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    Sentenza 04 novembre 2013, n.24683

    Diversa appartenenza confessionale dei genitori ed affidamento condiviso

    Data: 04 novembre 2013
    Autore:
    Corte di Cassazione - Civile
    Argomento:
    Confessioni religiose, Libertà religiosa, Famiglia, Testimoni di Geova, Minori
    Dossier:
    Confessioni religiose
    Nazione:
    Italia
    Parole chiave:
    Testimoni di Geova, Minori, Appartenenza confessionale, Fede cattolica, Genitori, Affidamento condiviso, Adunanze del Regno
    Non implica violazione del diritto di professare la propria fede religiosa, il provvedimento di divieto di partecipazione alle Adunanze del Regno, emesso nel corso di un giudizio di “affidamento condiviso” delle figlie minorenni di un padre appartenente ai Testimoni di Geova, nel caso in cui, all’esito degli accertamenti svolti a livello comunale, si sia ritenuto che l’età delle figlie non consentisse loro di “praticare una scelta confessionale veramente autonoma” e fosse pertanto inopportuno “uno stravolgimento di credo religioso” (nel caso di specie, "cattolico”).

    Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 settembre – 4 novembre 2013, n. 24683:  "Diversa appartenza confessionale dei genitori ed affidamento condiviso".

    Presidente Luccioli – Relatore Piccininni

    (omissis)

    Fatto e Diritto

    Con ricorso del 24.1.2011 L.R.C. adiva il Tribunale dei Minorenni di Milano, per sentir pronunciare l’affidamento condiviso delle figlie minori G. ed A., nate da una relazione di convivenza con R.B., e sentir stabilire l’assegno per il loro mantenimento (originariamente concordato in complessivi € 600) in € 150 per ciascuna, in esso escluse parte delle spese straordinarie, da porre a suo carico nella misura del 50%.
    Il tribunale accoglieva la richiesta di affido condiviso, poneva a carico del C. l’assegno di € 600, oltre il 50% delle spese straordinarie, con provvedimento che veniva reclamato da entrambi, dal C. in via principale, con riferimento alla quantificazione dell’assegno, dalla B. in via incidentale, in relazione al disposto affidamento condiviso.
    La Corte di appello, sezione per i minori, con decreto provvisorio dell’1.3.2012 faceva dapprima divieto a R.C. di condurre le figlie alle Adunanze del Regno, alle quali il reclamante principale prendeva parte conducendo con sé le bambine in relazione alla sua intervenuta adesione (dopo la separazione) ai Testimoni di Geova.
    Quindi, all’esito dell’istruttoria, confermava sostanzialmente il provvedimento del primo giudice, eccezion fatta: a) per il già disposto divieto stabilito provvisoriamente con il citato decreto dell’1.3.2012, relativamente alla partecipazione delle figlie minori alle Adunanze nel Regno, che veniva così confermato; b) per la prescrizione concernente l’obbligo di far trascorrere alle minori “i giorni più significativi delle festività natalizie e pasquali, e cioè il 24 e il 25 dicembre, l’1 e il 6 gennaio e il giorno di Pasqua, nonché il giorno del loro compleanno”, con la madre; misure entrambe adottate in relazione all’affermata impossibilità per le bambine, fino ad allora educate in un contesto connotato dal credo religioso cattolico, di praticare una scelta confessionale veramente autonoma”.
    Avverso la decisione C. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva B. con controricorso con il quale veniva fra l’altro eccepita la nullità della notifica dell’atto di impugnazione, atti cui facevano seguito le rispettive memorie.
    Con i motivi di ricorso C. ha denunciato: 1) violazione dell’art. 360 n. 1 c.p.c. e 111, comma 7, Cost., con riferimento alla disposta condanna al pagamento delle spese processuali, quantificate in € 2.400, e quindi in misura particolarmente elevata, tale da porsi in contrasto con l’art. 24 Cost. Per di più, secondo il ricorrente, il principio della soccombenza andrebbe affermato tenendo presente l’esito finale della lite, mentre la B. non risulterebbe “la parte vittoriosa del procedimento”;
    2) violazione dell’art. 19 Cost., in relazione al disposto divieto di partecipazione delle figlie minori alle Adunanze del Regno, divieto che si porrebbe in contrasto con il diritto di manifestazione della propria religione, normativamente riconosciuto;
    3) vizio di motivazione sotto il profilo della apoditticità della decisione, asseritamente adottata con un semplice appiattimento sulle affermazioni del primo giudice, senza che fosse tenuto debito conto degli specifici rilievi formulati con il reclamo.
    Osserva il Collegio che l’eccezione di nullità della notifica del ricorso in esame, perché effettuata presso la residenza anagrafica di essa controricorrente anziché presso il domicilio eletto, è priva di pregio, attesa l’avvenuta costituzione in giudizio della B., che come effetto conseguente ne ha determinato la sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c. (C. 04/8893, C. 02/9362, C. 01/8632, C. 00/2085, C. 98/4910, C. 97/5575).
    Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che il provvedimento sulla liquidazione delle spese processuali, contrariamente a quanto sostenuto dalla B., è certamente ricorribile (C. 12/2986, C. 2006/14742, C. 05/9516), ma la censura è nel merito infondata.
    Ed infatti la Corte di Appello ha motivato la propria decisione sul punto in ragione della prevalente (e non contestata) soccombenza del C. e tale circostanza esclude anche l’astratta configurabilità di una violazione di legge sotto l’aspetto denunciato, atteso che il principio della liquidazione delle spese processuali sulla base della soccombenza impone che non possa essere condannata la parte vittoriosa, ipotesi incontestabilmente non ricorrente nella specie.
    Quanto alla doglianza relativa all’asserita “esosità” dell’importo liquidato, la stessa appare generica, in quanto riconducibile ad una valutazione dell’interessato e non sorretta da alcuna deduzione in ordine al mancato rispetto delle tariffe professionali. Analogamente infondata è poi la censura sollevata con il secondo motivo di impugnazione, incentrata su una asserita compressione del diritto di manifestazione del proprio credo religioso, pur costituzionalmente garantito.
    La Corte territoriale, cui era stata specificamente sottoposta la questione concernente l’indirizzo religioso dato dal C. alle figlie minori, ha invero espresso sul punto una valutazione negativa all’esito degli accertamenti svolti dai Servizi del Comune di S. Donato Milanese, ritenendo sostanzialmente che l’età delle figlie non consentisse loro di “praticare una scelta confessionale veramente autonoma” e fosse inopportuno “uno stravolgimento di credo religioso” che non potesse essere elaborato con la necessaria maturità, considerato che le minori “avevano vissuto… in un contesto connotato dal credo religioso cattolico”.
    Appare dunque all’evidenza che la Corte di appello, lungi dal negare e comprimere il diritto di professare la propria fede religiosa la cui violazione è stata denunciata dal C., ha piuttosto adottato le prescrizioni ritenute più idonee per assicurare la corretta formazione psicologica ed affettiva delle minori e le relative statuizioni, sorrette da adeguata motivazione non viziata sul piano logico, non sono censurabili in questa sede di legittimità.
    Resta infine il terzo motivo, con il quale C. ha denunciato un vizio di motivazione in relazione all’avvenuta conferma in sede di gravame dei provvedimenti di natura economica.
    La conferma sarebbe intervenuta senza la debita considerazione della sua “difficile situazione economica”, ma il motivo risulta inammissibile, poiché la Corte di appello ha espresso sul punto una valutazione di merito della quale ha dato sufficiente e non illogica motivazione, mentre la censura formulata al riguardo è generica e consiste nella riproposizione di argomenti che a dire del ricorrente avrebbero dovuto condurre a conclusioni difformi a sé favorevoli, piuttosto che in errori addebitabili al giudice del merito, semplicemente enunciati e apoditticamente richiamati.
    Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 3.200, di cui € 3.000 per compenso, oltre agli accessori di legge.
    In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità egli altri dati identificativi, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 196/03.

    « Risoluzione 10 ottobre 2013 » Dichiarazione/i 03 novembre 2013

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