Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 29 Novembre 2008

Sentenza 10 ottobre 2008, n.24906

Corte di Cassazione, Sez. Prima, Sentenza 08 ottobre 2008, n. 24906: “Infibulazione ed istanza di riconoscimento dello status di rifugiato”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da [… omissis …]

contro

Prefetto di Roma

intimato per la cassazione del decreto cron. n. 450 in data 17.07.2007 del Giudice di Pace di Roma.

Udita la relazione della causa svolta nella p.u. del 25.09.2008 dal Relatore Cons. Luigi Macioce. Udito il P.G., nella persona del Sost.Proc.Gen. cir. Giovanni Schiavon che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso proposto ex art. 13 del D. lgs. 286/98 la cittadina della Sierra Leone, …omissis … , ha proposto opposizione avverso l’espulsione adottata a suo carico il 13.3.2007 dal Prefetto di Roma ai sensi dell’art. 13 c. 2 lett. B del T.U. citato, deducendo il proprio stato di soggetto gravemente perseguitato sul piano personale e la propria esposizione a gravissimi rischi in caso di rimpatrio. Il Giudice di Pace adito, con decreto 17.7.2007, sul rilievo della avvenuta reiezione, da parte della Commissione Centrale, della istanza di riconoscimento dello status di rifugiato, della mancata specifica deduzione da parte dell’interessata di situazioni di pericolo, della completezza ed adeguatezza della motivazione del decreto espulsivo, ha rigettato l’opposizione ma, al contempo, sul rilievo della sussistenza del prospettato quadro clinico (per il quale la straniera, a suo tempo sottoposta ad infibulazione, avrebbe necessitato ancora di urgenti cure mediche), ha sospeso la eseguibilità della espulsione stessa per il tempo necessario alla valutazione clinica ed alla prestazione delle cure del caso.

Per la cassazione di tale decreto la ha proposto ricorso con quattro motivi, seguiti da quesito di diritto, in data 14.11.2007, al quale l’intimato Prefetto non ha opposto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che il ricorso, privo di fondamento nei quattro motivi sui quali si articola, deve essere rigettato. Con il primo motivo la ricorrente denunziando la violazione di molteplici norme incentra la sua censura sulla questione, sintetizzata nel quesito finale, per la quale nella specie il GdP avrebbe mancato di verificare -. come richiesto da essa opponente — la sussistenza di situazioni ostative alla espulsione ex all. 19 del T.U.

La censura non è condivisibile, premettendosi, per esigenze di completezza, che alla questione sottoposta non è applicabile ratione temporis il nuovo regime della protezione (sussidiaria ed umanitaria) di cui al d.lgs. n. 251 del 2007 (vd. S.U. n. 7933 del 2008) e tampoco per la previsione sub art. 3 afferente il regime probatorio delle domande. L’impugnato decreto, se pur con proposizione assai sintetica, indica con chiarezza come il giudicante abbia negato fondamento alla dedotta situazione (preclusiva della misura dì espulsione della “persecuzione” per ragione di sesso) richiamando la decisione resa al proposito dalla Commissione Centrale e precisando che, in realtà, nella prospettazione stessa della ricorrente sarebbe mancata la allegazione della necessaria personalità della situazione di perseguitata. Orbene, non si scorge come il giudice del merito, su tali premesse, avrebbe potuto dispiegare indagini officiose (cennate nella richiamata sentenza n. 16417/07 di questa Corte) e dirette a dare attuazione al principio del non refoulernent, una volta dagli atti acclarato, come del resto dall’odierno ricorso con chiarezza ribadito, che la persecuzione alla quale la … omissis … potrebbe essere soggetta nel suo paese è nulla altro che la sottoposizione alla generale condizione di tutte le donne del paese stesso e cioè una condizione di “sudditanza” che, certamente inaccettabile per ogni coscienza civile, è però priva della necessaria individualità postulata anche dalla Convenzione di Ginevra 28.7.1951 (oltre che dalla CEDU) perché sia integrato il fumus persecutionis od anche solo perché sia adottata la misura di protezione temporanea del divieto di respingimento in relazione al concreto rischio di trattamenti personali degradanti nel paese di provenienza.

Con il secondo motivo viene censurata la violazione degli artt. 13 e 19 del T.U., dell’art. 10 Cost., dell’art. 3 della CEDU, dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra e la omessa motivazione, per avere il GdP mancato di indagare sulla sussistenza delle esigenze umanitarie tali da imporre l’annullamento della espulsione. La censura reitera quanto esposto nel primo motivo non offrendo — con la necessaria autosufficienza espositiva – alcun elemento che faccia ritenere elusivo del disposto di legge l’art. 19 c. 1 del D. Lgs. 286/98) il decisum del giudice di pace di ritenere non addotti elementi specifici e personali in grado dì fondare il diritto alla protezione personale pur in presenza del diniego di riconoscimento dello status di rifugiato. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia la avvenuta violazione dell’obbligo di completa pronunzia sul thema decidendi, perpetrato con la anomala e parziale decisione di rigettare la opposizione alla espulsione e di sospenderne la efficacia con riguardo alla sola questione del diritto alle cure ex art. 35 e. 3 del T.U. La censura coglie certamente nel segno là dove denunzia l’ultrapetizione della decisione del giudice del merito: questi, infatti, ha esaminato una domanda di annullamento (ex art. 19 cit.) di una espulsione, fondata, tra l’altro, sulla esistenza del preteso rischio di restituzione ad un paese nel quale le donne sono sottoposte a pratiche degradanti (come nella specie avvenuto con la infibulazione alla quale risulta essere stata la ricorrente a suo tempo sottoposta). Orbene, il Giudice di Pace ha (rettamente) negato ingresso alla domanda come formulata ma poi, d’ufficio, ha riconosciuto alla ricorrente la tutela di cui all’art. 35 e. 3 del T.U. (nella supposizione che la sofferta mutilazione avesse lasciato postumi bisognevoli di cure indifferibili quanto essenziali), pervenendo ad una sospensione frutto di lettura estensiva del divieto di espulsione per la testè descritta situazione (vd. Cass. nn. 1531 del 2008, n. 20561 del 2006 e n.1690 del 2005). In questo quadro, non scorge il Collegio quale interesse abbia la ricorrente, alla quale rettamente è stata dal Giudice di Pace di Roma negata la richiesta tutela demolitoria della espulsione, a denunziare l’ultrapetizione commessa accordando una diversa ma effettiva tutela che, se pur temporaneamente, inibisce l’esercizio del potere espulsivo (tale interesse semmai appartenendo al Prefetto, che non lo ha neanche incidentalmente fatto valere). Con il quarto motivo il ricorso denunzia infine la immotivata ed illegittima decisione di non dar corso alla richiesta CTU ed alla articolata prova orale sulla sussistenza delle circostanze impeditive della espulsione. Il motivo è inammissibile perché concluso da quesito di diritto privo di alcuna pertinenza con la censura: se, infatti, questa è diretta a contestare l’apoditticità della valutazione di assenza di prova del fumus persecutionis — nel mentre tale prova sarebbe stata articolata e specificamente dispiegata — non è conducente a rappresentare la dovuta sintesi logica di tal censura la affermazione per la quale l’opponente nel giudizio di impugnazione della espulsione ben può provare con CTU o prova orale la sussistenza del divieto di espulsione di cui all’art. 19 del T.U. Non è luogo a regolare le spese, in difetto di difese dell’intimato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.