Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 9 Febbraio 2011

Ordinanza 26 maggio 2010

 

UFFICIO DI SORVEGLIANZA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
 
 
Premesso che G. G. n. Palermo il
Detenuto presso la C.R. di Milano Opera in espiazione della pena dell’ergastolo di cui al provv. unificazione delle pene concorrenti n. 138/’03 del 18.6.’04 
ha presentato reclamo ex art. 35 O.P. lamentando la lesione di suoi diritti fondamentali lesi da disposizioni dell’Amministrazione Penitenziaria che gli impedirebbero :
1)      di riposare in ore notturne causa il mantenimento di luce sempre accesa
2)      di svolgere la socialità
3)      di svolgere attività lavorativa a rotazione
4)      di frequentare la biblioteca
5)      di esercitare attività motoria
6)      di utilizzare il personal computer
7)      di tutelare la privacy in bagno a causa della videosorveglianza
8)      di svolgere colloqui con gli educatori
9)      di esercitare il culto cattolico
10) di mantenere l’igiene nella camera detentiva
11) di utilizzare il servizio di barberia
12) di visionare tra i programmi televisivi nazionali quella della emittente LA 7 
 
OSSERVA

Rilevato che il detenuto ha attivato la procedura del reclamo ex art. 35 Op chiedendo l’intervento del Magistrato di Sorveglianza al fine di eliminare le conseguenze dannose derivanti da provvedimenti, che vengono denunciati come illegittimi, assunti dalla Direzione del carcere di Opera ove è detenuto e sottoposto al regime di rigore di cui all’art. 41 bis Op.
Ritenuto che le posizioni soggettive che si deducono lese, trovano fondamento sia nella fonte costituzionale, ( art. 19, 21, 32 e 27 comma 3 ) che nella fonte di rango sottordinato di cui alla L.354/’75 trattandosi di modalità concrete di attuazione del cd trattamento.
Ritenuto pertanto che le dedotte violazioni debbano trovare tutela giurisdizionale piena, secondo quanto chiarito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 26/1999, davanti a questo giudice, titolare di una competenza esclusiva in materia di trattamento penitenziario, secondo il modello procedimentale di cui all’art. 14 ter O.P. , individuato come idoneo dalla sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 25079/’03.
Ritenuto pertanto opportuno, ciò premesso, esaminare separatamente le doglianze del detenuto in quanto i punti affrontati nel reclamo sono diversi tra loro e coinvolgono problematiche specifiche.
Dato atto, in ordine al punto numero 1), che la medesima doglianza era stata rappresentata in analogo reclamo, che è già stato deciso da questo MS con provvedimento n. 90/’08 S 28 del giugno u.s. che disponeva la gradazione, nel senso di attenuazione, della luce notturna al fine di consentire sia i necessari controlli, che la necessità inderogabile del riposo notturno.
Dato atto che in ordine a tale doglianza, (intensità della luce sempre accesa che impedirebbe il sonno) la Direzione, interpellata a riscontro, ha risposto con nota in data 14.5.2010, in cui specifica che la illuminazione utilizzata è quella di tipo LED light, di piccole dimensioni, utilizzata anche negli ospedali , di bassa intensità, a luce blu appositamente prevista per l’illuminazione notturna, schermata ulteriormente da una plafoniera di materiale plastico opaco in modo da ridurre ulteriormente il passaggio della luce.
Osservato inoltre che il mantenimento di una luce accesa, sia pure di bassa intensità, consente di garantire la duplice esigenza di assicurare il controllo del personale di custodia durante le ore notturne, necessario in considerazione delle particolari ragioni di sicurezza che caratterizzano il regime di cui all’art. 41 bis Op e contemporaneamente il riposo del condannato . Si specifica altresì nella nota pervenuta, che la Direzione sta provvedendo alla sostituzione della telecamera di video sorveglianza con altra , di nuova generazione, che non ha bisogno di alcuna forma di illuminazione supplementare.
Peraltro, la specifica problematica del contemperamento delle esigenze di controllo connaturate alla esecuzione della pena con il rispetto dei diritti individuali , in particolare quello del riposo notturno, è disciplinato dal disposto di cui all’art. 6 comma 4 dpr 230/’00, che prevede, durante i controlli notturni, il mantenimento della luce accesa con intensità attenuata, tale da consentire la visione della camera detentiva e allo stesso tempo il sonno.
Alla luce di quanto sopra esposto, ritiene pertanto questo magistrato che la illuminazione utilizzata nella camera detentiva del G. non sia di intensità tale da impedire il sonno e dunque da ledere il diritto al riposo notturno.
Non può dunque sostenersi, in relazione alla specifica doglianza, che sia presente una modalità di esecuzione della pena non conforme agli standard minimi che assicurano il rispetto della dignità della persona.
E’ evidente, peraltro, che qualora nella camera detentiva fosse stata installata una luce elettrica accesa anche nelle ore notturne con intensità tale da impedire il sonno, risulterebbe violato oltre allo stesso art. 1 della L.354/’75 secondo cui “ il trattamento penitenziario deve essere conforme al senso di umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona” , anche l’art. 3 della CEDU che vieta i trattamenti degradanti quale può configurarsi quello che impedisce il riposo notturno a causa degli effetti deflagranti che tale misura può comportare sull’equilibrio psico-fisico del detenuto e dunque sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato in via primaria dall’art 32 Cost.e per i soggetti in espiazione di pena anche con tutela indiretta tramite l’art. 27 comma 3 Cost. che vieta l’adozione di pratiche contrarie al senso di umanità.
Inoltre, deve evidenziarsi che la giurisprudenza del S.C. ha chiarito che le esigenze di sicurezza non possono comprimere a tal punto il diritto fondamentale alla salute a meno che non ricorrano particolari ragioni, anche di tutela della incolumità del detenuto ad esempio da gesti autolesionistici (Cass. Sez. I n. 3111/’09 del 24.11.’09 in materia di videosorveglianza continua).
Nel caso di specie, invece, le modalità di controllo anche notturno disposte dalla Direzione del carcere devono ritenersi corrette, alla luce dei principi sopra esposti e altresì attuate con modalità tali da non comprimere il diritto del detenuto al riposo e alla salute; pertanto sul punto il reclamo deve essere respinto
In ordine a quanto lamentato al punto numero 2), deve osservarsi che, probabilmente, la doglianza relativa al divieto di contatti con gli altri detenuti per cui lo stesso non potrebbe svolgere la socialità, si riferisce al periodo in cui era stato applicato l’isolamento continuo ex art. 72 cp, poi revocato il 21.12.’09 dal giudice dell’esecuzione.
Rilevato che sul punto la Direzione ribadisce che, successivamente alla revoca dell’isolamento continuo ex art. 72 cp, lo stesso è stato inserito in un gruppo di socialità formato da altro detenuto appartenente alla stessa sezione e che la sezione ( cd area riservata) è formata soltanto da quei due detenuti, ivi assegnati dalla Direzione Generale Detenuti e Trattamento.
Ritenuto che la formazione di un gruppo di socialità composto da due persone, non può essere oggetto di censura in questo sede, considerato che la legge stabilisce che tali gruppi possono essere formati da “ sino a quattro” componenti , senza indicare il numero minimo di persone da cui il gruppo stesso deve essere composto. Ritenuto dunque che un gruppo, nel senso utilizzato dal legislatore, può essere formato da un numero variabile da due a quattro e dunque anche solo da due persone, come del resto era previsto dalla disposizione precedentemente in vigore.
Ritenuto comunque che la composizione e il numero dei partecipanti al gruppo è oggetto della scelta discrezionale dell’ Amministrazione Penitenziaria che viene assunta al fine del mantenimento dell’ordine e della disciplina dell’istituto (art. 1 comma 3 L. 354’75) e, laddove non arbitraria e inutilmente compressiva delle posizioni soggettive fondamentali, non può essere oggetto di censura.
Peraltro, la finalità del regime di rigore di cui all’art. 41 bis O.P. , cui il condannato reclamante è sottoposto, è propria quella di evitare i contatti tra appartenenti alla medesima o a diversa organizzazione criminale e tra questi e l’ambiente esterno.( art. 41 bis comma .
Inoltre questo magistrato di sorveglianza ha già avuto occasione di pronunciarsi, sempre in riferimento ad altro reclamo del detenuto G., sulla tematica sopra esposta, affermando che la formazione di gruppi separati di detenuti è espressione del potere organizzativo della Direzione dell’ Istituto e, laddove risponda a criteri obiettivi e verificabili e non discriminatori, non può essere oggetto di censura. In quella sede si riteneva, con valutazione da condividersi anche allo stato, che la formazione di gruppi diversi e divisi di detenuti, tutti inseriti nel circuito speciale di cui all’art. 41 bis OP, rispondesse a criteri di ragionevolezza al fine di evitare contatti e scambi di informazioni tra condannati, magari appartenenti alla stessa organizzazione o tensioni e ritorsioni tra quelli inseriti in circuiti rivali.
Ritenuto, pertanto, che la separazione tra detenuti sia esigenza necessaria al perseguimento degli scopi cautelari del regime speciale, ma che deve essere comunque realizzata nel rispetto di quelle regole del trattamento che non risultino sospese ex art. 41 bis OP e dei diritti fondamentali irrinunciabili.
Dato atto che la “separazione” nel senso di divieto di incontro e di scambio di beni tra detenuti appartenenti a circuiti diversi e la stessa formazione dei gruppi di socialità è stata disciplinata nel tempo sia da circolari ministeriali ( circolare DAP 20.2.’98 n. 3470) che da ordini di servizio emanati dal Direttore dell’ Istituto e portati a conoscenza tramite avviso alla popolazione detenuto, da ultimo in data 30.7.2009.
Ritenuto pertanto che, laddove venga assicurato il diritto alla socialità, anche soltanto tra due detenuti, non vi può essere accoglimento della doglianza del detenuto reclamante.
Per quanto poi riguarda l’esercizio dell’attività lavorativa (punto n 3), la Direzione ribadisce che l’ammissione al lavoro di scopino avviene a rotazione con l’altro detenuto allocato nella medesima area riservata e dunque a mesi alterni, criterio che appare logico e non discriminatorio, dovendosi comunque rispettare le esigenze di sicurezza tutelate dal divieto di incontro tra detenuti appartenenti a aree diverse. Il detenuto lamenta, però di non poter esercitare altra mansione , che gli sarebbe maggiormente gradita in quanto più remunerativa come ad esempio il porta vitto.
Dato atto che la Direzione specifica che la mansione di porta vitto, all’interno dell’area riservata ove il G. è allocato, è affidata a lavorante esterno, trattandosi di impegno che , se svolto soltanto nell’area riservata di ubicazione del detenuto, come sarebbe consentito, non supererebbe i venti minuti giornalieri e dunque non potrebbe essere giustificata un’assunzione.
Ritenuto pertanto che il detenuto è stato ammesso al lavoro a rotazione con criteri predeterminati e non discriminatori, come previsto dalla legge all’art. 20 L. 354/’75 , e dunque non vi è lesione di alcuna aspettativa soggettiva, neppure rispetto alla tipologia della mansione svolta che è l’unica presente nelle aree riservate.
Pertanto sul punto, il reclamo non può che essere respinto.
In ordine, poi, alla impossibilità lamentata di frequentare la biblioteca ( punto n.4), deve osservarsi che
l’art. 12 comma 2 della L.354/’75 stabilisce che gli istituti devono essere forniti di un biblioteca costituita da libri e periodici, mentre l’art. 21 del dpr 230/’00 regolamenta il servizio.
Dal’esame della norma emerge che non è previsto un diritto alla “frequentazione” della biblioteca da parte dei detenuti, ma ad avere accesso alle pubblicazioni ivi contenute. 
La norma regolamentare citata, specifica che la Direzione dell’Istituto deve fare in modo che i detenuti e gli internati abbiano facile accesso alle pubblicazioni della biblioteca.
La circostanza che il G. sia allocato in un area diversa da quella in cui è ubicata la biblioteca, non appare elemento discriminante e sufficiente, per ciò solo, ad impedirgli di esercitare tale facoltà, ( art. 41 bis comma 2 quater lett. F) che stabilisce vengano adottate le necessarie misure di sicurezza, anche di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità e di scambiare oggetti.
La modalità, sostitutiva della frequentazione della biblioteca adottata, che prevede la richiesta scritta della pubblicazione tramite apposita domanda, appare dunque soddisfacente, potendosi esercitare anche tramite consultazione dei libri e delle pubblicazioni presenti sulla base dell’elencazione fornita dall’Istituto; in ordine poi alla doglianza relativa all’assenza di pubblicazioni, la nota situazione di criticità di fondi , rende più che giustificata tale mancanza. 
Rilevato che la Direzione della c.r. ha specificato che presso il reparto di 41 bis è disponibile un elenco di circa 450 volumi , provenienti da donazioni di privati o da enti che saranno implementati con altri 300 provenienti dalla biblioteca di altro reparto, che il detenuto non ha mai richiesto di fruire dei libri della biblioteca, che qualora li richiedesse gli verrebbero forniti dal personale, che comunque è consentito ricevere dall’esterno libri per ragioni di studio e di lettura.
La limitazione mensile del numero dei libri contemporaneamente detenibili in cella, riguarda poi soltanto quelli relativo al prestito della biblioteca, secondo regola vigente anche presso le biblioteche pubbliche, in cui il prestito, ove non sia consentita la sola consultazione, non è mai illimitato, ma non riguarda quelli che il detenuto stesso acquista all’esterno o che gli vengono spediti tramite pacco, necessari ai fini dello studio. E’ stato sul punto riscontrato che il detenuto allo stato, detiene in cella n. 18 libri.
Per quanto riguarda la richiesta effettuata dal detenuto di utilizzo del personal computer , deve specificarsi che tale facoltà deve essere considerata garantita anche ai detenuti inseriti nel circuito di 41 bis O.P. ed è disciplinata da numerose circolari in materia tra cui le due ultime 24.2.’00 n. 3515/5965 e 15.6.’01 n. 3556/6006 che vietano la ricezione di personal computer tramite pacco e la detenzione dello stesso nella camera di pernottamento; la richiesta deve essere motivata da “effettiva necessità ” ed è soggetta alla valutazione discrezionale del Direttore.
Nel caso di specie, la Direzione ha specificato di aver respinto la domanda in quanto la stessa risultava non sufficientemente motivata in ordine alla effettiva necessità del suo utilizzo; in ogni modo, il detenuto non potrebbe utilizzarlo nella camera detentiva, ma soltanto in uno spazio comune.
Pertanto il reclamo deve essere respinto.
Analoghe considerazioni devono essere svolte per l’accesso alla palestra ( punto n. 5); l’opportunità di svolgere attività fisica (artt. 12 e 27 L.564 /’75 e art. 59 R.Es.) non è infatti esclusa dalla sospensione delle regole del trattamento prevista dal regime di cui all’art. 41 bis OP, anzi è considerato in via generale dall’ordinamento penitenziario una delle posizioni incomprimibili del detenuto di talchè lo stesso ne mantiene la titolarità anche durante l’isolamento disciplinare o disposto ex art. 14 bis OP , anche in considerazione del rilievo che l’attività fisica assume per il mantenimento della salute, in considerazione della forzata inattività dei reclusi.
Osservato che la Direzione, nella nota di riscontro, specifica che per i detenuti sottoposti al regime di rigore, non è stato allestito un locale specifico adibito ad esclusivo uso di palestra, stante la carenza di spazi disponibili, ma evidenzia che sono presenti degli attrezzi nella sala socialità come una cyclette, una panca per addominali, una barra a muro ed è prevista , compatibilmente con le risorse finanziarie, un potenziamento delle strutture.
per il che il detenuto lamenta di trovarsi in cattivo stato di conservazione.
La circostanza che non sia stato attrezzato un locale specifico ad uso palestra, ma che alcuni attrezzi siano stati posizionati nella sala della socialità, non sembra lesiva della posizione soggettiva del detenuto, conformandosi questo MS all’orientamento già espresso dall’Ufficio per uguali doglianze presentate da altri detenuti in regime di art. 41 Op e confermato dalla recente sentenza della Cassazione Sez. I n. 3111/’09 del 24.11.’09 che sul punto ha respinto il ricorso.
Tale modalità, se pure non completamente equipollente alla possibilità di svolgere del moto in locale appositamente attrezzato e igienicamente idoneo, tuttavia consente che il detenuto svolga dell’attività fisica, anche considerata che il numero degli attrezzi ginnici presenti è stato incrementato. La circostanza che la saletta socialità non sia dotata di servizi igienici non appare di alcuna rilevanza considerato che la stanza di pernottamento del G. si trova a circa due metri di distanza.
Relativamente poi, alla eliminazione della video sorveglianza, (punto n. 6) la Direzione ha assicurato di avere già da tempo disattivato la video sorveglianza nel locale bagno, in ottemperanza a quanto disposto da questo MS cui ne è stata data notizia nel novembre u.s., al termine delle operazioni tecniche necessarie.
Per quanto poi riguarda lo svolgimento dei colloqui con gli educatori ( punto n. 7 ), la Direzione assicura che il detenuto ha svolti svariati colloqui con il personale operante nelle date del 11.10.’07, 6.3.’08, 23.4.’08 e numerose volte con lo stesso Direttore sia in occasione di udienza che di rapporti disciplinari; inoltre risulterebbe in costante contatto con il cappellano, il servizio sanitario e lo psichiatra. Peraltro non risulterebbero richieste particolari da parte del detenuto e la Direzione non ritiene allo stato necessario la segnalazione all’esperto criminologo.
Ritenuto che , in effetti, l’intervento del criminologo non avviene attivato a richiesta del detenuto,   ma ad iniziativa del Direttore o dell’équipe, qualora vengano individuate esigenze particolari e comunque funzionale ad un progetto tratta mentale che nel caso del G. , considerata la posizione giuridica, non risulta essere stato ancora intrapreso.
Peraltro, considerato il tempo trascorso dall’ultimo colloquio , appare opportuno prevedere una calendarizzazione degli stessi così da mantenere, per quanto possibile, una certa regolarità di contatto con l’educatore, figura istituzionalmente preposta a presidio dello svolgimento del progetto rieducativo individualizzato che dovrebbe essere impostato anche ( e forse a maggior ragione) per i detenuti inseriti nel regime speciale di cui all’art. 41 bis Op.
Il G. lamenta altresì la lesione del suo diritto a praticare il culto religioso cattolico di cui si dichiara osservante, in quanto nella sezione di appartenenza manca una cappella in cui raccogliersi in preghiera e assistere alla messa, che viene svolta in corridoio e che il detenuto sente dalla cella chiusa .
Osservato che, sul punto la Direzione ha confermato che per i detenuti allocati nelle cd aree riservate, è stata predisposta specifica sala situata al piano terra, ove gli stessi possono recarsi per assistere alla celebrazione della messa, a rotazione.
Rilevato dunque che tale modalità di officiare il culto appare rispettoso della sensibilità   religiosa dei detenuti , in quanto avviene in un luogo a ciò adibito e alla loro diretta presenza.
In relazione poi alla impossibilità di guardare la antenna televisiva LA 7 , non appare questa posizione giuridica tutelabile in questa sede, ritenendosi la libertà di informazione assicurata con la visione degli altri canali nazionali e comunque è dovuto a problematiche di tipo tecnico legate all’assenza di ricezione del segnale e dunque allo stato non risolvibili se non con l’adozione del sistema satellitare.
Sul punto dunque, il reclamo deve essere respinto.
In relazione alle doglianze relative all’impossibilità di mantenere l’igiene personale e nella camera di detenzione a causa della mancata fornitura del servizio di barberia e di arnesi e detersivi per la pulizia, risulta , in relazione alla seconda problematica che il detenuto non abbia mai fatto richiesta di fornitura, che la amministrazione fornisca ai detenuti mensilmente il quantitativo necessario per coloro i
detenuti che già non provvedano personalmente all’acquisto , al fine di evitare sprechi, come da ordine di servizio allegato alla memoria prodotta. Inoltre è stato prevista un fornitura supplementare a cura del volontariato per detenuti indigenti.
Pertanto, anche rispetto a tale specifica doglianza, non vi sono addebiti da rivolgere alla Direzione, come per l’assenza del servizio di barberia , che invece viene svolto allo stato, come assicurato dalla Direzione, dopo un periodo di sospensione a causa del trasferimento del detenuto addetto, nella sala della socialità.
 
Ritenuto pertanto, alla luce di quanto sopra complessivamente esposto che il reclamo, rispetto a tutte le doglianze espresse, non possa essere accolto, ad eccezione di quanto disposto circa la partecipazione al culto cattolico, che dovrà avvenire con la celebrazione della messa non in corridoio, ma alla presenza del detenuto.
 
P.Q.M.
Visto l’art. 35 Op
 
RESPINGE
 
 il reclamo
 
Milano 26.5.2010