Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 22 Novembre 2012

Parere 13 novembre 2012, n.4802

Consiglio di Stato. Parere 8-13 novembre 2012, n. 4802: "Ministero dell'economia e delle finanze. Schema di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, recante regolamento da adottare ai sensi dell’art. 91-bis, comma 3, del d.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 e integrato dall’art. 9, comma 6, del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174".

Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
 
Adunanza di Sezione del 8 novembre 2012
 
NUMERO AFFARE 10380/2012
 
OGGETTO:
Ministero dell'economia e delle finanze.Schema di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, recante regolamento da adottare ai sensi dell’art. 91-bis, comma 3, del d.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 e integrato dall’art. 9, comma 6, del d.L. 10 ottobre 2012, n. 174.

LA SEZIONE
Vista la relazione prot. n. 3-11473/UCL del 30 ottobre 2012, con la quale il Ministero dell'economia e delle finanze (Dipartimento delle finanze-Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale) ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull' affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Roberto Chieppa;

Premesso:
Riferisce l’Amministrazione che lo schema di regolamento in esame è adottato in attuazione dell’art. 91-bis, comma 3, del d.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che disciplina, a decorrere dal 1º
gennaio 2013, l’applicazione dell’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i) del d. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per gli immobili degli enti non commerciali di cui all’art. 73, comma 1, lettera c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
Il citato comma 3 dell’articolo 91-bis, prevede che, qualora l’unità immobiliare abbia una utilizzazione mista (commerciale e non commerciale) e non sia possibile procedere alla individuazione della frazione dell’unità immobiliare nella quale si svolge l’attività non commerciale, l’esenzione dall’IMU si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale quale risulta da apposita dichiarazione.
Lo stesso comma 3 affida ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400, la definizione delle modalità e delle procedure relative alla predetta dichiarazione e degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale.
In attuazione di tale disposizione legislativa, era stato predisposto un primo schema di regolamento, sul quale questa Sezione si era espressa con il parere del 27 settembre 2012 n. 7658, formulando alcune osservazioni con riguardo a parte del contenuto dello schema, che la Sezione ebbe a ritenere non compreso nel potere regolamentare attribuito dal legislatore al Ministero.
Successivamente, l'articolo 9, comma 6, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 ha integrato la norma primaria, assegnando al regolamento anche il compito di stabilire “i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali”.
In attuazione di tale modifica, il Ministero dell’economia e delle finanze ha trasmesso al Consiglio di Stato un nuovo schema di regolamento, in parte modificato rispetto a quello oggetto del precedente parere.
Lo schema di regolamento in esame si compone di sette articoli, relativi -nell’ordine- alle definizioni (art. 1), all’oggetto del regolamento (art. 2), ai requisiti, generali e di settore, per lo svolgimento con modalità non commerciali delle varie attività (artt. 3 e 4), alla individuazione del sopra menzionato rapporto proporzionale e alla relativa dichiarazione (artt. 5 e 6) ed alle disposizioni finali (art. 7).

Considerato:
1. Lo schema di regolamento dà attuazione all’articolo 91-bis, comma 3, del d.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come integrato dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, che disciplina, a decorrere dal 1º gennaio 2013, l’applicazione dell’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per gli enti non commerciali.
Va preliminarmente chiarito che l’ambito di applicazione dell’IMU e le relative esenzioni sono stabiliti direttamente dal legislatore e, di conseguenza, il pagamento dell’IMU da parte dei soggetti che vi sono tenuti in base alla legge non può essere posto in discussione, e non dipende dalla emanazione del presente regolamento, che disciplina alcuni profili al fine di dare attuazione alla esenzione dall’IMU.
Da ciò deriva che i tempi di adozione del presente regolamento non possono incidere sul pagamento dell’IMU da parte di chi vi è tenuto, ma riguardano unicamente le modalità attuative dell’esenzione.
L’ambito di applicazione dell’esenzione è anche fissato direttamente dal legislatore e riguarda, sotto il profilo soggettivo, gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali e, sotto il profilo oggettivo, gli immobili utilizzati da tali soggetti, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie,didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di religione o di culto.
Con il citato art. 91-bis del d.l. n. 1/2012 è stato inserito, nell’art. 7 del d. lgs. n. 504/1992, l’inciso “con modalità non commerciali” al fine di delimitare l’ambito di applicazione dell’esenzione con riguardo all’utilizzo dell’immobile, e sono state disciplinate, ai commi 2 e 3, due diverse ipotesi di utilizzazione mista.
Quando è possibile individuare gli immobili o le porzioni di immobili adibiti esclusivamente a attività di natura non commerciale, l’esenzione si applica solo alla frazione di unità in cui tale attività si svolge (art. 91-bis, comma 2).
Quando, invece, tale individuazione non risulta possibile, l'esenzione si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione (art. 91-bis, comma 3).
L’oggetto del regolamento era in origine limitato a tale ultima ipotesi e, in particolare, alla definizione delle modalità e delle procedure relative alla predetta dichiarazione e degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale.
Tenuto conto di ciò, con il precedente parere del 27 settembre 2012 n. 7658, la Sezione aveva rilevato che, trattandosi di un decreto ministeriale da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400, il potere regolamentare doveva essere espressamente conferito dalla legge e, di conseguenza, il contenuto del regolamento doveva essere limitato a quanto demandato a tale fonte dal comma 3 dell’art. 91-bis del d.l. n. 1/2012 (nella sua versione originaria), non essendo demandato al Ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell’esenzione IMU per gli immobili degli enti non commerciali.
Sulla base di tale considerazione, era stata ritenuta non rientrante nel potere regolamentare la parte del precedente schema diretta a definire i requisiti, generali e
di settore, per qualificare le diverse attività come svolte con modalità non commerciali.
Con la citata modifica della fonte primaria l’ambito del regolamento è stato esteso alla definizione dei “requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali”.
L’amministrazione ha dato attuazione a tale modifica legislativa, trasmettendo un nuovo schema di regolamento, per lo più coincidente a quello oggetto del precedente parere.
In via preliminare, va precisato che il presente parere è ovviamente condizionato alla conversione in legge, senza sostanziali modifiche, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 e, in particolare, dell’art. 9, comma 6, con cui è stata integrata nel senso anzidetto la norma primaria, fonte del presente regolamento.

2. Per la parte del regolamento, non oggetto di modifiche e non riguardante l’estensione del potere regolamentare (artt. 2, 5, 6 e 7), non si devono formulare osservazioni, essendosi la Sezione già espressa in senso positivo con il precedente parere.
Si deve, invece, soffermare l’attenzione su alcune definizioni contenute nell’art. 1 e sugli artt. 3 e 4, che riguardano proprio i requisiti, generali e di settore, per lo svolgimento con modalità non commerciali delle varie attività.
Con il precedente parere la Sezione non aveva potuto verificare la correttezza dei criteri utilizzati per la definizione, nei vari settori, della nozione di attività svolte con modalità non commerciali, esulando tale aspetto dall’ambito del regolamento da adottare, e si era limitata a segnalare l’eterogeneità dei requisiti, che permane nello schema di regolamento ora in esame.
In alcuni casi è utilizzato il criterio della gratuità o del carattere simbolico della retta (attività culturali, ricreative e sportive); in altri, il criterio dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali (attività ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in altri ancora, il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche).
La Sezione aveva anche ricordato che proprio sulla analoga questione dell’esenzione dall’ICI la Commissione europea aveva avviato in data 12 ottobre 2010 una indagine al fine della valutazione della sussistenza di un aiuto di Stato, avente ad oggetto anche la circolare del Ministero delle finanze n. 2/DF del 26 gennaio 2009, che in parte trattava aspetti oggetto del presente schema.
L’intervenuta modifica della norma primaria e la conseguente nuova trasmissione dello schema di regolamento impone ora di affrontare tali questioni.
Si osserva che mentre i requisiti generali, contenuti nell’art. 3, sono conformi ai principi nazionali e comunitari in tema di attività commerciali, gli ulteriori requisiti, richiesti per i singoli settori dall’art. 4, presentano profili di criticità soprattutto con riferimento ai principi comunitari.
In via generale, il diritto dell’Unione europea ha da tempo affrontato la questione dei presupposti necessari per escludere la natura commerciale di una attività, non tanto facendo riferimento al concetto dell’assenza dello scopo di lucro, ritenuto non determinante (Corte Giust. UE, 1 luglio 2008, C-49/07, punti 27 e 28, con riferimento alla nozione di impresa), ma piuttosto richiamando il carattere non economico che deve qualificare l’attività non commerciale.
Costituisce principio ormai pacifico quello secondo cui la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita una attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (fin da Corte Giust. UE, 23 aprile 1991, C-41/90, Hofner; 17 febbraio 1993, C-159-160/91, Poucet; principi ribaditi anche di recente da Corte Giust., 3 marzo 2011, C-437/09 e 12 luglio 2012, C-138/11).
Per chiarire la distinzione tra attività economiche e non economiche, la giurisprudenza ha costantemente affermato che qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi in un mercato costituisce attività economica (Corte Giust. UE, 16 giugno 1987, C-118/85, punto 7; 18 giugno 1998,C-35/96, punto 36; 12 settembre 2000, C-180-184/98, punto 75).
Rileva, dunque, la nozione di attività economica, in quanto, anche nei settori presi in considerazione dall’art. 4 dello schema di regolamento (attività assistenziale, sanitaria, didattica, ricettiva, culturale, ricreativa e sportiva), soggetti in apparenza “non commerciali” possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici.
In sostanza, anche gli enti non commerciali possono svolgere attività commerciali, che sono necessariamente di natura economica ai sensi del diritto dell’Unione europea e gli immobili destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell’IMU, e non possono beneficare dell’esenzione (ciò pro quota, in ipotesi di utilizzazione mista).
La Sezione ritiene che alcune limitate parti dello schema di regolamento debbano essere ricondotte a coerenza con i menzioni principi comunitari, anche allo scopo di evitare il rischio di una procedura di infrazione avente ad oggetto il nuovo atto normativo.
A tal fine, si ritiene necessario inserire e valorizzare nel testo del regolamento il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario.
All’art. 1, comma 1, lett. p), contenente la definizione di attività non commerciale, occorre, quindi, inserire dopo “modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro” le parole “e del carattere di attività economica, come definito dal diritto dell’Unione europea”.
Va, invece, lasciato inalterato l’ultimo periodo, che ben esprime il concetto di attività non svolta in regime concorrenziale (“che, per loro natura, non si pongonoin concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e che costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà”).

3. I suddetti principi vanno applicati con riferimento ai requisiti contenuti nell’art. 4 dello schema di regolamento, che non appaiono rispettarli quanto meno con riferimento all’attività assistenziale, sanitaria, didattica e ricettiva.
In particolare, con riferimento all’attività assistenziale e sanitaria, l’art. 4, comma 3 prevede due requisiti alternativi, autonomamente idonei a qualificare l’attività come non commerciale:
a) nel caso in cui le attività sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, prestando a favore dell’utenza, alle condizioni previste dal diritto comunitario o nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale; ovvero
b) sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale.
In relazione alla lett. a), si osserva che il regime di accreditamento, convenzionamento o altro tipo di accordo con le competenti autorità pubbliche non esclude di per sé la sussistenza del carattere economico dell’attività, e che la menzionata gratuità dei servizi offerti è attenuata da una non meglio precisata possibilità di partecipazione alla spesa ai fini della copertura del servizio universale, che pure non esclude la predetta natura economica dell’attività.
Con riferimento alla lett. b), l’utilizzo del criterio delle rette di importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o
contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale risulta essere, da un lato, di difficile applicazione e, sotto altro profilo, non è in assoluto idoneo a qualificare l’attività come non commerciale.
Va ricordato che la Commissione europea ha precisato che il fatto che un servizio sanitario sia fornito da un ospedale pubblico non è sufficiente per classificare l’attività come non economica, essendovi in taluni casi un grado di concorrenza tra strutture sanitarie relativamente alla prestazione di servizi sanitari (Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale, in G.U. n. C-8 dell’11 gennaio 2012, punto 24).
Tenuto conto di ciò, appare preferibile unificare le due lettere con una unica previsione che richiami “il versamento di rette di importo simbolico o comunque tale da non integrare il requisito del carattere economico dell’attività, come definito dal diritto dell’Unione europea, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio e della differenza rispetto ai corrispettivi medi previsti per attività analoghe svolte con modalità concorrenziale nello stesso ambito territoriale”.
Tale formulazione risulta essere maggiormente idonea ad evitare il rischio di un contrasto con i principi comunitari, e ha il vantaggio di poter essere applicata anche ad altre tipologie di attività, come di seguito illustrato.
In ogni caso, qualora, non si ritenesse di accorpare le due lettere, la congiunzione “ovvero” posta tra la t. a) e lett. b) andrebbe sostituita con la congiunzione “e”.

4. Per l’attività didattica, il requisito principale è fissato dall’art. 4, comma 3, lett. c), che prevede che “l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e tali da non coprire integralmente il costo effettivo del servizio”.
Il richiamo alla gratuità del servizio o alle rette di importo simbolico è nella sostanza assorbito dal criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio.
Tale criterio non sembra essere compatibile con il carattere non economico dell’attività.
Tale criterio consente di porre a carico degli utenti (studenti o genitori) anche una percentuale dei costi solo lievemente inferiore a quelli effettivi.
Secondo la giurisprudenza comunitaria, il carattere non economico dell’istruzione pubblica non è pregiudicato dal fatto che talora gli alunni o i genitori siano tenuti a pagare tasse di iscrizione o scolastiche per contribuire ai costi di gestione del sistema, mentre va distinta l’ipotesi in cui i servizi di istruzione sono finanziati prevalentemente da alunni e genitori o da introiti commerciali (Corte Giust. UE, 11 settembre 2007, C-318/05; 18 dicembre 2007, C-281/06; 7 dicembre 1993, C-109/92; 27 settembre 1988, C-263/86; si veda anche la già citata Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale, in G.U. n. C-8 dell’11 gennaio 2012, punti 26 e ss.).
Il criterio della copertura non integrale dei costi appare nella sostanza ricalcare il concetto di servizi che possono essere finanziati prevalentemente da genitori e alunni, per il quale gli organi dell’Unione europea escludono il carattere non economico dell’attività.
Le rilevate criticità del criterio contenuto nello schema possono essere superate utilizzando un criterio analogo a quello proposto per le attività assistenziali e sanitarie, sostituendo, alla lett. c) del comma 3 dell’art. 4, le parole “e tali da non coprire integralmente il costo effettivo del servizio” con le parole “o comunque tale da non integrare il requisito del carattere economico dell’attività, come definito dal diritto dell’Unione europea, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il
costo effettivo del servizio e della differenza rispetto ai corrispettivi medi previsti per attività analoghe svolte con modalità concorrenziale nello stesso ambito territoriale”.

5. Per le attività ricettive, l’art. 4, comma 4, stabilisce che “Lo svolgimento di attività ricettive si ritiene effettuato con modalità non commerciali se è prevista l’accessibilità limitata ai destinatari propri delle attività istituzionali e la discontinuità nell'apertura; nonché, relativamente alla ricettività sociale, se le iniziative sono dirette a garantire l’esigenza di sistemazioni abitative anche temporanee per bisogni speciali o sono rivolte nei confronti di persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari. Le rette devono essere di importo simbolico e, in ogni caso, non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali”.
Sotto un primo profilo, la definizione del concetto di ricettività sociale va collocata nell’art. 1, che contiene tutte le definizioni, precisando che le attività di recettività sociale sono quelle in cui le iniziative sono dirette a garantire l’esigenza di sistemazioni abitative anche temporanee per bisogni speciali o sono rivolte nei confronti di persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.
Valuti a quel punto l’amministrazione l’opportunità di lasciare nella lett. j) del comma 1 dell’art. 1 il richiamo al d. lgs. n. 79/2011 (c.d. Codice del turismo).
Il comma 4 dell’art. 4 può essere lasciato inalterato nella prima parte, tranne che per il richiamo alle attività di ricettività sociale e può essere completato nell’ultima parte, sostituendo il periodo “e, in ogni caso, non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali” con le parole “o comunque tale da non integrare il requisito del carattere economico dell’attività, come definito dal diritto dell’Unione europea,
tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio e della differenza rispetto ai corrispettivi medi previsti per attività analoghe svolte con modalità concorrenziale nello stesso ambito territoriale”.

6. Per le attività culturali, ricreative e sportive si rimette alla valutazione dell’amministrazione la decisione se lasciare l’attuale criterio (più restrittivo) contenuto nei commi 5 e 6 dell’art. 4 del regolamento (a titolo gratuito o con corrispettivo simbolico) o se utilizzare il diverso criterio sopra indicato.

7. Sotto il profilo formale, si rileva che nelle premesse il sesto “visto” contiene un errore materiale, che va quindi corretto, essendo stata riportata due volte la frase “gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale”.
 
P.Q.M.

Esprime parere favorevole con le osservazioni di cui in motivazione.

Il Presidente Luigi Cossu
L'Estensore Roberto Chieppa