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    Sentenza 05 marzo 2008

    United States: caso Doe vs. Holy See. Abusi sessuali da parte di un sacerdote: non imputabilità dei fatti alla Santa Sede

    Data: 05 marzo 2008
    Autore:
    Corte d'Appello
    Argomento:
    Confessioni religiose, Ministri di culto, Rapporti Stato - Confessioni religiose, Stato Città del Vaticano, Chiesa cattolica
    Dossier:
    Chiesa cattolica, Confessioni religiose
    Nazione:
    Stati Uniti d'America
    Parole chiave:
    Santa Sede, Giurisdizione, Processo civile, Attività commerciale, Immunità, Opera, Agenzia, Datore di lavoro, Stato estero, Abusi sessuali, Stati stranieri, Responsabilità Vicaria, Responsabilità Diretta, Atti Illeciti, Ambito dell’attività lavorativa
    File PDF: 5404-sentenza-05-marzo-2008.pdf
    E’ possibile intentare una causa civile contro la Santa Sede per i fatti commessi da un sacerdote, dovendosi considerare la Santa Sede quale datore di lavoro del prete, come tale sottratta, secondo quanto disposto dal _Foreign Sovereign Immunity Act_, alle immunità previste dal diritto internazionale. In riforma della sentenza impugnata, si stabilisce al contrario che la Santa Sede non può essere citata in giudizio per rispondere dei medesimi comportamenti in ragione di una sua eventuale omessa vigilanza e nemmeno in quanto persona giuridica sovraordinata all’Arcidiocesi o all’Ordine religioso di appartenenza del reo. La parte lesa, J.V.D., afferma di aver subito abusi sessuali all’età di 15-16 anni, quando frequentava la Chiesa Cattolica di Sant’Alberto a Portland, Oregon. Afferma inoltre che le istituzioni religiose erano a conoscenza dei comportamenti del prete, tanto che questi fu trasferito da una parrocchia irlandese alla Chiesa di Sant’Alberto. Poiché nel frattempo il prete responsabile è deceduto, il ricorrente cita in giudizio, affinché ne sia affermata la responsabilità civile, la Santa Sede, l’Arcidiocesi di Portland, il Vescovo di Chicago e l’Ordine di appartenenza del reo. La Corte di Appello, preso atto che i fatti non sono contestati, afferma la propria giurisdizione su Arcidiocesi, Vescovo e Ordine religioso in quanto enti costituite sulla base delle leggi nazionali americane. Poiché non è stato sufficientemente dimostrata l’esistenza di un potere di controllo continuato sull’attività di tali enti, viene esclusa la giurisdizione sulla Santa Sede per l’attività dei predetti enti, che restano per la legge americana persone giuridiche del tutto autonome. Allo stesso modo l’eventuale accertamento di un omesso controllo sugli atti del sacerdote o dell’esistenza di un dovere di informare le famiglie che frequentavano la parrocchia è sottratto al giudice americano, trattandosi di attività discrezionali come tali ricadenti nell’ambito delle immunità disposte in favore degli Stati esteri. La giurisdizione delle Corti statali viene riconosciuta invece nei confronti della Santa Sede per la sua responsabilità quale datore di lavoro del ministro di culto, per tutti i comportamenti da questi tenuti “nell’ambito dell’attività lavorativa”. La Corte, evidenza come il sacerdote avesse utilizzato la sua posizione di pastore dei giovani, guida spirituale e confessore del ricorrente e della sua famiglia per guadagnare la loro fiducia e confidenza, creando così i presupposti le condizioni favorevoli per la realizzazioni della condotta criminosa. Ai sensi del _Foreign Sovereign Immunity Act _le immunità previste dal diritto internazionale non si applicano al datore di lavoro, e quindi alla Santa Sede nel caso in oggetto, per i fatti commessi dai propri dipendenti durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. (Stesura dell'Abstract a cura del Prof. Nicola Fiorita - Università degli Studi della Calabria)
    « Provvedimento 01 aprile 2010 » Legge regionale 01 giugno 2010, n.16

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