Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 23 febbraio 1998, n.34

E’ manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza – essendo
stata prospettata in via ipotetica, in vista di una evenienza futura –
la questione di costituzionalita’ dell’art. 8, terzo comma, della
legge 15 dicembre 1972, n. 772, come sostituito dall’art. 2 della
legge 24 dicembre 1974, n. 695, sollevata, in riferimento agli artt.
2, 3, 19, 21, 23, 27, terzo comma, e 52, secondo comma Cost., sotto il
profilo che tale norma non esclude la possibilita’ di pronunciare piu’
di una condanna per un reato contrassegnato dal “rifiuto” del servizio
militare di leva, benche’ diverso, per i motivi del rifiuto stesso, o
per il tempo della sua manifestazione, dal reato previsto nel secondo
comma dell’art. 8 (rifiuto di servizio militare di leva per i motivi
stabiliti dall’art. 1, stessa legge). Posto, infatti, che il principio
affermato nella sentenza n. 43 del 1997, della quale il giudice
rimettente chiede l’applicazione, concerne l’ipotesi in cui a una
prima condanna non faccia seguito, per un motivo legalmente previsto,
l’esecuzione della pena – condizione per l’operativita’ della clausola
di esonero dal servizio di cui al terzo comma dell’art. 8 – con
ulteriore chiamata alle armi e conseguente procedimento penale, nella
persistenza della condotta di rifiuto, risulta invece dalla ordinanza
di rimessione, che nel giudizio principale l’imputato e’ chiamato a
rispondere per la prima volta del reato militare di mancanza alla
chiamata, per motivi non riconducibili a quelli di cui all’art. 1
della legge n. 772 del 1972 e che quindi nel giudizio ‘a quo’ non puo’
porsi alcun problema di ripetizione della condanna e di ulteriore
irrogazione di una pena ne’ puo’ venire in rilievo la predetta
clausola di esonero dal servizio.

Ordinanza 27 maggio 1996, n.183

Allorquando il giudice ‘a quo’ sollevi il dubbio circa la legittimita’
costituzionale di una norma, la Corte puo’ promuovere d’ufficio una
questione di legittimita’, ove ravvisi un evidente rapporto di
continenza e di presupposizione tra la questione specifica dedotta dal
giudice rimettente e quella nascente dai dubbi di costituzionalita’
circa la normativa piu’ generale – sicche’ la risoluzione della
seconda sia logicamente pregiudiziale a quella della prima -, anche in
considerazione del fatto che il modo in cui occasionalmente sono poste
le questioni di legittimita’ costituzionale non puo’ impedire al
giudice delle leggi l’esame pieno del sistema nel quale le norme
denunciate sono inserite. [Nella specie, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale militare di Roma ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale della norma risultante dal
combinato disposto degli artt. 8, secondo e terzo comma, della legge
15 dicembre 1972, n. 772, recante “Norme per il riconoscimento
dell’obiezione di coscienza” e 163 e segg. del codice penale, in
riferimento all’art. 3 Cost. nonche’ al principio della finalita’
rieducativa della pena, nella parte in cui prevede “che, a fronte
della concessione di ufficio della sospensione condizionale della pena
nel primo giudizio, l’esonero (dalla prestazione del servizio
militare) consegua soltanto all’espiazione della pena inflitta per il
secondo reato”. A parere della Corte, la prospettazione fatta dal
giudice ‘a quo’ con riferimento esclusivo all’ipotesi di precedente
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena,
non richiesta dall’imputato, presuppone, piu’ in generale – in tutti i
casi in cui, per un motivo previsto dall’ordinamento, alla condanna
per prima irrogata non segua l’espiazione della pena -, la
possibilita’ di moltiplicazione delle condanne e di sommatoria di pene
nei confronti del soggetto che persista nel rifiuto del servizio
militare; pertanto, ritenendo tale possibilita’ di dubbia conformita’
alla Costituzione, sotto diversi profili, la Corte ha sollevato
previamente la questione di legittimita’ costituzionale, in
riferimento agli artt. 2, 3, 19 e 21 Cost., dell’art. 8, secondo e
terzo comma, della l. 15 dicembre 1972, n. 772, nella parte in cui
consente la ripetuta sottoponibilita’ a procedimento penale del
medesimo soggetto gia’ condannato per i fatti ivi previsti].

Sentenza 26 gennaio 1998, n.2

Non e’ fondata, con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., la questione
di legittimita’ costituzionale dell’art. 2941, n. 1, cod. civ.,
laddove, stabilendo che il corso della prescrizione resti sospeso tra
i coniugi, non contiene analoga previsione per i conviventi , in
quanto – posto che l’istituto della prescrizione e’ finalizzato
all’obiettivo primario di garantire certezza nei rapporti giuridici,
impedendo al titolare di un diritto di esercitarlo dopo un determinato
periodo di tempo; che, in tale prospettiva, la sospensione della
prescrizione si caratterizza per la peculiarita’ costituita dalla
tassativita’ dei casi previsti dalla legge; e che, se esorbita dalle
attribuzioni del giudice delle leggi, quella di creare una nuova
fattispecie di sospensione della prescrizione, deve ritenersi
legittimo sindacare l’omissione legislativa nell’ambito di un’ipotesi
gia’ determinata, a condizione che la norma richiamata costituisca
‘tertium comparationis’, tale da rendere costituzionalmente
illegittima l’omissione stessa e, quindi, doverosa la sentenza
additiva della Corte – la famiglia legittima, essendo una realta’
diversa dalla famiglia di fatto, non costituisce adeguato ‘tertium
comparationis’, ed in quanto la sospensione della prescrizione implica
precisi elementi formali e temporali che si ravvisano nel coniugio e
non nella libera convivenza.

Sentenza 29 novembre 1993, n.421

Nell’Accordo del 18 febbraio 1984, con cui lo Stato italiano e la
Chiesa cattolica hanno convenuto modifiche al Concordato lateranense
del 1929, la riserva di giurisdizione a favore dei tribunali
ecclesiastici per le cause di nullita’ dei matrimoni canonici
trascritti, seppur non prevista in modo espresso, e’ assunta –
coerentemente con il principio di laicita’ dello Stato – quale logico
corollario del sistema matrimoniale recepito dall’Accordo, nel quale
sono riconosciuti effetti civili, mediante trascrizione, ai matrimoni
contratti per libera volonta’ delle parti secondo le norme del diritto
canonico, e da tale ordinamento disciplinati nel loro momento
genetico. Percio’, la giurisdizione ecclesiastica “esclusiva” – lungi
dall’essere venuta meno – va ricondotta all’art. 8 dell’Accordo e al
punto 4 del contestuale Protocollo addizionale, i quali regolano
interamente la materia matrimoniale nei connessi aspetti sostanziale e
processuale, attribuendo peraltro piu’ penetranti poteri al giudice
italiano in sede di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di
nullita’.

Sentenza 21 gennaio 1982, n.17

Per la sostanziale (e quasi letterale) corrispondenza di proposizioni
normative tra il censurato art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847
e i commi quinto e sesto dell’art. 34 del Concordato (reso esecutivo
con l’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810), qualunque dovesse
essere nel merito la pronuncia in ordine alle denunciate
illegittimita`, resterebbero egualmente in vigore le norme contenute
nel citato art. 34, norme che godono della copertura costituzionale di
cui all’art. 7, secondo comma, Cost.. (Inammissibilita` per difetto di
rilevanza della questione di legittimita` costituzionale – sollevata
in riferimento agli artt. 2, 3, 7, 24, 25, 29 e 101 e segg. Cost. –
dell’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847, nella parte in cui
prevede la riserva alla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici
della cognizione delle cause di nullita` di matrimoni canonici
trascritti agli effetti civili e lo speciale procedimento di
esecutorieta` delle sentenze dei tribunali medesimi).

Sentenza 06 dicembre 1973, n.176

In presenza di situazioni consistenti nel diritto ad un mutamento
giuridico non realizzabile se non attraverso una pronunzia costitutiva
del giudice, la questione se l’attribuzione ai tribunali statali di
giudicare delle cause di cessazione degli effetti civili dei matrimoni
canonici c. d. “concordatari” (art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n.
898) sia o meno compatibile con la riserva ai tribunali e dicasteri
ecclesiastici della competenza a conoscere delle cause di nullita’ del
predetto matrimonio, nonche’ della dispensa dal matrimonio rato e non
consumato (art. 34 Concordato in relazione agli artt. 7 e 138 Cost.)
deve intendersi logicamente ricompresa in quella, piu’ vasta, gia’
risolta con la sent. n. 169 del 1971 della Corte costituzionale.

Sentenza 05 luglio 1971, n.169

Come emerge dai lavori preparatori, con i Patti Lateranensi lo Stato
non ha assunto l’obbligo di non introdurre nel suo ordinamento
l’istituto del divorzio. Non puo’ argomentarsi in contrario dal
riferimento dell’art. 34 al “sacramento del matrimonio”, giacche’
l’espressione usata ben si spiega in un atto bilaterale, alla
formazione del quale concorreva la Santa Sede, dal momento che, per la
Chiesa, il matrimonio costituisce anzitutto ed essenzialmente un
sacramento; ma non implica affatto che, in questa sua figura e con le
connesse caratteristiche di indissolubilita’, esso sia stato altresi’
riconosciuto come produttivo di effetti civile dallo Stato. Ed
infatti, l’espressione piu’ non ricorre nell’art. 5 della legge 27
maggio 1929, n. 847, contenente disposizioni per l’attuazione del
Concordato nella parte relativa al matrimonio, la quale piu’
semplicemente stabilisce che “il matrimonio celebrato davanti un
ministro del culto cattolico, secondo le norme del diritto canonico
produce, dal giorno della celebrazione, gli stessi effetti del
matrimonio civile, quando sia trascritto nei registri dello stato
civile secondo le disposizioni degli articoli 9 e seguenti”.

Sentenza 24 febbraio 1971, n.32

L’art. 16 della legge 27 maggio 1929, n. 847, per il quale la
trascrizione del matrimonio concordatario puo’ essere impugnata
soltanto per una delle cause menzionate nell’art. 12, non puo’ essere
interpretato nel senso di includere nella previsione del matrimonio
contratto dall’interdetto per infermita’ di mente anche quello del
naturalmente incapace.

Sentenza 27 aprile 1993, n.195

L’intervento dei pubblici poteri volto a rendere in concreto possibili
o comunque a facilitare le attivita’ di culto – quali estrinsecazioni
della fondamentale e inviolabile liberta’ religiosa enunciata
dall’art. 19 Cost. – deve uniformarsi al principio supremo della
laicita’ dello Stato, il quale implica non gia’ indifferenza dinanzi
alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della
liberta’ di religione, in regime di pluralismo confessionale e
culturale.

* Avvocatura Generale dello Stato, Atto di intervento per la Regione
Abruzzo
[/areetematiche/documenti/documents/avvgenstato_intervento_abruzzo.pdf]
* Memoria di parte per la Congregazione Cristiana dei Testimoni di
Geova [/areetematiche/documenti/documents/memoria_tdg.pdf] (Avv.ti
Barile, Rescigno e Clarizia)

Sentenza 23 maggio 1990, n.259

Il carattere pubblico della personalita’ giuridica delle comunita’
israelitiche, comportando l’assoggettamento di esse alla penetrante
ingerenza di organi dello Stato e, reciprocamente, l’attribuzione di
poteri autoritativi propri degli enti pubblici, e’ del tutto
incompatibile con il principio costituzionale dell’autonomia statuaria
delle confessioni religiose acattoliche e con quello di laicita’ dello
Stato, e costituisce una palese discriminazione rispetto alle altre
religioni, contraria al principio di eguaglianza, a quello di liberta’
religiosa ed a quello di autonomia delle confessioni. Sono percio’
illegittimi costituzionalmente – per violazione dell’art. 8, comma
secondo, e degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20, Cost. – gli artt. 1, 2, 3,
15, 16 (‘recte’: 17), 18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 56, 57 e 58
del r.d. 30 ottobre 1930 n. 1731, i quali complessivamente
conferiscono il suddetto carattere pubblicistico.