Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 12 Gennaio 2008

Ordinanza 21 agosto 2007, n.17767

Cassazione di Cassazione.Sez. I Civile. Ordinanza 21 agosto 2007, n. 17767: “Matrimonio concordatario: delibazione delle sentenze ecclesiastiche e principi di ordine pubblico”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. BONOMO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, via Aniene 14, presso l’Avv. Renato Recca, rappresentato e difeso dall’Avv. Esti Raffaele e dall’Avv. Recca Renato giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

P.C.;
– intimata –

nonchè

P.G. PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 639/02 della Corte d’Appello di Trieste, depositata il 4.1.2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21.2.2007 dal Consigliere Dott. Massimo BONOMO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Schiavon Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

LA CORTE:

FATTO

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

che con atto di citazione notificato il 3 aprile 2001 D. G. conveniva in giudizio davanti alla Corte d’appello di Trieste P.C. per sentir dichiarare efficace in Italia la sentenza ecclesiastica pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico del Triveneto il 15.12.1999, confermata con decreto dal Tribunale Ecclesiastico Regionale di Appello n. 116/2000 del 26 ottobre 2000, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario contratto tra gli stessi in Trieste il 27 settembre 1997;
che la convenuta restava contumace;
che con sentenza del 21 dicembre 2001 – 4 gennaio 2002, la Corte d’appello di Trieste dichiarava insussistenti le condizioni per la dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana della suddetta sentenza del Tribunale ecclesiastico per contrarietà all’ordine pubblico dei suoi effetti, ai sensi della L. n. 121 del 1985, art. 8 e della L. n. 218 del 1995, art. 64, in considerazione del carattere meramente soggettivo dell’essenzialità dell’errore – sulla fedeltà prematrimoniale – ritenuto dal giudice ecclesiastico, nonchè dell’assenza, nella norma applicata, di ogni possibile riferimento, sia pure di massima, ad una delle fattispecie di errore essenziale riconosciute dall’ordinamento italiano;
che avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste D. G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi;
che l’intimata non ha depositato controricorso;
che con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’accordo del 18 febbraio 1984, art. 8, n. 2, lett. c) di revisione del concordato lateranense e del protocollo addizionale, resi esecutivi con L. 25 marzo 1985, n. 121, nonchè violazione e/o falsa applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c., in quanto la Corte d’appello, dopo aver ritenuto che il richiamo effettuato dal citato art. 8 all’art. 797 c.p.c. abbia natura formale e non costituisca invece un rinvio materiale e recettizio, come affermato invece dalla Corte di Cassazione, e pur soffermandosi, in motivazione, unicamente sulla valutazione della decisione del Tribunale ecclesiastico sotto il profilo della sua contrarietà o meno all’ordine pubblico, aveva negato nel dispositivo la delibabilità della sentenza ecclesiastica per assenza delle condizioni di legge, senza ulteriore specificazione;
che con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’accordo del 18 febbraio 1984, art. 8, n. 2, lett. c) di revisione del concordato lateranense e del protocollo addizionale, resi esecutivi con L. 25 marzo 1985, n. 121; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c. e/o della L. n. 218 del 1995, art. 64; violazione e/o falsa applicazione dei principi generali in tema di ordine pubblico, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo;
che, ad avviso del ricorrente: a) premesso che, dati i particolari rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa, non è possibile identificare la nozione di ordine pubblico applicabile ad essi con quella applicabile ai rapporti tra Stato e Stato, la Corte territoriale aveva erroneamente elevato al rango di ordine pubblico l’assetto normativo previsto dall’ordinamento italiano (art. 122 c.c.) con riferimento all’essenzialità dell’errore sulle qualità dell’altro coniuge; b) non è necessario soffermarsi sul tipo di “qualità” personale (nella specie: fedeltà del coniuge) accertato dal giudice ecclesiastico, per verificare se il rilievo ad essa dato sia contrastante con l’ordine pubblico, ma è sufficiente accertare che il giudice ecclesiastico abbia dato a quella qualità un valore essenziale sulla formazione della volontà negoziale del coniuge caduto in errore; c) il Tribunale ecclesiastico aveva annullato il matrimonio per dolo subito dall’uomo, essendo giunto, in base agli atti processuali, alla conclusione che la P. “volendo sposare l’attore per un bisogno di sicurezza, cosa che l’amante non poteva darle, e conoscendo che l’attore non avrebbe mai accettato di sposarla se fosse venuto a conoscenza della sua infedeltà, abbia inteso nascondere la sua relazione proprio per poter sposare l’attore”; d) che la sentenza ecclesiastica, nell’esplicitare i requisiti prescritti dal canone 1098, aveva precisato che la qualità dell’altra parte su cui verte il dolo deve essere intrinseca alla persona, ma non necessariamente innata e che tale qualità va intesa non soggettivamente, ma oggettivamente (“suapte natura”) ed essere di tale gravità da perturbare il consorzio della vita coniugale; e) che non si poneva un problema di affidamento incolpevole dell’altro coniuge, dato che il comportamento ingannatore andava imputato alla controparte e che era stato il soggetto ingannato a chiedere il riconoscimento di efficacia della sentenza ecclesiastica;
che con il terzo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, perchè la Corte d’appello, dopo aver correttamente riconosciuto che, in sede di giudizio di delibazione, non si deve valutare la compatibilità astratta di un istituto canonico rispetto all’ordinamento italiano, ma solo l’eventuale contrarietà all’ordine pubblico italiano degli effetti di una concreta pronuncia che abbia fatto applicazione di quell’istituto, aveva negato la delibazione in ragione della differente disciplina dell’errore nei due ordinamenti;
che, in particolare, dalla sentenza ecclesiastica si ricavava che la P. aveva avuto una relazione affettiva con un altro uomo, sia durante il fidanzamento che dopo il matrimonio, celandola con l’inganno al D. e che questa situazione non poteva dirsi in contrasto con l’ordinamento italiano, per il quale la fedeltà, nell’ambito matrimoniale, rappresenta certamente un valore e l’infedeltà un disvalore, tale da ricevere civile sanzione con la pronuncia di addebito nel giudizio di separazione;
che con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’accordo del 1 febbraio 1984, art. 8, n. 2, lett. c) di revisione del concordato lateranense e del protocollo addizionale, resi esecutivi con L. 25 marzo 1985, n. 121, nonchè violazione e/o falsa applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c. e/o della L. n. 218 del 1995, art. 64, nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo, in quanto la Corte di merito aveva affrontato unicamente la questione della contrarietà all’ordine pubblico, tralasciando completamente l’esame degli altri requisiti prescritti dalla legge, il cui vaglio, seguendo l’elencazione contenuta sia nell’art. 737 c.p.c. (in ipotesi di rinvio materiale del Protocollo addizionale ai Patti Lateranensi) che nella L. n. 218 del 1995, art. 64 (in ipotesi di rinvio formale).avrebbe dovuto invece precedere la valutazione della contrarietà all’ordine pubblico;
Considerato che l’Accordo di revisione del Concordato 11 febbraio 1929, con la Santa Sede, art. 8, n. 2, stipulato in data 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con L. 25 marzo 1985, n. 121, condiziona la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica all’accertamento della sussistenza delle “condizioni richiese dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere”, rinviando all’art. 797 c.p.c., e poichè detto rinvio alla citata norma del codice di rito deve ritenersi di natura materiale e non formale, ne consegue che la dichiarazione di efficacia nel territorio dello Stato di dette sentenze è subordinata all’accertamento delle sussistenza dei requisiti cui l’art. 797 c.p.c. – e non la L. n. 218 del 1995, art. 64, sulla riforma del diritto internazionale privato, che ha sostituito l’art. 797 c.p.c. – condiziona la efficacia della sentenze straniere in Italia (Cass. 10 maggio 2006 n. 10796; nello stesso senso Cass. 30 maggio 2003 n. 8764);
che la sentenza impugnata ha invece affermato che il suddetto richiamo all’abrogato art. 797 c.p.c. deve intendersi come riferito oggi alla L. n. 218 del 1995, art. 64;
che, tuttavia, avendo la sentenza impugnata ritenuto contrari all’ordine pubblico gli effetti della sentenza impugnata e costituendo la mancanza di disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano anche uno dei requisiti previsti dall’art. 797 c.p.c. per la delibazione della sentenza ecclesiastica, se dovesse essere condivisa l’opinione espressa dalla Corte territoriale, non sarebbe necessario procedere a cassazione con rinvio per l’accertamento della sussistenza degli ulteriori requisiti previsti dal citato art. 797;
che, secondo quanto affermato anche di recente da questa Corte (Cass. 6 marzo 2003 n. 3339), ai fini della delibabilità delle sentenze ecclesiastiche, costituiscono principi di ordine pubblico quelli che esprimono le regole fondamentali ed essenziali con le quali la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del matrimonio (Corte Cost. 22 gennaio 1982 n. 18, Cass. Sez. Un. 20 luglio 1988, n. 4700 e 4701), dovendosi anche tener conto della voluntas legis, espressa con la stipulazione del Concordato, di dare riconoscimento, nell’ordinamento dello Stato, alle sentenze ecclesiastiche che diano diverso rilievo, ai fini della validità del matrimonio, ai vizi del consenso, in relazione ai quali l’ordinamento canonico, per la sua specialità in ragione del suo fondamento religioso, contiene una disciplina particolare;
che, nell’ordinamento italiano, le legge regola, in linea generale, l’istituto matrimoniale, sotto il profilo della nullità, da un lato, non prevedendo il dolo come causa autonoma di invalidità del matrimonio (in quanto non si vuole dare rilievo in sè ad eventuali inganni o raggiri posti in essere per indurre una persona a sposarsi, a meno che essi non provochino un errore che abbia determinate caratteristiche) e, dall’altro, limitando fortemente la rilevanza dell’errore, che, secondo il codice civile del 1942 doveva cadere sull’identità della persona e, dopo la riforma del 1975, è stato ampliato ad alcuni casi di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge, specificamente indicati (art. 122 c.c., comma 3);
che tali ipotesi (malattie, anomalie o deviazioni sessuali produttive di conseguenze negative sul matrimonio; sentenze di condanna e precedenti penali per gravi delitti; stato di gravidanza causato da altro soggetto) sono caratterizzate dalla natura oggettiva, dalla gravità e dalla idoneità a costituire un serio impedimento allo svolgimento della vita coniugale;
che, riguardando l’ordine pubblico le regole fondamentali ed essenziali che delineano l’istituto del matrimonio, e non tutte quelle normativamente previste, esso non può essere collegato ai casi specifici di errore essenziale previsti dalla legge italiana, sicchè non potrebbe ravvisarsi contrarietà all’ordine pubblico in presenza di errori essenziali su altre qualità, diverse da quelle indicate dall’art. 122 c.c. ma altrettanto caratterizzate dalla natura oggettiva, dalla gravità e dall’idoneità a costituire un serio ostacolo allo svolgimento della vita coniugale;
che, nella specie, il tribunale ecclesiastico ha annullato il matrimonio per dolo, ai sensi del canone 1098, per l’inganno subito dal D. sulla fedeltà della P., nel periodo di fidanzamento, avendo ella negato di avere un’altra relazione, che era stata successivamente provata;
che la sentenza impugnata ha respinto la domanda di delibazione, per contrarietà all’ordine pubblico italiano, sul presupposto che nel caso in esame l’errore sulla fedeltà prematrimoniale aveva carattere meramente soggettivo – e solo in tal senso poteva considerarsi essenziale – (che esso non riguardava una qualità personale, caratteristica permanente o duratura dell’individuo, ma un comportamento attuato in determinate circostanze e in un determinato tempo, e che non era riferibile, nemmeno in via di massima, a nessuna delle fattispecie di essere essenziale riconosciute dall’ordinamento italiano;
che tale conclusione appare coerente con le argomentazioni, sopra esposte, riguardo alle regole essenziali che delineano l’istituto matrimoniale nell’ordinamento italiano, sotto il profilo della nullità;
che, se è vero che, ai fini della delibabilità delle sentenze ecclesiastiche, deve anche tenersi conto, come si è visto, della voluntas legis, espressa con la stipulazione del Concordato, di dare riconoscimento, nell’ordinamento italiano, ai vizi del consenso in relazione ai quali l’ordinamento canonico, per la sua specialità in ragione del suo fondamento religioso, contiene una disciplina particolare – il che spiega la giurisprudenza in tema di nullità del matrimonio concordatario, per esclusione di uno dei “bona matrimonii” (fatta salva la tutela della buona fede e dell’affidamento del coniuge incolpevole) – non sembra, però, che la fedeltà prematrimoniale possa essere collegata a valori fondamentali dell’ordinamento canonico;
che dalla promessa di matrimonio (art. 79 c.c.) non scaturisce un obbligo di fedeltà (come dal matrimonio) e che il periodo prematrimoniale è caratterizzato dal principio della libertà matrimoniale e non comporta limitazione al principio generale della libertà sessuale delle persone;
che nella realtà sociale non è raro che prima del matrimonio possano coesistere relazioni con persone diverse, in situazioni di incertezza, nelle quali è proprio il matrimonio che rappresenta la scelta definitiva a favore di una di esse;
che in tali situazioni, la negazione dell’esistenza dell’altra relazione, di fronte ad una domanda precisa, costituisce un comportamento che può essere diretto ad evitare sofferenze all’interlocutore;
che l’infedeltà prematrimoniale, seguita dalla fedeltà matrimoniale, una volta che la scelta sia definitivamente compiuta, non costituisce impedimento al pieno svolgimento della vita matrimoniale, basata sul principio di responsabilità e su obblighi di reciproca solidarietà, e non può quindi farsi rientrare nell’ambito degli errori sulle qualità essenziali di cui si è detto;
che, se invece, la relazione prematrimoniale continuasse dopo il matrimonio, essa assumerebbe rilievo ai fini della separazione e non della nullità del matrimonio;
che, in effetti, l’errore sulla fedeltà prematrimoniale – così come un eventuale errore sullo stato di verginità, considerato in passato importante da gran parte della popolazione – assume un valore diverso a seconda degli individui, il che dimostra il carattere soggettivo dello stesso e, anche sotto questo profilo, la non assimilabilità all’errore sulla qualità essenziali, che regola l’istituto matrimoniale italiano;
che la conferma della decisione impugnata trova però ostacolo in una precedente decisione di questa Corte (Cass. 26 maggio 1987 n. 4707), secondo cui, nel caso in cui la nullità del matrimonio concordatario sia stata pronunciata dalla sentenza ecclesiastica per l’errore di uno dei coniugi su qualità dell’altro, deve essere escluso un contrasto con l’ordine pubblico quando, indipendentemente dal tipo di qualità su cui è caduto l’errore (in quel caso, conseguimento di una laurea), il giudice canonico abbia accertato l’essenzialità della qualità stessa rispetto alla determinazione volitiva del coniuge caduto in errore;
che in quell’occasione è stato ritenuto che la regola dell’art. 122 c.c. in base alla quale l’essenzialità può riscontrarsi non solo quando l’errore abbia assunto efficacia determinante, ma anche se l’errore medesimo cada su particolari elementi, comporta sotto questo secondo aspetto una restrizione del principio che non può considerarsi di ordine pubblico, ma è invece dettata da contingenti ragioni di opportunità legislativa;
che (sempre per Cass. 4707/81 cit.) il principio di ordine pubblico è quello della libera e consapevole manifestazione del consenso verso un’altra persona e del rilievo dato alla “essenzialità” delle qualità personali di essa, mentre l’esame della qualità in concreto deve essere compiuto solo quando il rilievo dato ad esso possa confliggere con la tutela di valori costituzionalmente protetti, come quello di uguaglianza o della pari dignità di tutti i cittadini;
che il contrasto tra l’orientamento condiviso dal Collegio e quello enunciato dal precedente da ultimo citato, unitamente alla particolare importanza della questione in sè considerata, anche per i possibili sviluppi della giurisprudenza canonica in tema di errore doloso, derivanti dall’applicazione del canone 1098 del nuovo Codice di Diritto Canonico, inducono a rimettere la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite civili.

P.Q.M.

La Corte trasmette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione della causa alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2007