trattamento tra gli aderenti e la loro effettiva partecipazione alla vita associativa. Pertanto gli uffici registranti verificano che le previsioni statutarie siano ispirate ai principi della partecipazione democratica e dell’uguaglianza dei diritti attribuiti agli aderenti [21].

In particolare, gli statuti devono conformarsi – oltre che alle previsioni di legge previste per la forma giuridica prescelta – ai principi ed alle previsioni di seguito elencati:

– l’esclusiva competenza dell’assemblea dei soci riguardo alle determinazioni di maggior rilievo per la vita dell'organizzazione (l'elezione degli amministratori, l'approvazione dei rendiconti espressamente previste dalla legge quadro, le modifiche statutarie e l'eventuale scioglimento dell'organizzazione);

– la parità di diritti e doveri degli aderenti;

– il principio maggioritario per l’assunzione delle determinazioni dagli organi collegiali;

– la maggioranza qualificata per le delibere di scioglimento;

– la convocazione dell’ assemblea deve essere portata a conoscenza degli aderenti con un congruo anticipo unitamente all’ordine del giorno della seduta;

– diritto di voto attivo ( ossia la possibilità di eleggere) a tutti i soci e, in via generale, anche il diritto di voto passivo (ossia la facoltà di essere eletti alle cariche associative).

– la limitazione del numero di deleghe conferite al medesimo aderente al fine di evitare che l’eventuale concentrazione in capo ad uno stesso soggetto si traduca in una compressione del principio di democraticità. Il numero di deleghe ammesse deve essere valutato in considerazione del numero complessivo di aderenti all’organizzazione, tuttavia, indicativamente si ritiene possa essere congruo il numero massimo di tre [22].

– il riconoscimento ad una minoranza dei soci (solitamente un decimo) del il diritto di ottenere la convocazione delle assemblee;

– l’assenza di coincidenza numerica tra i componenti dell'organo direttivo e la base associativa;

– il divieto di attribuire un peso maggiore al voto di chi ricopre determinate cariche (es. Presidente) o appartiene a specifiche categorie di aderenti o di dichiarare invalide le sedute degli organi collegiali per la sola assenza degli aderenti che ricoprono determinate cariche o appartengono a specifiche categorie di aderenti;

– l’assenza di previsioni che impediscano o limitino di fatto l’esercizio dei diritti spettanti agli aderenti (ad esempio: la sistematica convocazione di seconde sedute dell’assemblea in giorni, luoghi e orari che rendano di fatto difficoltosa la partecipazione degli aderenti, la convocazione inviata senza un congruo anticipo rispetto alla data fissata per le riunioni, l’espulsione non motivata degli aderenti, il divieto per gli espulsi di adire l'autorità giudiziaria … ).

– il principio della collegialità dell’organo amministrativo.

[21] TAR Venezia Sez. I 13.03.09 n. 620 Quanto al primo aspetto (assenza di democraticità) evidenziato nel provvedimento di cancellazione come ostativo al rinnovo dell'iscrizione nel Registro delle Organizzazioni di Volontariato, tenuto conto che il rispetto di tale principio implica la possibilità per i soci di partecipare liberamente e senza condizionamenti alle scelte operative ed alla gestione dell'attività dell'associazione, senza incorrere in alcun tipo di ostacolo, si osserva come l'attribuzione della giurisdizione al Patriarca, cui spetta di approvare lo statuto, i regolamenti e loro modifiche, appaia in contrasto con l'osservanza di tale requisito. Proprio la disamina dei singoli articoli dello statuto dimostra che tale giurisdizione è in grado di incidere sullo svolgimento dell'organizzazione, in quanto al Patriarca, a mezzo di un suo delegato, spetta di approvare lo statuto, i regolamenti e relative modifiche, la nomina di un eventuale commissario ad acta in caso di necessità ed al Patriarca sarà devoluta, in caso di scioglimento, una parte cospicua del patrimonio dell'associazione (75%), mentre solo il rimanente 25% sarà devoluta ad associazioni affini iscritte al Registro. T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 23 aprile 2002, n. 693.Il principio di "democraticità" richiede che, nelle organizzazioni di volontariato, non debbano prevalere forme che non ammettano la partecipazione dei soci volontari al governo ed alle scelte operative degli organismi ai quali aderiscono. Nella specie, l'organizzazione risulta composta da n. 20 (venti) soci fondatori nonché da altri che saranno ammessi e dallo Statuto risulta attribuito a tutti i soci, senza distinzione alcuna, il diritto di voto attivo e passivo, per cui, conseguentemente, tutti i soci possono teoricamente accedere alla carica di componente il consiglio direttivo, possono partecipare alle decisioni in ordine alle linee programmatiche dell'associazione, possono partecipare all'approvazione del bilancio, possono partecipare alle decisioni per stabilire l'ammontare delle quote sociali e possono, infine, partecipare alle deliberazioni inerenti la modifica dello Statuto. La disciplina codicistica, con il principio di cui all'art. 21, I° comma, cc., in tema di associazioni riconosciute e fondazioni -secondo cui le deliberazioni assembleari debbono essere adottate "con la presenza di almeno la metà degli associati"- non ha voluto esprimere un criterio inderogabile, come prova, del resto, il tenore del medesimo articolo, nella parte in cui stabilisce che "in seconda convocazione la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti". Ciò anche in relazione all'osservazione secondo cui, nella materia disciplinante le associazioni non è riprodotta la norma corrispondente a quella che, con riferimento alle società per azioni (art. 2368 cc.), prevede che l'assemblea ordinaria deve deliberare a maggioranza assoluta, salvo che l'atto costitutivo richieda "una maggioranza più elevata". La norma in base alla quale, quindi, i "quorum" dell'assemblea di prima convocazione possono essere derogati soltanto in aumento (ad esclusione che per quanto concerne le assemblee finalizzate alla nomina alle cariche sociali, per le quali la possibilità di deroga è prevista soltanto in termini generici e, quindi, anche in diminuzione) non appare, infatti, estensibile alle associazioni non riconosciute.

Ne deriva che gli Statuti, per quanto riguarda l'assemblea di prima convocazione, possono prevedere "quorum" inferiori a quello legale e possono altresì sopprimere la distinzione legislativa fra assemblee di prima e di seconda convocazione. Infatti, mentre per le società con fini di lucro il diritto di voto attribuito al socio sulle materie che formano oggetto della competenza dell'assemblea scaturisce da esigenze di garanzia della partecipazione sociale, invece, per quanto concerne le associazioni, i cui membri perseguono scopi di natura ideale o, comunque, non di natura economica, non sussistono quelle esigenze di diretta partecipazione del singolo, che le norme del quinto libro del codice civile esprimono con l'attribuzione a ciascun socio del diritto di voto in assemblea.

È questa, in estrema sintesi, la "ratio" sottesa all'art. 36 cc., in base al quale sono, pertanto, gli accordi degli associati, aventi i caratteri strutturali e funzionali del contratto ( "contratti associativi" o "con comunione di scopo plurilaterali") la fonte primaria della disciplina dell'ordinamento interno e dell'amministrazione dell'associazione non riconosciuta: disciplina che, in assenza di un'espressa previsione su alcuni punti, va desunta, in via analogica, da quella prevista con riferimento alle associazioni riconosciute e, talora, con riferimento alle società, ove compatibile. Invero, soltanto nelle ipotesi in cui gli associati non abbiano espressamente escluso l'adozione del principio maggioritario per tutte le deliberazioni od anche soltanto per quelle aventi un determinato contenuto deve ritenersi che il detto principio (sancito dall'art. 21 cc., in relazione alle deliberazioni dell'assemblea dell'associazione riconosciuta, dall'art. 2386 cc., in relazione alle deliberazioni dell'assemblea della società per azioni e dall'art. 2486 cc., in relazione alle deliberazioni dell'assemblea della società a responsabilità limitata) sia richiamabile anche per le deliberazioni dell'assemblea dell'associazione non riconosciuta, in applicazione del principio dell'integrazione del contratto ex art. 1374 c.c. (cfr. Cass. Civile, Sez. I°, 16.11.1976 n. 4252).

[22] “(…) Il potere di rappresentanza è, ai sensi dell’art. 1387 del c.c., conferito dalla legge (rappresentanza legale) ovvero dall’interessato (rappresentanza c.d. volontaria); nel secondo caso, l’attribuzione del potere si realizza a mezzo di un negozio giuridico unilaterale, la procura (art. 1392 c.c.). Ciò premesso, la delega è l’atto di conferimento della rappresentanza che si realizza mediante una procura e la sua funzione è, indubbiamente, quella di dare al rappresentante il potere di compiere, in nome del rappresentato, un particolare atto che si sostanzia, nel caso di specie, nel voto in assemblea.

In definitiva, la delega di voto consiste nella procura, con la quale il socio conferisce ad un altro soggetto il potere di votare in assemblea, in suo nome e per suo conto, rappresentandolo nell’esercizio del diritto di voto. Precisata la nozione della delega di voto, si rende necessario chiarire a quale funzione essa assolva. A tal proposito, non vi è dubbio che la funzione che può definirsi certamente primaria è quella di consentire di votare a chi non avrebbe altrimenti modo di farlo e a chi, pur avendone la possibilità materiale, ritenga più opportuno avvalersi di un rappresentante; in tal senso la delega va intesa come un imprescindibile strumento di diritto che ogni ordinamento deve prevedere a tutela dell’interesse del socio alla partecipazione nelle decisioni sociali. È indicativo di tale assunto il fatto che l’art. 8 delle Disp. Att. del codice civile preveda espressamente tale possibilità, disponendo che: “La convocazione dell’assemblea delle associazioni (c.c. 20) deve farsi nelle forme stabilite dallo statuto e, se questo non dispone, mediante avviso personale che deve contenere l’ordine del giorno degli argomenti da trattare (c.c. 2366). Se non è vietato dall’atto costitutivo o dallo statuto, gli associati possono farsi rappresentare nell’assemblea da altri associati mediante delega scritta in calce all’avviso di convocazione (c.c. 2372)”. In definitiva, la scrivente ritiene che l’ammissibilità del voto per delega non possa essere esclusa a priori ma debba, certamente, essere valutata proprio in stretta connessione alla ratio che sta alla base della citata lett. h). Sarà, pertanto, da valutare negativamente l’eventuale concentrazione di numerose deleghe in capo ad un singolo soggetto che ne possa disporre a suo piacimento, in quanto ciò darebbe luogo ad una violazione del principio di democraticità tutelato dal decreto e posto a garanzia della trasparenza delle votazioni assembleari. All’opposto, ove la delega assolva alla funzione precedentemente individuata, non potrà certo essere ravvisata alcuna violazione al principio di democraticità. La scrivente ritiene, pertanto, che la previsione statutaria di riconoscere all’associato la possibilità di essere portatore di un numero limitato di deleghe svolga pienamente la funzione partecipativa alla vita assembleare e non intacchi in alcun modo il principio della democraticità tutelato dalla lett. h), comma 1 del D.Lgs. 460/97.”

4.6.1. Quorum assembleari

Il principio di democraticità della struttura delle organizzazioni di volontariato, come esposto nel paragrafo precedente, trova applicazione nel rispetto di alcune regole fondamentali quali, in primo luogo, l’eguaglianza di tutti gli aderenti nell’esercizio dei loro diritti. In particolare meritano una riflessione i quorum assembleari. L’assemblea, infatti, è l’organo composto dalla totalità degli aderenti [23] nel quale si forma la volontà dell ente.

L’art. 21 cc. disciplina il funzionamento dell’organo assembleare delle associazioni che hanno ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ai sensi del D.P.R. 361/2000.

Tale disposizione stabilisce che per la modifica dell’atto costitutivo e dello statuto è necessaria “la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti” solo se non sia stato disposto diversamente negli stessi atti da modificare. Il voto favorevole dei ¾ dei soci (e non la sola presenza) è, invece, obbligatoriamente previsto dal comma 3 dello stesso articolo, nel caso di scioglimento e conseguente devoluzione del patrimonio.

Per quanto riguarda, invece, le associazioni non riconosciute l’unica disposizione espressa è l’art. 36 cc. secondo cui “L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati”.

In merito all’applicazione anche alle associazioni non riconosciute dell’art. 21 cc., si osserva che sebbene l’orientamento della dottrina e giurisprudenza non sia del tutto uniforme, quello prevalente e più condivisibile sostiene l’applicazione di tale norma alle associazioni non riconosciute solo in assenza di un’espressa disposizione statutaria, diversamente prevalendo quanto previsto nell’accordo degli associati.

Si ricorda che le previsioni statutarie, nel caso delle Organizzazioni di Volontariato, devono essere conformi non soltanto alle disposizioni di legge eventualmente previste per la forma giuridica prescelta ma anche ai requisiti previsti dalla L. 266/91. Pertanto, nel caso di un’associazione non riconosciuta, gli statuti possono prevedere deroghe – con riguardo ai quorum assembleari – rispetto alle previsioni di cui all’art. 21 cc., purché siano comunque idonei a garantire il rispetto del principio di democraticità.

[23] Vedi infra paragrafo 4.6.2.

4.6.2. Organi sociali

Le organizzazioni di volontariato – come tutte le persone giuridiche – istituiscono degli organi attraverso i quali formano ed esprimono la propria volontà.

Gli uffici registranti, pertanto, verificano che gli atti costitutivi o gli statuti disciplinino gli organi necessari per espressa previsione di legge. Sono organi necessari:

– l’Assemblea degli aderenti che è l’organo deliberante nel quale si forma la volontà dell’organizzazione di volontariato ed è composto dalla totalità degli aderenti; ad essa spettano le decisioni relative alla vita, all’attività, alla disciplina dell’ente. L’assemblea deve essere convocata dagli amministratori almeno una volta l’anno per l’approvazione del bilancio. Può essere inoltre convocata ogniqualvolta se ne ravvisi la necessità ovvero quando ne è fatta richiesta motivata da almeno un decimo [24] degli associati.

– gli Amministratori che costituiscono l’organo di governo dell’ente del quale hanno altresì la rappresentanza. Sono nominati dall’assemblea degli aderenti e scelti tra i medesimi; rivestono tale carica per un tempo determinato e possono essere solo persone fisiche. L’atto costitutivo e lo statuto possono prevedere ulteriori funzioni per questo organo, riconoscendo al medesimo anche funzioni deliberative. I poteri degli amministratori trovano, comunque, un limite nelle deliberazioni dell’assemblea degli associati.

L’atto costitutivo e lo statuto possono prevedere ulteriori organi:

– il Presidente che è il responsabile dell’organizzazione di volontariato, convoca e presiede le riunioni dell’assemblea. Lo statuto deve prevedere la durata della carica.

– l’Organo di Controllo può essere previsto sul modello del collegio sindacale presente nelle società di capitali. Nello statuto sono indicati la composizione dell’organo, la durata in carica e le modalità di nomina e revoca dei membri;

– il Collegio dei Probiviri o Garanti il cui compito è di decidere in merito alle controversie tra gli aderenti o tra gli aderenti e l’organizzazione di volontariato.

Per quanto concerne gli organi eventuali l’atto costitutivo e lo statuto contengono le indicazioni in merito alla nomina (o elezione), al funzionamento, alla durata e alla composizione. Gli uffici registranti verificano che tali previsioni statutarie siano coerenti con il principio di democraticità dell’organizzazione di volontariato e che siano rispettati i requisiti di elettività e di gratuità delle cariche associative.

[24] Per le associazioni non riconosciute viene fatta salva la previsione statutaria se espressa, diversamente si applica in via analogica la previsione indicata dal codice per le associazioni riconosciute.

4.6.3. Elettività e gratuità delle cariche associative

Tutte le cariche associative sono elettive e gratuite. Per quanto concerne il requisito della elettività l’ufficio registrante verifica che l’atto costitutivo o lo statuto:

– non contengano clausole che consentano solo a taluni membri l’accesso alle cariche sociali, in quanto queste dovranno essere attribuite mediante regolare elezione da parte dell’assemblea degli associati;

– non prevedano un sistema di rinnovo automatico o una durata eccessivamente prolungata delle cariche medesime.

Lo statuto o l’atto costitutivo devono, inoltre, prevedere espressamente la gratuità delle cariche. Si rileva, in primo luogo, che non si considera come remunerazione l’eventuale rimborso per le spese sostenute in nome e per conto dell’organizzazione di volontariato da parte degli aderenti che ricoprono cariche associative e, inoltre, che non possono ricoprire cariche associative coloro che sono legati all’organizzazione da un qualsiasi rapporto lavorativo di contenuto patrimoniale. Tali requisiti si configurano come una specifica applicazione di quanto previsto per la gratuità delle prestazioni degli aderenti, come si evince dalla lettura dell’art. 2 della legge 266/91 che esclude la possibilità di ricevere alcun tipo di emolumento per i soci, come già richiamato nel paragrafo 4.5.4.

4.7. Previsione dell'obbligo di formazione del bilancio e modalità di approvazione dello stesso

L’ultima clausola obbligatoria da indicarsi nello statuto è relativa alla redazione del bilancio consuntivo. Si rammenta che le organizzazioni di volontariato, in quanto enti non commerciali, non sono soggette a particolari obblighi di rendicontazione. In particolare, in materia di bilancio, sono tenute a rispettare le scarne disposizioni contenute nella legge quadro che prevede al terzo comma dell’art. 3 che: “Negli accordi degli aderenti, nell’atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l’organizzazione assume, (…) devono essere altresì stabiliti l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti.”

La norma indicata non fornisce alcuna informazione in merito alla forma del bilancio né indica schemi specifici ai quali attenersi. Di fatto, individua solo gli elementi “essenziali” riguardo l’obbligo di redazione e il contenuto minimo obbligatorio del bilancio.

Gli uffici registranti verificano che la clausola relativa alla formazione e approvazione del bilancio sia contenuta nello statuto e che non sia indicato un organo diverso dall’assemblea per l’approvazione dello stesso.

4.8. Disposizione statutaria relativa alla devoluzione

Ai sensi dell’art. 5, comma 4, della legge 11 agosto 1991, n. 266, “in caso di scioglimento, cessazione ovvero estinzione delle organizzazioni di volontariato, ed indipendentemente dalla loro forma giuridica, i beni che residuano dopo l'esaurimento della liquidazione sono devoluti ad altre organizzazioni di volontariato operanti in identico o analogo settore, secondo le indicazioni contenute nello statuto o negli accordi degli aderenti, o, in mancanza, secondo le disposizioni del codice civile”.

La normativa non prevede che la clausola devolutiva sia indicata obbligatoriamente nello statuto – non essendo questa indicata tra le clausole obbligatorie ai sensi del terzo comma dell’art. 3 della legge quadro – tuttavia, in caso di scioglimento, cessazione o estinzione dell'organizzazione gli eventuali beni rimanenti dopo la liquidazione devono essere devoluti ad altre organizzazioni di volontariato – iscritte anch’esse nel registro – che svolgono la loro attività nel medesimo o in analogo settore.

Gli uffici registranti verificano che nello statuto non sia contenuta una previsione diversa o contraria rispetto a quanto stabilito nella legge quadro e invitano le organizzazioni di volontariato a sanare l’eventuale anomalia – che potrebbe legittimamente determinare il rigetto della domanda di iscrizione al Registro Regionale (o Provinciale) – attraverso una modifica dello statuto.

4.9. Eventuale operatività anteriore all’iscrizione

L’operatività dell’organizzazione di volontariato antecedente rispetto alla richiesta di iscrizione non rientra tra i requisiti previsti dalla legge 266/91. Tale requisito è introdotto con espressa previsione normativa in alcune regioni per poter procedere all’iscrizione dell’organizzazione al registro, essendo considerato indice di affidabilità, solidità e reale operatività dell’organizzazione stessa.

Gli uffici registranti verificano che l’organizzazione di volontariato richiedente l’iscrizione sia in regola con quanto previsto dalla normativa o dai singoli provvedimenti e, qualora sia prescritta, quale requisito, l’operatività dell’organizzazione di volontariato antecedente rispetto alla richiesta di iscrizione, gli uffici registranti procedono all’acquisizione e all’analisi di documentazione quale, a titolo esemplificativo, verbali di assemblea, contratti relativi all’uso di immobili, convenzioni o relazioni concernenti l’attività svolta, al fine di verificare l’effettiva operatività dell’ente.

Gli uffici registranti possono, inoltre, chiedere al Comune presso il quale l’organizzazione ha sede, un parere relativo all’operatività dell’ente.

5. Ulteriori elementi di valutazione

Il ruolo che rivestono gli uffici registranti non si esaurisce nella verifica del possesso dei requisiti indicati dalla normativa al fine di ottenere l’iscrizione nell’apposito registro. Le organizzazioni di volontariato devono, infatti, dimostrare il mantenimento nel tempo dei requisiti che hanno permesso l’iscrizione e di adempiere agli oneri derivanti dall’iscrizione medesima [25].

La valutazione complessiva di elementi ulteriori – quali sono quelli analizzati nei paragrafi successivi – rispetto ai soli requisiti normativi, permette di avere una visione complessiva dell’organizzazione di volontariato.

[25] Vedi infra par. 6.2.

5.1. Risorse economiche

L’organizzazione di volontariato trae le risorse economiche necessarie per il perseguimento dello scopo solidaristico individuato nello statuto dalle fonti tassativamente elencate nell’art. 5 della legge 266/91.

Esse sono:

a) contributi degli aderenti;

b) contributi di privati;

c) contributi dello Stato, di enti ed istituzioni pubbliche, finalizzate esclusivamente al sostegno di specifiche e documentate attività o progetti;

d) contributi di organismi internazionali;

e) donazioni e lasciti testamentari;

f) rimborsi derivanti da convenzioni (regolate in particolare dall’art. 7 della legge 266/91 per evidenziare la differenza con il punto c);

g) entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.

Il Legislatore ha ritenuto necessario fissare in maniera esplicita con un elenco tassativo le possibili entrate economiche su cui possono contare le organizzazioni di volontariato per garantire lo scopo essenziale per le quali le stesse sono costituite, cioè il fine solidaristico.

Le prime sei voci elencate nell’articolo di legge sopra menzionato non presentano particolari problemi riguardo la loro individuazione, merita invece un approfondimento il tema delle entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.

5.1.1. Entrate derivanti da attività produttive marginali delle Organizzazioni di volontariato

L’art. 5 della legge 266/91 annovera tra le risorse economiche delle quali possono usufruire le organizzazioni di volontariato le attività commerciali e produttive marginali. Secondo il D.M. 25 maggio 2005 “Agli effetti dell'art. 8, comma 4, della legge 11 agosto 1991, n. 266, si considerano attività commerciali e produttive marginali le seguenti attività:

a) attività di vendita occasionali o iniziative occasionali di solidarietà svolte nel corso di celebrazioni o ricorrenze o in concomitanza a campagne di sensibilizzazione pubblica verso i fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato;

b) attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;

c) cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempreché la vendita dei prodotti sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;

d) attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale;

e) attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali, non riconducibili nell'ambito applicativo dell'art. 111, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, verso pagamento di corrispettivi specifici che non eccedano del 50% i costi di diretta imputazione."

Il secondo comma del medesimo decreto precisa che le attività ammesse devono essere svolte:

“a) in funzione della realizzazione del fine istituzionale dell'organizzazione di volontariato iscritta nei registri di cui all'art. 6 della legge n. 266 del 1991;

b) senza l'impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato, quali l'uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell'impresa.”

Il D.M. 25 maggio 1995 specifica quali attività le organizzazioni di volontariato possono svolgere da un punto di vista qualitativo (tipologia delle attività commerciali ammissibili) senza introdurre parametri quantitativi.

Il richiamo al solo art. 8 comma 4 della L. 266/91 da parte del D.M., ha indotto alcuni ad esprimere dubbi circa la possibilità per le organizzazioni di volontariato di svolgere attività commerciali e produttive che esulano dalle cinque categorie individuate, con il solo limite della non prevalenza rispetto alle attività istituzionali. Il combinato disposto degli artt. 5 e 8 della legge 266/91, invero, non dovrebbe indurre a dubbi ma il richiamo diretto all’art 8 si rivela a tal proposito fuorviante. In particolare, con riferimento al recente intervento del Legislatore su questo tema con l’approvazione del D.L. n. 158 del 29 novembre 2008 (c.d. decreto anti-crisi) convertito in legge 28 gennaio 2009 n. 2, si è previsto, all’art 30 comma 5, l’esclusione dallo status di Onlus di diritto per quelle organizzazioni di volontariato che svolgono attività commerciali e produttive marginali ulteriori rispetto a quelle indicate nel D.M. 25 maggio 2005, creando un dubbio ulteriore sulla possibile esistenza di due tipi di organizzazioni di volontariato. Invece, al riguardo le regioni sono ferme nel ritenere che le organizzazioni iscritte nei registri del volontariato non possano in alcun caso svolgere attività produttive diverse da quelle marginali come individuate dal D.M.

Il risultato finale della norma è, infatti, che le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali (o provinciali) che contravvengono alla previsione dell’art. 30 del c.d. decreto anti-crisi, in ragione di tale norma, perdono la qualifica di Onlus [26], rimanendo iscritte nei registri regionali (o provinciali) del volontariato, fintanto che la regione competente, con provvedimento motivato, non le cancelli dal registro. Il Legislatore, infatti, non essendosi espresso in modo chiaro circa le ricadute conseguenti al decadimento dal regime di Onlus, ha permesso che si generasse un dubbio, cioè se le Regioni (o le Province) debbano provvedere subito a disporre la cancellazione, né la norma ha introdotto un automatismo per cui dall’esclusione della qualifica di Onlus consegue per effetto la cancellazione dal registro del volontariato: sarà dunque necessario attendere l’emissione del provvedimento di cancellazione da parte dell’organo competente.

Questo non esclude la possibilità che l’Agenzia delle Entrate invii una richiesta di cancellazione dell’organizzazione di volontariato per la perdita dei requisiti previsti all’art 5 della legge quadro. L’accoglimento di tale richiesta da parte degli uffici competenti è dovuta e comporta la perdita della qualifica di organizzazione di volontariato, con tutte le conseguenze del caso [27].

[26] Si rammenta che le OdV sono Onlus di diritto e non sono iscritte all’anagrafe unica delle Onlus (vedi circ. 127/E del 1998.

[27] Sulle conseguenze della perdita della qualifica di organizzazione di volontariato vedi infra par.7.2.

5.2. Rendicontazione e schemi di bilancio

Il Legislatore, a fronte dell’obbligo di formazione del bilancio per gli organismi di volontariato non ha mai fornito principi contabili per gli enti non profit, né ha disposto il rinvio all’applicazione dei principi contenuti nel Libro V del Codice Civile.

L’Agenzia per le Onlus – ritenendo che siano inapplicabili per analogia i principi contabili dettati per le società, perché ritenuti non adeguati a rappresentare le realtà non profit in ragione del fatto che le stesse non sono orientate a massimizzare gli utili e quindi a loro occorre dar conto di quanto realizzano in ragione della mission, in termini cioè di efficacia dell’attività – nel maggio 2008 ha approvato un documento contenente delle Linee Guida e schemi di bilancio per gli enti non profit individuando tra questi anche le organizzazioni di volontariato.

Il CSVnet ha, inoltre, presentato nel mese di giugno 2009 una proposta contenente schemi di bilancio che, seguendo l’impostazione delle Linee Guida dell’Agenzia, prevedono un sistema di rendicontazione oltremodo semplificato per le organizzazioni di piccole dimensioni.

5.2.1. Linee Guida e schemi di bilancio uniformi

Le organizzazioni di volontariato si presentano come enti estremamente eterogenei da un punto di vista dimensionale e del volume di entrate annuali.

Le piccole organizzazioni di volontariato rappresentano una percentuale molto significativa dell’intero settore e meritano una particolare attenzione nel definire delle linee guida, dei modelli e dei principi per la redazione del bilancio.

Occorre, infatti, considerare da un lato l’esiguità degli apporti di natura professionale sulle materie economico finanziarie nonché la reale possibilità di cimentarsi in un sistema di rendicontazione articolato e complesso e, dall’altro, la necessità di garantire la trasparenza delle informazioni relative alla gestione di enti anche di dimensioni ridotte.

Il bisogno di conciliare, dunque, istanze di semplificazione provenienti dal volontariato e di garantire una rendicontazione trasparente per gli stakeholder ha portato alla proposta di adottare un sistema di rendicontazione differenziato a seconda che il volume di entrate annuali superi o meno i 250.000 euro.

Secondo le linee guida dell’Agenzia, le organizzazioni i cui volumi di entrata annuali sono inferiori a 250.000 euro, redigono:

– Lo schema di rendiconto finanziario in linea con quanto indicato dall’Agenzia per le Onlus e plasmato sulle peculiarità gestionali delle organizzazioni di volontariato;

– Lo schema di situazione patrimoniale che, coerentemente con le previsioni dell’Agenzia per le Onlus, integri le informazioni finanziarie con le indicazioni circa le poste di natura patrimoniale;

– La nota integrativa semplificata (facoltativa);

– La relazione di missione;

Le organizzazioni con volumi di entrate superiori ai 250.000 euro adottano:

– Lo schema di bilancio proposto dall’Agenzia per le Onlus e composto da stato patrimoniale e rendiconto di gestione;

– La nota integrativa con i contenuti proposti nelle linee guida dell’Agenzia per le Onlus;

– Il bilancio sociale secondo le linee guida sui bilanci sociali di CSVnet.

Le piccole organizzazioni di volontariato che non superano i 20.000 euro, in base ai modelli di riferimento adottati dal CSVnet, utilizzano schemi di bilancio ancora più

semplificati. In particolare l’adozione di uno schema di rendiconto finanziario e di una scheda di attività sociale che recepisce al suo interno anche la nota integrativa semplificata (prevista dalle Linee Guida contabili dell’Agenzia per le ONLUS).

Si segnala che la Giunta Regionale del Veneto – nell’ottica di agevolare le organizzazioni di volontariato nel rispetto del principale obbligo derivante dall’iscrizione al registro del volontariato, ossia di sottoporre all’ufficio registrante un rendiconto/bilancio consuntivo e/o una relazione relativa alle attività svolte – ha approvato, sulla base dei modelli proposti dall’Agenzia per le Onlus, uno schema [28] di bilancio per le Organizzazioni di Volontariato. Tale modello non presenta delle differenziazioni rispetto al livello di entrate annuali delle Organizzazioni di Volontariato. In particolare tali schemi contengono tra le voci previste l’evidenziazione delle entrate derivanti dalle attività produttive al fine di poter valutare con facilità l’effettiva marginalità delle stesse. Le presenti Linee Guida per espressa volontà delle regioni prevedono la necessità che le organizzazioni presentino il bilancio effettuando tale evidenziazione.

[28] Tale modello con il relativo provvedimento di approvazione è consultabile sul sito della Regione Veneto.

6. I controlli sulle organizzazioni di volontariato

Il disposto di cui al primo comma dell’art. 6 della legge quadro sul volontariato delega le Regioni e le Province Autonome all’istituzione e alla tenuta dei relativi registri. Il terzo comma dell’art. 6 configura in capo alle organizzazioni di volontariato un diritto (e non un obbligo) all’iscrizione, il quale si presenta come una scelta che l’ente può fare per accedere ad un determinato regime agevolativo: benefici fiscali, convenzioni con enti pubblici, nonché accesso a finanziamenti.

Gli uffici registranti accertano che le organizzazioni di volontariato richiedenti siano in possesso delle caratteristiche delineate dalla legge quadro. L’individuazione dei requisiti in capo all’organizzazione determina l’iscrizione dell’ente richiedente al registro del volontariato.

La corretta tenuta dei registri del volontariato è l’esito di un concorso di fattori: dipende, in primis, dall’equità delle norme e delle procedure applicative e poi – in maniera fondamentale – dal rigore con cui esse vengono applicate.

In tema di controlli le principali difficoltà per un corretto svolgimento dell’attività di vigilanza da parte degli uffici competenti sono dovute ad una cronica carenza di personale, di risorse economiche e di tempo che non consente di svolgere controlli che non siano meramente formali. Non agevola, inoltre, la mancanza di una precisa procedura di revisione definita dalla normativa. Occorre da ultimo distinguere tra le attività di controllo – caratterizzata dall’analisi dei documenti inviati periodicamente dalle organizzazioni di volontariato – rispetto all’attività di vigilanza – intesa come visite ed ispezioni in loco – che non risulta essere praticata in via ordinaria e sulla quale, in taluni casi, si argomenta se tale potere sia riconosciuto alle Regioni.

Le attività di controllo sui soggetti iscritti sono indispensabili per asseverare la qualità delle organizzazioni di volontariato e sulle attività dalle stesse svolte e promosse. Le problematiche sopra evidenziate creano, tuttavia, alcune difficoltà. Infatti, laddove non siano state adottate metodologie di controllo approfondite e regolari nel tempo è ostacolata la possibilità di riscontrare le eventuali incongruenze tra le previsioni normative e le attività svolte dalle organizzazioni iscritte, con la conseguenza che i registri corrono il rischio di essere percepiti come un mero elenco di organizzazioni sulle quali grava più di un’incognita e non degli efficaci strumenti di rappresentazione delle corrette organizzazioni di volontariato.

6.1. Revisione del registro

La verifica del mantenimento dei requisiti comprovati in fase di iscrizione è effettuata nei tempi e secondo le modalità previste dalle singole normative regionali o provinciali sulla base di quanto previsto al quarto comma dell’art. 6 che dispone “Le regioni e le province autonome determinano i criteri per la revisione periodica dei registri, al fine di verificare il permanere dei requisiti e l’effettivo svolgimento dell’attività di volontariato da parte delle organizzazioni iscritte.”.

6.2. Procedura e adempimenti delle organizzazioni di volontariato ai fini del mantenimento dell’iscrizione

Le disposizioni normative o singoli provvedimenti regionali o provinciali indicano le modalità ed i tempi previsti per l’invio della documentazione (o di autocertificazioni che attestino il mantenimento dei requisiti) necessaria agli Uffici registranti per la revisione del registro, da parte delle organizzazioni di volontariato.

In particolare, le organizzazioni di volontariato devono:

– Inviare nei tempi e con le modalità previste dalla normativa regionale (o provinciale) o da singoli atti la documentazione necessaria affinché gli uffici registranti possano verificare, all’atto della revisione dei registri, il permanere di tutti i requisiti che avevano permesso l’iscrizione dell’organizzazione di volontariato nell’apposito registro;

– Comunicare all’ufficio registrante competente ogni modifica apportata all’atto costitutivo e allo statuto, le variazioni inerenti la denominazione sociale, la rappresentanza legale e la sede legale oltre a qualunque cambiamento riguardante gli elementi connessi all’iscrizione. Tali comunicazioni possono considerarsi “straordinarie”, trattandosi di informazioni da trasmettere tempestivamente -indipendentemente dagli adempimenti previsti per le revisioni periodiche – agli uffici registranti;

– Conservare, in base all’ultimo comma dell’art. 6 della legge 266/91, la documentazione relativa alle risorse economiche elencate nel primo comma dell’articolo 5 della medesima legge, con l’indicazione nominativa dei soggetti eroganti;

– Assicurare i propri aderenti volontari [29] come previsto all’art. 4 della L. 266/91;

– Attenersi alla normativa speciale che regola l’attività svolta (quali ad esempio l’attività sanitaria o il trasporto di ammalati).

Le presenti Linee Guida propongono – quale strumento adottato ai fini di verificare il mantenimento dei requisiti formali e sostanziali – l’utilizzo di una scheda realizzata nel corso dei lavori. Tale scheda il cui utilizzo permette di raccogliere in modo omogeneo i dati riguardanti gli enti, si compone di una parte anagrafica, per la cui verifica si rimanda al paragrafo n. 3 delle presenti Linee Guida, mentre per la restante parte si rinvia alla stesura definitiva.

L’efficacia della scheda viene, inoltre, rafforzata dalla richiesta di inoltro della stessa con la firma in calce del legale rappresentante ai sensi del D.Lgs. n. 445 del 2000 art. 17, ovvero con valore di dichiarazione sostitutiva di certificazione che conferisce alle dichiarazioni sottoscritte un valore di veridicità fino a querela di falso e con riflessi di responsabilità anche penale a chi le sottoscrive.

Ovviamente, questa efficacia del controllo poggia sulla responsabilità che si assumono le organizzazioni circa la garanzia che offrono sull’effettivo possesso dei requisiti prescritti dalla legge per mantenere il regime di favore derivante dalla legge 266/91. Ciò non esclude un’attività di controllo attiva che può essere effettuata solo in base ad una procedura definita dalla Regione, ovvero, è necessario perché le attività di controllo siano legittime che siano state prima definite e approvate dagli organi di governo territoriale competenti.

[29] Sull’assicurazione degli aderenti che prestano attività di volontariato vedi supra par. 4.5.5.

7. La cancellazione delle organizzazioni di volontariato dal registro

La normativa relativa alla cancellazione non delinea in modo chiaro quali siano i poteri attribuiti agli uffici in questa materia. Espressioni quali “cessazione dello svolgimento dell’attività di volontariato” e “venir meno dei requisiti” finiscono quindi per sollevare diversi dubbi interpretativi. In particolare, ci si chiede se sia sufficiente la mancata comunicazione da parte delle organizzazioni di dati e informazioni richiesti per ritenere che siano venuti a mancare i requisiti che avevano permesso l’iscrizione. Infatti, in caso di mancata comunicazione non è definito a livello normativo quali obblighi sussistano in capo agli uffici registranti riguardo la verifica dei requisiti delle organizzazioni di volontariato.

7.1. Le cause di cancellazione dal Registro

Talune normative regionali (o provinciali) indicano alcuni dei casi in cui è prevista la cancellazione delle organizzazioni di volontariato dal registro. In particolare, si procederà alla cancellazione nel caso di:

– Cancellazione spontanea: istanza di cancellazione presentata dallo stesso ente iscritto;

– Cancellazione d’ufficio: perdita di uno o più requisiti richiesti per l’iscrizione;

– Inadempimenti rispetto agli obblighi previsti dalle normative regionali (o provinciali): mancata presentazione entro i termini previsti della documentazione richiesta per il mantenimento dell’iscrizione al registro.

7.1.1. Il procedimento di cancellazione

Il provvedimento di cancellazione può essere adottato:

– al termine di un procedimento di verifica della sussistenza o meno dei requisiti previsti dalla legge che devono essere sempre posseduti dalle organizzazioni di volontariato, per il mantenimento dell’iscrizione nel registro regionale;

– in seguito a istanza di cancellazione presentata dall’organizzazione di volontariato iscritta al registro.

Nel caso in cui la cancellazione sia disposta d’ufficio, la stessa può avvenire solo dopo preavviso con cui si comunicano all'organizzazione interessata le motivazioni che inducono ad adottare il provvedimento di cancellazione e si invita l'organizzazione stessa a produrre, entro un termine congruamente determinato [30], le proprie controdeduzioni. L'obbligo di comunicare alle Organizzazioni di Volontariato l’avvio del procedimento di cancellazione permette di garantire alle stesse il diritto di partecipazione attiva al procedimento. La comunicazione non può essere sostituita da una mera conoscenza di fatto dell’avvio del procedimento da parte delle organizzazioni di volontariato. L’importanza del buon esito della notifica della comunicazione di avvio del procedimento di cancellazione è inoltre rilevante in quanto decorre da tale data il termine determinato per le controdeduzioni.

La mancata presentazione, nonostante diffida, della documentazione finalizzata alle revisioni periodiche, può ritenersi elemento sufficiente ai fini della cancellazione dal Registro. Si invitano, a questo proposito, gli uffici registranti a definire un termine congruo per consentire alle organizzazioni di volontariato – che non abbiano presentato la documentazione necessaria ai fini della revisione del registro (nonché l’ipotesi in cui le organizzazioni non provvedano a fornire le informazioni o i documenti integrativi richiesti dagli uffici per completare, ad esempio, la revisione annuale) – di conoscere le motivazioni dell’eventuale provvedimento di cancellazione e di porvi rimedio.

Il provvedimento di cancellazione, adeguatamente motivato, è adottato dall’ufficio o dall’organo competente e si raccomanda di notificarlo tramite raccomandata con avviso di ricevimento all'organizzazione interessata, al fine di garantire la conoscibilità del provvedimento [31].

Il provvedimento di cancellazione è impugnabile avanti al Tribunale Amministrativo Regionale, come da previsione espressa nell’art. 6 della L. n. 266 del 1991, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui sopra.

[30] Per quanto concerne il procedimento amministrativo si rinvia alle disposizioni contenute nella L. 241/90.

[31] Sul tema si veda le seguente pronuncia del T.A.R.

T.A.R. Puglia Bari, 19 ottobre 2007, n. 2588

Le garanzie previste dagli artt. 7 e 10 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (di cui l'associazione denuncia la violazione) si concretizzano e si specificano, nella disciplina settoriale, anche nel disposto dell'articolo 3, secondo comma, della legge regionale 29 marzo 1994, n. 11, per il quale "La cancellazione di un'organizzazione dal Registro è disposta, con decreto dell'Assessore ai servizi sociali, per accertata perdita dei requisiti e delle condizioni necessarie per l'iscrizione, ovvero per richiesta espressa dell'organizzazione interessata. La mancata presentazione, nonostante diffida, della documentazione di cui al precedente comma 1 costituisce accertamento della perdita dei requisiti".

In realtà, tale diffida (a produrre la documentazione probante il permanere dei requisiti e l'effettivo svolgimento dell'attività di volontariato, pena la cancellazione del registro generale) non risulta essere stata mai effettuata, né dalla Regione né dal Comune di Canosa di Puglia. Quest'ultimo ha invece esclusivamente proposto la cancellazione, con Det. 26 giugno 2006, n. 238 sulla base dell'assenza degli atti richiesti (e non poi esibiti dall'associazione), con la nota 13 giugno 2006 n. 17361, ma senza la formale ammonizione prevista dalla legge regionale.

Invero, la stessa Regione si mostra consapevole della lacuna procedimentale, tanto che il Dirigente della Regione Puglia-Assessorato alla solidarietà- aveva invitato il Comune a "ridiffidare l'associazione in parola preannunciandole che in caso di inadempienza si provvederà alla cancellazione dalla Registro generale" (nota 17 novembre 2006 protocollo n. 42/SS/9006/s). L'Ente municipale però aveva ritenuto tale incombente superfluo; ma ciò è inesatto, sia perché l'istante ha prodotto in data 18 settembre 2007 la nota di trasmissione dei prescritti documenti (allegando invero, in sede processuale, solo l'attestazione dei requisiti e la relazione delle attività), sia perché, a norma della disposizione applicata, solo la diffida consente la cancellazione (nell'ipotesi di "mancata presentazione…della documentazione"), senza che sia compiuto uno specifico accertamento sull'esistenza dei presupposti della conservazione dell'iscrizione medesima, come deducibili dall'articolo 2 della legge regionale 29 marzo 1994, n. 11 (accertamento che ovviamente dev'essere riportato esplicitamente nella motivazione del provvedimento).

D'altronde una diversa interpretazione della legislazione pugliese porrebbe quest'ultima in contrasto con l'articolo 6, comma IV, della legge 11 agosto 1991, n. 266, il quale impone: "Le regioni e le province autonome dispongono la cancellazione dal registro con provvedimento motivato".

Tali conclusioni non sono smentite dalle contestazioni della Regione Puglia, costituitasi in giudizio.

Esse fanno leva sulla Delib.G.R. 24 giugno 1999, n. 798 ("Conferimento delle funzioni in materia di servizi sociali. Atto di indirizzo e coordinamento"), il quale, in attesa della modifica della legislazione regionale in attuazione del decreto legislativo 30 marzo 1999, n. 96, ha conferito ai comuni "l'accertamento dei requisiti e le relative modifiche delle organizzazioni di volontariato, di cui alla legge regionale 29 marzo 1994, n. 11" (n. 4, lettera c). A prescindere dalla circostanza che dalla lettura della delibera nel suo complesso sorgono dubbi sull'effettivo trasferimento delle competenze, visto che essa rinvia ad ulteriori provvedimenti puntuali del Settore Servizi sociali, si deve osservare che il Comune non ha compiuto alcuna effettiva attività di accertamento in vista della cancellazione (ma ha esclusivamente proposto la cancellazione sulla base della mancata trasmissione della documentazione). Risulta invece che, anche dopo l'atto di indirizzo giuntale, la tenuta del Registro continui in ogni caso ad essere affidata alla Regione (come d'altronde dimostrato dallo stesso atto impugnato) e ad essere disciplinata dalla legge regionale n. 11/1994, che accorda valore surrogatorio (dell'accertamento positivo del venir meno dei requisiti) alla mancata presentazione dei documenti, ai fini della cancellazione, solo ove tale espunsione sia stata formalmente annunciata, tramite diffida. Il ricorso proposto dunque dev'essere accolto. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

7.2. Gli effetti della cancellazione

La cancellazione di un’organizzazione di volontariato dall’apposito registro comporta per l’ente la perdita della qualifica di organizzazione di volontariato ai sensi della legge 266/91. La diretta conseguenza è il venir meno delle agevolazioni fiscali previste dall’articolo 8 della legge quadro.

Gli ulteriori effetti derivanti dalla perdita della qualifica di organizzazioni di volontariato ai sensi della legge 266/91 sono:

– la perdita della qualifica di onlus di diritto e tutti gli ulteriori benefici previsti dalla normativa e ai quali l’ente ha avuto accesso essendo iscritto al registro;

– la risoluzione automatica delle convenzioni stipulate con un ente pubblico in quanto una delle condizioni per stipulare e mantenere una convenzione è l’iscrizione nel registro (salvo diversa previsione espressa nella convenzione medesima).

8. La devoluzione del patrimonio delle organizzazioni di volontariato

La legge 266/1991 all’articolo 5, comma 4 dispone: “in caso di scioglimento, cessazione ovvero estinzione delle organizzazioni di volontariato, ed indipendentemente dalla loro forma giuridica, i beni che residuano dopo l’esaurimento della liquidazione sono devoluti ad altre organizzazioni di volontariato operanti in identico o analogo settore, secondo le indicazioni contenute nello statuto o negli accordi degli aderenti, o, in mancanza, secondo le disposizioni del codice civile”.

La ratio di questa disposizione risiede nell’intento del Legislatore di mantenere nel circolo virtuoso del volontariato il patrimonio formatosi anche in forza delle agevolazioni fiscali delle quali godono le organizzazioni stesse.

Si rileva che la legge quadro non prevede sanzioni per l’inosservanza dell’obbligo devolutivo, né sono previsti un procedimento e un’autorità controllante che ne assicurino il rispetto.

L’estinzione dell’organizzazione di volontariato rientra tra le ipotesi previste dell’art 5, comma 4 della legge quadro, in particolare le cause che portano all’estinzione dell’ente iscritto sono:

– lo scadere del termine di durata dell’organizzazione (qualora previsto);

– la dichiarazione di nullità del contratto associativo;

– la delibera assembleare di scioglimento (articolo 21, comma 3, cc.);

– l’articolo 27, comma 1, del codice civile, infine prevede che “oltre che per le cause previste nell’atto costitutivo e nello statuto, la persona giuridica si estingue quando lo scopo è raggiunto o è divenuto impossibile. Le associazioni si estinguono inoltre quando tutti gli associati sono venuti a mancare.” Tale norma, secondo la dottrina dominante, è applicabile anche alle associazioni non riconosciute e ai comitati.

Parte della dottrina ritiene che la cancellazione dal registro del volontariato si possa configurare, seppur con molte riserve, come cessazione dell’organizzazione stessa. Tale interpretazione risulta, peraltro, condivisa dall’agenzia per le Onlus [32]. Si ritiene che la devoluzione del patrimonio in caso di cancellazione dal registro – sia su istanza dell’ente sia d’ufficio – senza che derivi lo scioglimento dell’organizzazione di volontariato, sia vincolato alla devoluzione del patrimonio limitatamente all’incremento patrimoniale realizzato nei periodi d’imposta in cui ha fruito delle agevolazioni derivanti dall’iscrizione al registro stesso.

Problematica appare anche la questione relativa alla trasformazione dell’organizzazione di volontariato: la normativa vigente in materia, infatti, non contempla l’ipotesi della trasformazione di un ente non profit, intesa come passaggio dalla tipologia organizzativa disciplinata da una legge speciale a quella disciplinata da altra legge. Risulta perciò molto dibattuta in dottrina, l’applicabilità a tali ipotesi dell’obbligo di devoluzione. Una prima considerazione concerne il patrimonio che rimarrebbe nel circolo virtuoso dell’utilità sociale, come conseguenza dell’iscrizione nel registro delle associazioni di promozione sociale.

A favore di questa interpretazione si rileva che la ratio delle norme sugli obblighi di devoluzione degli enti senza scopo di lucro risiede nell’evitare che il patrimonio accumulato con uno speciale regime fiscale di favore, riconosciuto in virtù della rilevanza dell’attività di un ente per la collettività, possa essere destinato a fini diversi e non altrettanto meritori. Sono numerose, infatti, le leggi speciali emanate per altre tipologie di enti non profit che, relativamente alla materia della devoluzione, contengono previsioni meno restrittive di quella sul volontariato, la quale prevede come possibili beneficiari solamente altre organizzazioni di volontariato operanti, inoltre, in identico o analogo settore. Il riferimento, in particolare, è all’articolo 3, comma 1, lettera l), della legge n. 383 del 2000, che per le APS prevede “l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo in caso di scioglimento, cessazione o estinzione, dopo la liquidazione, a fini di utilità sociale”, e all’articolo 10, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 460 del 1997, che concede alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale la possibilità di devolvere il patrimonio, anziché ad un’altra Onlus, a fini di pubblica utilità.

Ci si domanda, quindi, se, in un caso come quello sopra delineato, l’obbligo di devoluzione del patrimonio debba essere rispettato e, in caso affermativo, se debba essere applicato senza mitigazioni di sorta.

[32] Si rimanda a quanto indicato nell’Atto di indirizzo in relazione alla devoluzione del patrimonio a seguito della perdita della qualifica di Onlus senza scioglimento dell’ente elaborato dall’agenzia per le Onlus.

9. I dati e le informazioni annotati nel registro e l’accessibilità dei terzi

La trasparenza dei registri – ovvero la facilità di accesso alle informazioni in essi contenute – costituisce un elemento di importanza analoga rispetto all’efficienza del procedimento di registrazione delle organizzazioni di volontariato e di tenuta dei registri.

È auspicabile che i dati relativi alle organizzazioni di volontariato siano fruibili attraverso i canali informatici. La divulgazione dei contenuti del registro attraverso i mezzi informatici favorirebbe, infatti, un’immediata fruizione delle informazioni disponibili da parte dei cittadini e consentirebbe agli uffici registranti di limitare il tempo dedicato a rispondere a eventuali istanze di visura.

Si ritiene opportuno indicare quali informazioni costituiscano i dati “minimi” da annotare nel registro regionale del volontariato accessibile dal pubblico:

– Denominazione sociale;

– Data di iscrizione;

– Sede legale;

– Codice fiscale;

– Settori di attività.

Si ritiene che le informazioni indicate permettano, da un lato, una chiara identificazione dell’ente da parte dei terzi e, dall’altra, non violino le disposizioni in materia di privacy. Si invitano gli uffici registranti a richiedere alle Organizzazioni di Volontariato di sottoscrivere una liberatoria per l’utilizzo dei dati tutelati dalla normativa in materia di privacy.