Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Dicembre 2003

Sentenza 07 aprile 2000, n.4387

Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 7 aprile 2000, n. 4387

(A. Rocchi; M.R. Morelli)

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Secondo la M. – che svolge tali considerazioni nell’unico motivo della sua impugnazione, con cui denuncia “errata applicazione di norme di diritto” – la decisione rotale non poteva essere dichiarata efficace nel nostro ordinamento, per non essere in questo rilevante l’omosessualità del coniuge, che è alla base invece di quella decisione ove è assunta come condizione ostativa all’assunzione del sacramento del matrimonio.

Per di più – sempre secondo la ricorrente – l’omosessualità del B. sarebbe sempre rimasta all’interno della sua sfera psichica, non venendo mai da lui manifestata o fatta comunque percepire alla moglie, così risolvendosi in una mera “riserva mentale” cui – come tale – è negata efficacia invalidante nell’ordinamento nazionale.

2. La censura così prospettata è però priva di giuridica consistenza.

Sulla base delle risultanze degli accertamenti peritali disposti nel processo ecclesiastico – la cui valutazione è in facoltà del giudice della delibazione e non è sindacabile in sede di legittimità in ragione (come nella specie si pretenderebbe) di un diverso loro apprezzamento da parte del ricorrente (cfr. n. 6551/98).

La Corte di Firenze ha ritenuto infatti, che la personalità (“psicopatica” con tratti di “ipersessualità pervertita”) del B. al momento delle nozze assunse rilievo “non come atteggiamento mentale inerente alla formazione della volontà di contrarre il matrimonio o certe condizioni” (e cioè come riserva mentale su alcuno dei bona matrimoni), bensì come “anomalia psichica che lo resero incapace di stabilire il rapporto interumano che è alla base del matrimonio”.

E tale “incapacità psichica” del marito correttamente la stessa corte ha poi ricondotto, nella prospettiva dell’altro coniuge, ad un errore viziante il consenso al matrimonio.

Ciò conforta appunto la conclusione – che resiste quindi a critica – che la delibazione della sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio tra il B. e la M. non trovasse ostacolo in alcun inderogabile diverso principio di ordine pubblico, del nostro ordinamento.

Ed invero – per giurisprudenza consolidata – con riguardo alla sentenza del Tribunale, ecclesiastico che abbia (come nella specie) dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per “incapacità (psichica) assumendi onera matrimoni”, la delibazione non trova impedimento nei principi fondamentali dell’ordinamento italiano, tenuto conto che la suddetta nullità, discendendo da una grave inettitudine del soggetto ad intendere i doveri del matrimonio, in relazione al momento della manifestazione del consenso, non si discosta sostanzialmente dalle ipotesi di invalidità contemplate dagli artt. 120., 122 cod. civ. (in caso di incapacità e di errore essenziale riguardante l’esistenza di una malattia psichica, di una anomalia o deviazione sessuale che, se conosciuta dall’altro coniuge, lo avrebbe dissuaso dal prestare il suo consenso al matrimonio).

E non rileva in contrario la diversità di disciplina di siffatta invalidità nel codice civile (in punto di legittimazione attiva e di rilevanza ostativa della coabitazione alla proponibilità dell’azione), poiché dette differenze non investono un principio essenziale dell’ordinamento italiano qualificabile come di ordine pubblico (cfr. per riferimenti, tra le altre, Cass. nn. 4710/88; 1709/91; 12144/93; 3508/94; 3002/97).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Possono compensarsi tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.