Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 22 Settembre 2009

Sentenza 05 gennaio 1977, n.1

Corte Costituzionale. Sentenza 5 gennaio 1977, n. 1: “Esecutività delle sentenze matrimoniali ecclesiastiche”.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 3 luglio 1975 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra Di Filippo Gigliola e Aldomir Gospodinoff, iscritta al n. 498 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 3 dicembre 1975;

2) ordinanza emessa il 13 febbraio 1976 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Mimmi Augusto e Olivieri Claudia, iscritta al n. 377 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 23 giugno 1976;

3) ordinanza emessa il 12 febbraio 1976 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Filippucci Lorenzo e Donati Paola, iscritta al n. 408 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 30 giugno 1976;

4) ordinanza emessa il 12 marzo 1976 dalla Corte di appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Calvo Mario e Pretti Angiolina, iscritta al n. 502 del regisitro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 253 del 22 settembre 1976.

Visti gli atti di costituzione di Di Filippo Gigliola, di Donati Paola, di Claudia Olivieri, di Lorenzo Filippucci e di Aldomir Gospodinoff;

udito nell’udienza pubblica del 24 novembre 1976 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

uditi gli avvocati Paolo Barile e Mauro Mellini per Di Filippo, l’avv. Domenico Barillaro per Olivieri, l’avv. Corrado Bernardini per Filippucci, gli avvocati Pietro Gismondi e Filippo Satta per Gospodinoff.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza emessa il 3 luglio 1975 nel corso di un procedimento civile vertente tra Di Filippo Gigliola e Gospodinoff Aldomir, la Corte suprema di cassazione – Sezioni unite civili – sollevava, in riferimento rispettivamente agli artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101 e 102 della Costituzione ed agli artt. 2, 3, 7, 29 Cost., due questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847, recante “Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio”.

Secondo la prima di esse, la norma denunciata, dando applicazione ai commi quarto, quinto e sesto dell’art. 34 del Concordato fra la Santa Sede e l’Italia, renderebbe operante la rinunzia dello Stato all’esercizio della giurisdizione a favore dell’ordinamento canonico nel quale, per la natura degli organi cui é demandata la trattazione delle cause matrimoniali, la tutela in giudizio e il diritto di difesa non sono garantiti secondo le linee fondamentali dell’ordinamento statale e si porrebbe così in contrasto con il principio supremo del sistema costituzionale concernente il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale quale si attua attraverso i criteri dell’indipendenza, dell’imparzialità e della precostituzione del giudice, nonché il diritto di ciascuno ad agire in giudizio e ad esercitare in ogni stato e grado del procedimento, partecipando ad ogni atto di esso, il diritto inviolabile di difesa.

Con la seconda questione si deduceva che la stessa norma – interpretata secondo un costante orientamento giurisprudenziale nel senso che il giudice statale non possa sindacare la conformità della pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario ai principi informatori dell’ordinamento italiano e specificamente di quello matrimoniale (c.d. ordine pubblico internazionale: art. 797, n. 7 cod. proc. civ., art. 31 disp. prel. cod. civ.) – imporrebbe al giudice di rendere esecutive anche pronunzie di nullità per cause non previste dalla legge italiana (ed in particolare, come nella specie, per riserva mentale), consentendo così di attribuire rilevanza nell’ordinamento interno ad un tipo di matrimonio contrastante con quello riconosciuto e garantito dalla Costituzione e, in definitiva, anche con i supremi principi del sistema costituzionale relativi all’eguaglianza dei cittadini ed al concetto stesso di matrimonio accolto nella Carta fondamentale. A tal fine venivano illustrate le differenze fondamentali di disciplina e di criteri ispiratori che attengono ai due istituti del matrimonio canonico e di quello civile, evidenziando poi con più preciso riferimento alla rilevanza riconosciuta alla riserva mentale nella regolamentazione canonica come questa, se da un lato appare giustificata nella logica della tutela del sacramento, dall’altro sembra confliggere con i principi costituzionali nella misura in cui disconosce ogni esigenza di tutela per la società naturale nata dal matrimonio, implicando oltre tutto che possa essere liberato dal vincolo proprio il coniuge che abbia maliziosamente posto le relative condizioni con l’effetto di vedere premiata la propria malafede.

2. – Si é costituito in giudizio innanzi a questa Corte la signora Gigliola Di Filippo, con memoria depositata il 25 novembre 1975, nella quale, ribadite ed estese le censure già espresse nell’ordinanza di rinvio, si conclude per l’accoglimento delle sopra esposte questioni di legittimità costituzionale.

Anche il signor Aldomir Gospodinoff si costituiva in questo giudizio con deduzioni prodotte il 23 dicembre 1975, nelle quali eccepiva irrilevanza delle questioni sollevate, essendo già stata pronunciata fra le parti sentenza passata in giudicato di cessazione degli effetti civili del matrimonio e mancando un interesse ad impugnare tali norme anziché quelle che regolano gli effetti patrimoniali della pronunzia di nullità. Chiedeva nel merito decisione di rigetto.

Con successive memorie le parti sviluppavano ulteriormente le rispettive argomentazioni. Nella discussione il Gospodinoff ribadiva le conclusioni prese. L’avv. Barile per Di Filippo Gigliola concludeva chiedendo sentenza interpretativa di rigetto sul problema dei poteri del giudice italiano in sede di “delibazione” delle sentenze dei tribunali ecclesiastici e sentenza interpretativa di accoglimento sul problema del regime patrimoniale conseguente alla intervenuta efficacia nell’ordinamento italiano delle sentenze dichiarative della nullità del matrimonio celebrato con rito concordatario; l’avv. Mellini ribadiva le conclusioni già prese.

3. – Con ordinanza emessa in data 12 febbraio 1976, nel corso del procedimento civile vertente tra Filippucci Lorenzo e Donati Paola, la Corte d’appello di Roma ha sollevato analoghe questioni di legittimità costituzionale. Svolgeva argomentazioni simili a quelle di cui all’ordinanza delle Sezioni unite della Corte di cassazione; rilevava inoltre, con riferimento alla prima questione, che neppure la normativa della recente Costituzione Apostolica Regimini Ecclesiae Universae, la quale consente, fra l’altro, il ricorso avverso l’atto di rimozione di un giudice, sarebbe tale da superare ogni perplessità, permanendo pur sempre il potere del Sommo Pontefice di prorogare e spostare la competenza degli organi giudicanti e restando in vigore le incapacità processuali connesse allo status di acattolico e scomunicato; risultando altresì violato il diritto alla tutela giurisdizionale, dato che il giudizio di appello potrebbe essere sostituito, in base a recenti disposizioni normative dell’ordinamento canonico, da un decreto.

4. – Si costituivano innanzi a questa Corte le parti del processo a quo. La difesa di Donati Paola nell’atto di costituzione ed in successiva memoria chiedeva si pronunciasse sentenza di accoglimento, svolgendo le argomentazioni contenute nell’ordinanza della Corte d’appello.

La difesa di Filippucci Lorenzo contestava analiticamente il fondamento dei dubbi di costituzionalità prospettati in tale ordinanza ed eccepiva irrilevanza della questione a carattere sostanziale e di alcuni profili della questione a carattere processuale, assumendo non trovassero riscontro nelle effettive vicende del procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici al termine del quale era stata adottata la decisione della cui esecutività si era discusso innanzi alla Corte d’appello e nell’effettivo contenuto di questa.

In successiva memoria e nella discussione orale approfondiva le sue tesi e ribadiva le conclusioni prese.

5. – Con ordinanza emessa in data 13 febbraio 1976 nel corso di procedimento civile fra Mimmi Augusto ed Olivieri Claudia la medesima Corte d’appello di Roma sollevava analoghe questioni in ordine all’art. 17 legge 27 maggio 1929, n. 847, con riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 101 ss. Cost. Nel ribadire gli argomenti svolti nell’ordinanza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, la Corte d’appello di Roma osservava ancora che inerisce al diritto alla tutela giurisdizionale l’esigenza di una decisione definitiva e che dalla mancanza di tale definitività – propria dell’ordinamento canonico – deriva inoltre una lesione della certezza del diritto.

6. – Si costituiva in giudizio innanzi a questa Corte Olivieri Claudia chiedendo decisione di accoglimento.

Nell’atto di costituzione, in successiva memoria e nella discussione orale ribadiva ed ampliava i dubbi di costituzionalità evidenziati nell’ordinanza della Corte d’appello.

7. – Con ordinanza emessa il 12 marzo 1976 nel procedimento civile fra Calvo Mario e Pretti Angiolina la Corte d’appello di Torino sollevava analoga questione in ordine all’art. 17 legge 847 del 1929, con riferimento agli artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101, 102 Cost.

Dopo essersi richiamata all’ordinanza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, rilevava ancora la Corte d’appello di Torino che la stessa funzione dei tribunali ecclesiastici – i quali hanno il compito di accertare se il sacramento é valido e non piuttosto di tutelare i diritti dei singoli – induce a dubitare della costituzionalità delle norme le quali impongono di recepire nel nostro ordinamento i risultati della loro attività. Basterebbe ricordare il potere del S.P. di rendere definitive decisioni ancora impugnabili per dimostrare come nell’ordinamento canonico siano carenti di tutela gli interessi dei singoli e non sia garantita l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici.

Né, d’altra parte, potrebbe considerarsi sufficiente compenso alla scarsa garanzia che l’ordinamento canonico appresta per il convenuto l’esistenza e l’attività del difensore del vincolo; e neppure il rilievo circa la congruenza del sistema processuale canonistico rispetto a quello sostanziale che regola l’atto consentirebbe di superare il dubbio di costituzionalità.

8. – Le menzionate ordinanze pongono in definitiva una questione a carattere processuale ed una questione a carattere sostanziale.

Si dubita, in primo luogo, che sia costituzionalmente legittimo – in riferimento agli artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108 Cost. – l’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847, recante “Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia nella parte relativa al matrimonio”, che rende operante la rinunzia dello Stato all’esercizio della giurisdizione in questa materia a favore di quella canonica, potendosi, ad avviso dei giudici a quibus, ragionevolmente pensare che per effetto di tale rinuncia rimangano violati: 1) il principio supremo dell’ordinamento costituzionale concernente il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale, in relazione: a) alla mancanza di sanzioni e di mezzi di coercizione materiale, riscontrabile nell’ordinamento canonico, nei confronti dei testi che non si presentano, rifiutano di rispondere, asseriscono il falso; b) alla inidoneità a testimoniare stabilita per chi é colpito da scomunica; c) al potere del Sommo Pontefice di rendere definitive sentenze impugnabili; d) alla possibile sostituzione della sentenza di secondo grado con un decreto; e) alla mancanza di giudicato definitivo; 2) i principi supremi dell’indipendenza, imparzialità e precostituzione del giudice, in relazione: a) alla amovibilità dei giudici ecclesiastici ad nutum Episcopi ed alla necessità di conferma da parte del nuovo Ordinario nell’ipotesi di sopravvenuta vacanza della sede; b) alla avocabilità al Pontefice di qualunque causa, con potere di deferirla a giudici di volta in volta designati; c) al potere del Sommo Pontefice di proroga o spostamento degli organi giudicanti; 3) nonché al diritto di ciascuno di agire in giudizio e di esercitare, in ogni stato e grado di esso, il diritto della difesa, in relazione: a) al riconoscimento di incondizionata capacità processuale ai soli coniugi cattolici; b) alla possibilità che il difensore venga rifiutato dall’Ordinario; c) ad un sistema per cui il convenuto conosce il libello solo dopo il suo interrogatorio; d) al divieto per le parti ed i loro difensori di assistere agli atti della istruzione.

Si dubita, in secondo luogo, che sia costituzionalmente legittimo – in riferimento agli artt. 2, 3, 7 e 29 della Costituzione – l’art. 17 suddetto, potendosi, ad avviso dei giudici a quibus, ragionevolmente pensare che tale norma, interpretata secondo un costante orientamento giurisdizionale nel senso che il giudice statale non possa sindacare la conformità della pronunzia ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario ai principi informatori dell’ordinamento italiano e specificamente di quello matrimoniale (c.d. ordine pubblico internazionale: art. 797, n. 7, cod. proc. civ., art. 31 disp. prel. cod. civ.) imponga di rendere esecutive anche pronunzie di nullità per cause, come la riserva mentale, non previste dalla legge italiana e, pertanto, un tipo di matrimonio contrastante con quello riconosciuto e garantito dalla Costituzione e, in definitiva, anche con i supremi principi del sistema costituzionale relativi all’eguaglianza dei cittadini ed al concetto stesso di matrimonio accolto nella Carta fondamentale, che é ispirato all’esigenza di tutelare la famiglia, quale società naturale fondata sul matrimonio e valorizza – più che la ricerca delle motivazioni soggettive in base alle quali ciascuno degli sposi si determina al matrimonio, cui dà fondamentale ed assorbente rilievo il diritto canonico, esaminandole alla luce del valore sacramentale dell’atto – il dato oggettivo della dichiarazione, fonte di autoresponsabilità e del consenso che si rinnova nella comunanza di vita.

Considerato in diritto

Le questioni sollevate con le ordinanze di rimessione di cui in narrativa attengono per un verso alla compatibilità con quanto dispongono gli artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101 e seguenti Cost. della rinunzia alla giurisdizione in materia di validità del matrimonio concordatario operata dallo Stato Italiano con l’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847. dubitandosi che per effetto di tale rinunzia rimangano violati i principi supremi dell’ordinamento costituzionale circa il diritto alla tutela giurisdizionale, l’indipendenza, imparzialità e precostituzione del giudice, nonché il diritto di ciascuno di agire in giudizio ed il diritto di difesa, in relazione ai profili indicati dalle ordinanze medesime; per altro verso attengono alla compatibilità con gli artt. 2, 3, 7 e 29 Cost. dell’art. 17 della legge citata in quanto impone di rendere esecutive anche pronunzie di nullità per cause, come la riserva mentale, non previste dalla legge italiana ed in definitiva corrispondenti ad un tipo di matrimonio contrastante con quello riconosciuto e garantito dalla Costituzione con norme che si ritengono espressione di principio supremo nel senso predetto.

I giudizi hanno ad oggetto questioni analoghe e possono essere decisi congiuntamente.

In primo luogo deve essere identificato il thema decidendum: questo consiste nell’accertamento della legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847, nella parte in cui imporrebbe di rendere esecutivi nell’ordinamento italiano sentenze e provvedimenti di tribunali ed autorità ecclesiastiche emessi in violazione di principi supremi del nostro ordinamento costituzionale.

Ma le questioni proposte, proprio perché sollevate in relazione all’art. 17, debbono essere dichiarate irrilevanti. In effetti, per la sostanziale (e quasi letterale) corrispondenza di proposizioni normative – nella parte che qui interessa – tra l’art. 17 legge n. 847 del 1929 e i commi quinto e sesto dell’art. 34 del Concordato fra la Santa Sede e l’Italia (reso esecutivo con l’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810), qualunque dovesse essere la pronuncia nel merito in ordine alle denunziate illegittimità, rimarrebbe egualmente ferma la applicabilità dei precetti contenuti nei commi quinto e sesto dell’art. 34 del Concordato: poiché cadute le proposizioni normative dell’art. 17, che riproducono quelle dell’art. 34, resterebbero in vigore le norme corrispondenti contenute nei commi quinto e sesto dell’art. 34 stesso, così come sono state immesse nell’ordinamento italiano dal citato art. 1 della legge n. 810 del 1929. Il caso é assai simile ad altro già deciso da questa Corte nel senso della irrilevanza (sentenza n. 108 del 1957).

Più analiticamente: mentre le altre disposizioni delle leggi di applicazione del Concordato (nn. 847 e 848 del 1929) contengono in genere norme attuative, strutturalmente autonome, quand’anche complementari (si tratta di norme di derivazione concordataria in senso largo da tenere ben distinte dalle norme di derivazione concordataria in senso stretto o proprio, immesse nel nostro ordinamento con la legge n. 810 del 1929), l’art. 17 della legge n. 847 del 1929 é costituito prevalentemente da proposizioni che riproducono, come si é già detto, le formule dei commi quinto e sesto dell’art. 34 del Concordato, trasponendole nel linguaggio del diritto italiano: in altre parole si esplicitava testualmente quanto era già passato nel diritto interno con l’ordine di esecuzione contenuto nell’art. 1 della legge n. 810 del 1929. Ciò fu richiesto in termini assai netti in sede parlamentare, proprio perché la lettera dell’articolo fosse più aderente a quella della disposizione concordataria (Atti Camera dei Deputati, tornata del 14 maggio 1929, pag. 244). Risulta quindi inesatta l’affermazione contenuta nell’ordinanza delle Sezioni unite della Cassazione (e fatta propria sostanzialmente dalle Corti d’appello) che l’art. 17 rende operante la rinunzia dello Stato all’esercizio della giurisdizione a favore dell’ordinamento canonico, in quanto la riserva a favore del giudice ecclesiastico si era già prodotta con la inserzione nel nostro ordinamento dei commi quarto e seguenti dell’art. 34 Concordato, così come disposta in forza del precitato art. 1 legge 810 del 1929. La corrispondenza del contenuto normativo non toglie però che diversa si presenti, nella gerarchia delle fonti, la posizione degli atti che contengono le norme stesse e, di riflesso, il grado di queste. Invero, le disposizioni dell’art. 34 Concordato e della legge n. 810 del 1929 ebbero a godere in passato della speciale garanzia conseguita in base all’applicazione dell’art. 12 della legge 9 dicembre 1928, n. 2963, e godono attualmente della “copertura costituzionale” fornita dall’art. 7, secondo comma, Cost.; l’art. 17, invece (come tutte le disposizioni delle leggi nn. 847 e 848 del 1929), contiene norme che risultano da una legge “ordinaria” nel senso più proprio della espressione, la cui legittimità costituzionale non deve essere necessariamente valutata soltanto in relazione ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale, ma é verificabile in riferimento a tutti i singoli precetti della Costituzione, nonché eventualmente anche alle norme dello stesso Concordato.

Ciò premesso, si constata che nessuna altra norma, oltre quella indicata, é oggetto di denuncia. I dispositivi delle quattro ordinanze con cui sono state sollevate le questioni fanno riferimento soltanto all’art. 17 cit., e non a caso, basandosi essi sull’equivoco che le norme concordatarie siano estranee all’ordinamento statale, mentre queste lo sono in quanto norme pattizie, non già in quanto si considerino immesse, come sono nella specie, nell’ordinamento italiano a seguito del più volte citato ordine di esecuzione (sentenza n. 30 del 1971). E nelle motivazioni delle dette ordinanze non si rinvengono considerazioni o anche semplici affermazioni, dalle quali si possa desumere che altre norme siano, separatamente dall’art. 17 o in unico contesto, sospettate di illegittimità costituzionale.

Deve, quindi, ritenersi che le diverse questioni sollevate concernano esclusivamente l’art. 17.

Va poi rilevato, che nemmeno le Sezioni unite hanno sollevato come autonoma questione quella dei poteri del giudice italiano nello speciale procedimento di delibazione per il conferimento della esecutività alle sentenze ed ai provvedimenti ecclesiastici: in effetti é singolare, nel contesto dell’ordinanza delle Sezioni unite, che la questione (ove veramente la si fosse voluta sollevare) non sia stata posta con riguardo ai profili relativi alla prima questione di costituzionalità sulla adeguatezza della tutela giurisdizionale; evocata in forma del tutto incidentale in sede di preambolo alla questione di diritto sostanziale (a proposito cioè della riserva mentale di uno dei nubenti), la questio sui poteri del giudice non é stata (in realtà) proposta, come é comprovato dal difetto di ogni indicazione circa le norme costituzionali da utilizzare come parametro del controllo.

Va inoltre ricordato come questa Corte abbia riconosciuto la legittimità costituzionale della riserva disposta dall’art. 34 del Concordato a favore della giurisdizione ecclesiastica (particolarmente nella sentenza n. 175 del 1973): tale riserva non é comunque in discussione in questo giudizio tanto più che, sia pure per implicito, la citata sentenza ebbe a confermare il carattere sostitutivo, per i matrimoni concordatari, della giurisdizione di nullità dei tribunali ecclesiastici. Viene in conclusione a mancare un requisito essenziale – quello della rilevanza – perché sia validamente e utilmente instaurato il giudizio di legittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), sollevate dalla Corte suprema di cassazione a sezioni unite e dalle Corti di appello di Torino e di Roma con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.

Paolo ROSSI – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO – Ercole ROCCHETTI – Enzo CAPALOZZA – Vincenzo Michele TRIMARCHI – Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI – Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA

Arduino SALUSTRI – Cancelliere

Depositata in cancelleria il 5 gennaio 1977.