Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 29 Maggio 2008

Sentenza 07 giugno 2007, n.13363

Corte di Cassazione. Sezione I Civile. Sentenza 7 giugno 2007, n. 13363: “Delibazione delle sentenze ecclesiatiche dichiarative di nullità matrimoniale”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente
Dott. LUCCIOLI Maria Gabbriella – rel. Consigliere
Dott. MORELLI Mario Rosario – Consigliere
Dott. RORDORF Renato – Consigliere
Dott. DEL CORE Sergio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
M.R.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato RIZZI MASSIMO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10, presso l’avvocato LUCIO GHIA, rappresentato e difeso dall’avvocato NAVACH LUIGI, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11/04 della Corte d’Appello di BARI, depositata il 21/01/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2007 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l’11 settembre 2003 S. C.I. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Bari M.R.A., chiedendo che fosse dichiarata efficace nello Stato la sentenza ecclesiastica che aveva pronunciato la nullità del matrimonio concordatario celebrato tra detti coniugi il (OMISSIS) per incapacità di entrambi a costituire una comunione materiale e spirituale.
Nella contumacia della convenuta, con sentenza del 16 – 21 gennaio 2004 la Corte di Appello dichiarava efficace nello Stato la sentenza in oggetto, rilevando in motivazione che innanzi al Tribunale ecclesiastico il principio del contraddittorio era stato rispettato ed entrambe le parti erano state poste in grado di svolgere le proprie difese, che la sentenza stessa aveva acquisito autorità di giudicato con il decreto di esecutività del supremo organo ecclesiastico di controllo e non conteneva disposizioni contrarie all’ordine pubblico o ai principi essenziali ai quali si ispira il nostro ordinamento.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la M. deducendo tre motivi. Il S. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 347, 165, 171 e 307 c.p.c., si deduce che il giudice di prime cure non avrebbe dovuto decidere la causa nel merito, ma disporne la cancellazione dal ruolo, atteso che l’attore si era costituito tardivamente rispetto al termine di dieci giorni dalla notifica dell’atto di citazione e la convenuta aveva omesso di costituirsi.
Il motivo è fondato.
La questione che il motivo di ricorso solleva postula l’identificazione del rito che regola il procedimento di riconoscimento nello Stato, ad istanza di uno solo dei coniugi, della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio.
Come è noto, la L. 27 maggio 1929, n. 847, art. 17, comma 2, di attuazione del Concordato dell’11 febbraio 1929, prevedeva il rito camerale per la dichiarazione di esecutività delle sentenze ecclesiastiche, che erano direttamente trasmesse dalla segreteria del Tribunale della Segnatura alla Corte di appello competente, la quale provvedeva con ordinanza pronunciata in camera di consiglio.
E’ noto altresì che secondo la L. 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica ed esecuzione dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, il procedimento per la dichiarazione di efficacia delle sentenze ecclesiastiche non è più attivabile di ufficio, prevedendo art. 8, comma 2, la domanda delle parti o di una di esse, quale imprescindibile connotato propulsivo del procedimento.
Nelle risalenti sentenze n. 1212 e 2164 del 1988 le Sezioni Unite di questa Suprema Corte – a fronte del variegato panorama di soluzioni offerte dalla giurisprudenza di merito, le cui oscillazioni trovavano ragione nella incompletezza degli elementi offerti dal legislatore, e discostandosi dall’indirizzo espresso nella sentenza della prima sezione n. 140 del 1988 – sulla premessa che il richiamato L. n. 847 del 1929, art. 17 è da considerare ancora in vigore per le parti non incompatibili con le nuove disposizioni, hanno affermato che per effetto di tale perdurante parziale vigenza la domanda congiunta deve essere proposta con ricorso ed il rito da seguire è quello camerale, secondo la previsione di detta norma, atteso il carattere non contenzioso del procedimento impresso dalla domanda formulata da entrambe le parti direttamente al giudice – e non rivolta contro un avversario – e la non compatibilità di una domanda siffatta con la forma della citazione, mentre nell’ipotesi di pretesa fatta valere contro l’altra parte che si oppone (o che si presume si opponga, avendo rifiutato di proporre domanda congiunta) trova applicazione il rito ordinario proprio dei procedimenti contenziosi e la domanda va proposta con citazione.
Viene così a configurarsi un sistema a doppio binario, che assume come elemento di discrimine l’esistenza o meno di una concorde richiesta delle parti e che trae la propria giustificazione dalla diversa natura – volontaria o contenziosa – dei relativi procedimenti: tale sistema trova peraltro riscontro da un lato nel rilievo di carattere generale che nella materia della volontaria giurisdizione il mezzo del ricorso si profila come unico strumento di accesso al giudice, in quanto la tutela invocata dal soggetto istante è funzionale ad un interesse proprio dell’ordinamento, piuttosto che ad un diritto da far valere in contrapposizione ad altra parte del processo, e dall’altro lato nella considerazione che l’esplicito richiamo agli artt. 796 e 797 c.p.c.. contenuto nell’art. 4, lett. b) del protocollo addizionale implica anche il riferimento alla forma della citazione quale modello processuale tipico delle domande di riconoscimento di sentenze straniere, secondo la disciplina anteriore alla L. n. 218 del 1995.
E’ indubbiamente vero che le norme del procedimento ordinario non sono le sole che garantiscono il diritto di difesa e del contraddittorio e che sempre più spesso il legislatore privilegia il rito camerale per regolare giudizi contenziosi, specie nella materia del diritto di famiglia; ma è altrettanto vero che una indicazione in tal senso per l’ipotesi di domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica proposta da uno solo dei coniugi nei confronti dell’altro non è desumibile dal quadro normativo di riferimento, e che anzi l’esplicito richiamo all’art. 796 c.p.c. contenuto nell’art. 4, lett. b) del protocollo addizionale esprime l’opzione del legislatore per il modello della citazione e per le forme del giudizio contenzioso ordinario.
In tal senso si è attestata la giurisprudenza successiva alle richiamate sentenze a sezioni unite, che pur ritenendo che l’adozione da parte del coniuge istante del ricorso piuttosto che della citazione non da luogo a nullità, ove non vi sia stata effettiva violazione del diritto di difesa, ha in ogni caso inteso limitare la regola della vicariabilità alla forma dell’atto introduttivo del giudizio, lasciando salva la necessità del rispetto dei termini di comparizione e di costituzione previsti dagli artt. 163 bis, 165 e 166 c.p.c., sul rilievo che è la stessa legge, nel prescrivere la citazione, ad esigere il rispetto dei termini stabiliti per il giudizio di cognizione ordinario (v. sul punto specificamente Cass. 1998 n. 11658; v. altresì Cass. 2000 n. 15125; 1993 n. 12657; 1992 n. 4891; 1989 n. 3619). Ciò vale a dire che in tema di riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche, ove la domanda sia stata proposta da uno solo dei coniugi con ricorso, anzichè con citazione, la ininfluenza della deviazione dal modello legale può operare solo relativamente all’atto introduttivo del giudizio, mentre restano salve tutte le regole del procedimento ordinario, non potendo essere rimessa alla parte la scelta del rito, così da condizionare tempi e modalità del contraddittorio.
Nè può dubitarsi della vigenza nell’ordinamento, limitatamente alle controversie in esame, dei richiamati artt. 796 e 797 c.p.c., in relazione alla abrogazione disposta dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 73, atteso che – come questa Suprema Corte ha in più occasioni chiarito – quest’ ultima norma non è idonea , in ragione della sua natura di legge formale ordinaria, a spiegare efficacia sulle disposizioni dell’Accordo e del protocollo addizionale: ne consegue che gli artt. 796 e 797 c.p.c. richiamati nell’art. 4, lett. b) del protocollo addizionale devono considerarsi connotati, relativamente alla specifica materia in esame ed in forza del principio concordatario recepito nell’art. 7 Cost. – il quale implica la resistenza all’abrogazione delle norme pattizie, che sono suscettibili di essere modificate, in mancanza di accordo delle Parti contraenti, soltanto attraverso leggi costituzionali – da una vera e propria ultrattività (v. Cass. 2005 n. 12010; 2005 n. 11020; 2003 n. 17595; 2003 n. 8764).
Costituisce peraltro acquisizione pacifica in giurisprudenza che, ove nel giudizio di primo grado – quale si configura quello dinanzi alla Corte di Appello funzionalmente competente a riconoscere l’efficacia nello Stato delle sentenze ecclesiastiche – l’attore si sia costituito oltre il termine fissato dall’art. 165 c.p.c., comma 1, ed il convenuto non si sia costituito, deve essere disposta la cancellazione della causa dal ruolo, ai sensi dell’art. 171 c.p.c., comma 1 (con onere della sua riassunzione entro un anno dal relativo provvedimento) (v. Cass. 1997 n. 6481; SU 1995 n. 10389; Cass. 1990 n. 1928).
In applicazione dei suesposti principi, ritenuto che nella specie l’atto di citazione venne notificato l’11 settembre 2003, che la costituzione in giudizio dell’attore avvenne il 28 novembre 2003, che alla udienza di prima comparizione del 16 gennaio 2004 partecipò solo il difensore del S. e la M. rimase contumace, va ravvisato l’errore della Corte di Appello per non aver ordinato la cancellazione della causa dal ruolo.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso restano logicamente assorbiti.
La sentenza impugnata deve essere in conclusione cassata, con rinvio alla stessa Corte di Appello, in diversa composizione, perchè disponga la cancellazione della causa dal ruolo e provveda anche sulle spese di questo giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2007