Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 29 Agosto 2003

Sentenza 05 luglio 1971, n.169

Corte costituzionale. Sentenza 5 luglio 1971, n. 169: “Matrimonio concordatario e divorzio (art. 2 della legge 1° dicembre 1970, n. 898)”.

(Branca; Verzì)

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: prof. Giuseppe BRANCA,

Giudici: prof. Michele FRAGALI, prof. Costantino MORTATI, prof. Giuseppe CHIARELLI, dott. Giuseppe VERZÌ, dott. Giovanni Battista BENEDETTI, prof. Francesco Paolo BONIFACIO, dott. Luigi OGGIONI, dott. Angelo DE MARCO, avv. Ercole ROCCHETTI, prof. Enzo CAPALOZZA, prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI, prof. Vezio CRISAFULLI, dott. Nicola REALE, prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante ” Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio “, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1971 dal tribunale di Siena nel procedimento per scioglimento di matrimonio vertente tra Pagliantini Oville e Inglesi Gino, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 5 maggio 1971.

Visti gli atti di costituzione di Pagliantini Oville e d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 16 giugno 1971 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

uditi gli avvocati Rosario Nicolò, Paolo Barile ed Enzo Cheli, per la Pagliantini, e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

(omissis)

Considerato in diritto:

1.—La questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, viene proposta dalla ordinanza del tribunale di Siena sotto il profilo della violazione dell’art. 7 della Costituzione in relazione all’art. 34 del Concordato: la norma denunciata, ammettendo la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, avrebbe spezzato il nesso inscindibile tra tali effetti e la natura indissolubile del matrimonio canonico, violando così l’obbligo assunto dallo Stato di mantenere permanenti gli effetti medesimi. Tale innovazione, essendo contenuta in una legge ordinaria, non preceduta da accordi con la Santa Sede, avrebbe prodotto una modificazione dei Patti Lateranensi senza il procedimento di revisione costituzionale richiesto dal ripetuto art. 7 e dall’art. 138 della Costituzione.

La questione è infondata.

La Corte osserva preliminarmente che sulla decisione dell’attuale questione non incide alcun problema inerente alla sovranità dello Stato, ma che si tratta solo di accertare attraverso quali forme (legge ordinaria o legge di revisione costituzionale) tale sovranità si poteva esercitare nella specie.

2.—L’infondatezza della questione deriva dal rilievo che con i Patti Lateranensi lo Stato non ha assunto l’obbligo di non introdurre nel suo ordinamento l’istituto del divorzio. All’inizio delle trattative tra la Santa Sede e l’Italia fu proposto di impegnare lo Stato ” a mantenere illeso in qualsiasi disposizione concernente il matrimonio il principio della indissolubilità e dell’impedimento dell’ordine sacro”, ma nel corso delle ulteriori discussioni non si fece più alcun cenno di tale principio e si addivenne all’accordo, consacrato nel testo dell’art. 34 del Concordato, per cui lo Stato ha riconosciuto al matrimonio concordatario ” gli effetti civili “. Con ciò l’ordinamento italiano non ha operato una recezione della disciplina canonistica del matrimonio, limitandosi ad assumere il matrimonio, validamente celebrato secondo il rito cattolico e regolarmente trascritto nei registri dello stato civile, quale presupposto cui vengono ricollegati gli identici effetti del matrimonio celebrato davanti agli ufficiali di stato civile.

Non può argomentarsi in contrario dal riferimento dell’art. 34 al ” sacramento del matrimonio “, giacché l’espressione usata ben si spiega in un atto bilaterale, alla formazione del quale concorreva la Santa Sede, dal momento che, per la Chiesa, il matrimonio costituisce anzitutto ed essenzialmente un sacramento; ma non implica affatto che, in questa sua figura e con le connesse caratteristiche di indissolubilità, esso sia stato altresì riconosciuto come produttivo di effetti civili dallo Stato. Ed infatti l’espressione più non ricorre nell’art. 5 della legge 27 maggio 1929, n. 847, contenente disposizioni per l’attuazione del Concordato nella parte relativa al matrimonio, la quale più semplicemente stabilisce che ” il matrimonio celebrato davanti un ministro del culto cattolico, secondo le norme del diritto canonico, produce, dal giorno della celebrazione, gli stessi effetti del matrimonio civile, quando sia trascritto nei registri dello stato civile secondo le disposizioni degli articoli 9 e seguenti “. E’ da tener presente al riguardo che della conformità dell’art. 5 (come del resto anche degli artt. 12 e 16 della citata legge n. 847 del 1929) con l’art. 34 del Concordato non si può dubitare, perché, com’è noto, il testo della legge fu compilato in base ad intese fra la Santa Sede e lo Stato. E la relazione alla detta legge spiega l’abbandono della formula concordataria con la considerazione che l’accenno al carattere sacramentale del matrimonio canonico non era conveniente in una norma dell’ordinamento statale e che era necessario evitare l’introduzione in esso di concetti teologici. Dal che si deduce ancor più chiaramente l’intendimento dello Stato di non tener conto nella disciplina degli effetti civili del matrimonio concordatario di principi propri del matrimonio canonico.

3.—Accertato che gli effetti del matrimonio concordatario sono, e devono essere, gli stessi effetti che la legge attribuisce al matrimonio civile, dalla separazione dei due ordinamenti deriva che nell’ordinamento statale il vincolo matrimoniale, con le sue caratteristiche di dissolubilità od indissolubilità, nasce dalla legge civile ed è da questa regolato. Del resto, poiché l’art. 7 della Costituzione afferma tanto per lo Stato quanto per la Chiesa i principi di indipendenza e di sovranità di ciascuno nel proprio ordine, una limitazione della competenza statale su questo punto doveva risultare da norma espressa, e, in mancanza di questa, non è desumibile da incerti argomenti interpretativi: tanto più che, in materia di accordi internazionali, vale il criterio della interpretazione restrittiva degli impegni che comportino per uno dei contraenti l’accettazione di limiti alla propria sovranità.

4. — Il matrimonio concordatario trova una garanzia costituzionale nell’art. 7 della Costituzione, ma la trova nei limiti in cui il regime statuito nel Concordato corrisponda alla volontà delle parti, quale si è oggettivata nei testi normativi. Pertanto—non essendosi apportata alcuna modificazione ai Patti Lateranensi neppure nella parte relativa all’art. 34, quarto comma, giacché la legge impugnata non sottrae ai tribunali ecclesiastici la giurisdizione sulla nullità dell’atto matrimoniale—I’estensione al matrimonio concordatario del nuovo regime di dissolubilità adottato per quello civile, non richiedeva l’apposita procedura della revisione costituzionale.

5.—Dimostrato che la legge impugnata non contraddice all’art. 34 del Concordato, nemmeno l’art. 10 della Costituzione risulta violato; e ciò a prescindere dal fatto che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono specificamente regolati dall’art. 7 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costizionale dell’art. 2 della legge 10 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), sollevata, dall’ordinanza del tribunale di Siena del 20 aprile 1971, in relazione all’art. 34, commi primo e quarto, del Concordato 11 febbraio 1929 fra lo Stato Italiano e la Santa Sede ed in riferimento agli artt. 7, primo e secondo comma, 10 e 138 della Costituzione.

(omissis)