Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Maggio 2007

Sentenza 15 settembre 2000, n.7101

TAR Lazio, sede di Roma, sezione III bis, sentenza 15 settembre 2000 n. 7101: ” Insegnamento della religione cattolica e attribuzione del credito scolastico”.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
SEZIONE III BIS

composta dai Signori Magistrati:

dr. Roberto SCAGNOMIGLIO Presidente Relatore
dr. Antonio AMICUZZI Consigliere
dr. Francesco RICCIO Consigliere

hanno pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sui ricorsi riuniti 8455, 8522 e 8571 del 1999 proposti da:

a) ricorso 8455 del 1999, TAVOLA VALDESE in persona del legale
rappresentante e C. N., rappresentanti e difesi dagli
avvocati: prof. Paolo Barile, prof. Stefano Grassi, Corrado Mauceri
e Fausto Buccellato, elettivamente domiciliati presso lo studio di
quest’ultimo in Roma, Viale Angelico n. 45;

b) ricorso 8522 del 1999: UNIONE DELLE COMUNITA’ EBRAICHE
ITALIANE in persona del presidente in carica, rappresentata e
difesa dagli avvocati Nicolò Paoletti e Marco Paoletti, elettivamente
domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Barnaba
Tortolini n. 34;

c) ricorso 8571 del 1999: COMITATO TORINESE PER LA LAICITA’
DELLA SCUOLA in persona del presidente in carica e Silvia Alice
e Vaudetti Giulia Vittoria, rappresentati e difesi dagli avvocati
Fausto Buccellato e Giulio Disegni, ed elettivamente domiciliati
presso lo studio del primo in Roma, Viale Angelico, 45;

C O N T R O

Ministero della Pubblica Istruzione;
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Presidente della Repubblica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
Generale dello Stato;

con l’intervento in adesione di

a) Centro Romano di iniziativa per le difese dei diritti nella scuola, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’Avv.to Fausto Buccellato presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico, 45;

b) Comitato nazionale “Per la scuola della Repubblica” con sede in Firenze, in persona del legale rappresentate, rappresentato e difeso dall’avvocato Corrato Mauceri, unitamente al quale è elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Fausto Buccellato in Roma, Viale Angelico, 45;

c) Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, associazione con sede in Roma in persona legale rappresentante; Unione cristiana evangelica Battista d’Italia, con sede in Roma, in persona del presidente in carica; Unione delle Chiese cristiane avventiste del settimo giorno, con sede in Roma, in persona del presidente in carica; Assemblea di Dio in Italia, con sede in Roma, in persona del presidente in carica, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati prof. Gustavo Vicentini, Pietro Trotta e Corrado Mauceri, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Fausto Buccellato in Roma, Viale Angelico, 45;

e con l’intervento in opposizione di

a) Sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione (sigla: SNADIR) in persona del segretario in carica e Ruscica Orazio, rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Nastasi unitamente al quale sono elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Mario Giannarini in Roma, Via Zavorrano, 12/E;

b) M. G., G. D. e I. A., rappresentati e difesi dall’avv. prof. Giuseppe Guarino, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Borghese, n. 3;

c) B. F., rappresentato e difeso dall’avv. prof. Franco Gaetano Scoca, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Paisiello n. 55;

per l’annullamento

dell’art. 3, comma secondo, dell’O.M. 14 maggio 1999 n. 128 e del d.P.R. 23 luglio 1998 n. 323 e della nota alla tabella D allegata;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata e dei soggetti interventori sopra indicati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa.

Alla pubblica udienza del 22 novembre 1999 su relazione del Cons. Roberto Scognamiglio uditi, altresì, i difensori delle parti come registrati nel verbale dell’udienza.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. I tre ricorsi indicati in epigrafe possono essere riuniti e decisi con unica sentenza perché attinenti allo stesso tema.

2. L’ordinanza ministeriale 14 maggio 1999 e 128 reca norme per lo svolgimento degli scrutini e degli esami alla conclusione dell’anno scolastico 1998/99. L’art. 3 (norma che si occupa dell’istituto del credito scolastico) afferma, al secondo comma, che i docenti della religione cattolica e delle materie ad essa alternative partecipano “a pieno titolo” all’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono dei detti insegnamenti e disciplina, al terzo comma, il procedimento per giungere al punteggio da scegliere nello spazio di un minimo e un massimo predeterminati.
In particolare, si precisa che il punteggio da attribuire tiene conto anche del giudizio formulato da questi docenti, che riguarda l’interesse col quale l’alunno ha seguito l’insegnamento e il profitto che ne ha tratto. È poi rimarcato che per l’esame di Stato, che nell’anno scolastico 1998-99 conclude il corso degli studi superiori, il credito scolastico è attribuito sulla base delle Tabelle allegate al relativo regolamento, approvato con d.P.R. 23 luglio 1998 n. 323.

3. Sono ricorrenti:
a) nel ricorso 8455 del 1999: la Tavola Valdese e una studentessa che nell’anno scolastico 1998-99 ha frequentato la terza classe di un liceo classico di Civitavecchia, scegliendo di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, né di altro insegnamento alternativo.
Spiegano intervento in adesione le seguenti associazioni ed enti di culto: Centro romano di iniziativa per la difesa dei diritti nella scuola, con sede in Roma; Comitato nazionale per la scuola della Repubblica, con sede in Firenze; Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, con sede in Roma; Unione cristiana evangelica Battista d’Italia, con sede in Roma; Unione delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, con sede in Roma; Assemblee di Dio in Italia, con sede in Roma.
Dispiegano intervento in opposizione il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione (sigla: SNADIR) insieme a un docente del corso di religione cattolica; due alunne di un istituto tecnico commerciale di Roma in procinto di sostenere l’esame di maturità (il ricorso è stato depositato il 22 giugno 1999), che avevano frequentato il corso di insegnamento di religione cattolica; il genitore di un alunno che ha frequentato il penultimo anno di un liceo classico della Capitale e ha seguito l’insegnamento della religione cattolica; uno studente di un liceo scientifico romano ammesso agli esami di maturità con l’attribuzione di un buon credito scolastico maturato anche in seguito alla sua partecipazione al corso di religione.

b) nel ricorso 8522 del 1999 l’Unione delle Comunità ebraiche italiane con l’intervento in oppostone delle persone fisiche che si sono costituite nel primo ricorso;

c) nel ricorso 8571 del 1999 il Comitato torinese per la laicità della scuola e due studentesse che hanno frequentato l’ultimo anno di due licei classici di Torino e che avevano scelto di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, non essendo di fede cattolica.

Intervengono in opposizione le persone fisiche che si sono costituite nei ricorsi precedenti.

4. La tesi dei ricorrenti muove dalla garanzia assicurata dal nuovo concordato tra Repubblica Italiana e Santa Sede (sottoscritto a Roma il 18 febbraio 1984 e notificato su autorizzazione della legge del 25 marzo 1985 n. 121) che la scelta di non avvalersi all’insegnamento della religione cattolica non dia luogo a forma alcuna di discriminazione.
La normativa impugnata (art. 3, comma terzo, dell’ordinanza ministeriale 14 maggio 1999 n. 128 e regolamento per gli esami di Stato approvato con d.P.R. 23 luglio 1998 n. 323), quando attribuisce all’insegnamento della religione cattolica e allo svolgimento di attività alternative la possibilità di incidere sul credito scolastico insidierebbe la libertà di scelta di non avvalersi del detto insegnamento e di non svolgere alcuna attività alternativa in violazione dell’impegno assunto.
Il ragionamento dei ricorrenti percorre gli interventi della Corte Costituzionale sui tentativi dell’amministrazione di dare una razionale applicazione ai principi concordatari nel rispetto dei diritti di libertà religiosa degli studenti e si sofferma sulla conclusione che, per garantire che la scelta non dia luogo ad alcuna forma di discriminazione, l’insegnamento della religione cattolica, da considerare come materia rigorosamente facoltativa, non deve comportare effetti di vantaggio per i suoi fruitori ed effetti di svantaggio per i non fruitori.
L’equilibrio, faticosamente raggiunto, sarebbe stato disinvoltamente compromesso dall’espediente introdotto dalla normativa contestata che, ad anno quasi concluso, attribuisce con efficacia retroattiva ampi vantaggi a quanti hanno seguito l’insegnamento della religione cattolica o svolto attività alternative, non consentendo a coloro che hanno scelto di non avvalersi delle dette materie facoltative di ottenere un analogo beneficio utile per lo scrutinio finale.
La scelta di non avvalersi delle anzidette materie facoltative verrebbe a essere modificata, e a tradursi in una situazione di intollerabile svantaggio.
In particolare, le disposizioni impugnate violerebbero la normativa sugli esami di Stato (legge 10 dicembre 1997 n. 425 e relativo regolamento emanato con d.P.R. 23 luglio 1998 n. 323), che non attribuirebbe alcuna rilevanza all’insegnamento della religione cattolica e alle attività a essa alternative al momento della valutazione da esprimere alla conclusione degli studi e sarebbero lesive del principio di libertà religiosa, che importa la più ampia facoltà di scegliere se avvalersi o meno degli anzidetti insegnamenti.

5. Nel caso di specie ha rilievo determinare con chiarezza l’obiettivo che i ricorrenti intendono perseguire dopo avere premesso che sono stati discriminati e ingiustamente penalizzati gli studenti che, all’inizio dell’anno, avevano ritenuto di potere, liberamente e senza alcuna conseguenza ai fini della carriera scolastica, scegliere di non avvalersi della religione cattolica e non di svolgere altra attività alternativa.
Possono essere accantonate le domande per cercare di entrare a fondo nel ragionamento dei ricorrenti, che si basa sull’assunto che l’attribuzione di un punteggio agli allievi che hanno frequentato (meritoriamente) l’insegnamento confessionale o le attività alternative suonerebbe come grave discriminante nei confronti di quegli studenti che hanno esercitato legittimamente il diritto costituzionalmente garantito di non avvalersi né dell’insegnamento della religione cattolica, né delle attività alternative.
È certo, infatti, che la loro scelta – si immagina ispirata da apprezzabili sentimenti – non ha tolto nulla ai risultati conseguenti e al credito scolastico maturato per altra via.
Né essi possono dire che avere incluso tra le attività complementari e integrative, delle quali parla la nota alla Tabella “D” allegata al regolamento d.P.R. 323 del 1998 (o, quanto meno, avere assimilato a esse), l’insegnamento della religione cattolica e le attività a esso alternative si siano sottratti ai non fruitori occasioni per accrescere il punteggio, trattandosi di attività che, essendo rimesse per motivi di coscienza alla libera scelta, non possono essere seguite da tutti.
Ed invero, la base che costituisce materia di maturazione del credito scolastico e del parallelo istituto del credito formativo è talmente ampia che non è richiesta identità di posizione degli aspiranti dinanzi alle occasioni prospettate.
Ogni studente aderisce, su base esclusivamente volontaria, alle iniziative che ritiene più congeniali e gradite usufruendo dei relativi risultati. D’altra parte non può pretendersi di tutelare il soggetto che, pur avendo conseguito buoni risultati nello studio, ha mostrato scarsa partecipazione al dialogo educativo ovvero non ha avuto assiduità nella frequenza scolastica ovvero non ha voluto impegnarsi in esperienze coerenti con il corso di studio frequentato, ma esterne ad esso, fino al punto di disconoscere agli altri i vantaggi che l’ordinamento intende loro attribuire.
Nessuno ha titolo per lamentarsi, né può sentirsi pregiudicato per il solo fatto che un altro alunno abbia praticato uno sport e ricevuto il relativo credito, altro abbia svolto attività artistiche, altro abbia addirittura lavorato percependo una retribuzione, laddove si è impediti ad esercitare attività sportiva ovvero non si abbiano attitudini artistiche o spirito di intraprendenza nel campo del lavoro.
D’altro canto, a coloro che non maturano crediti nel seguire l’insegnamento della religione cattolica o di materie alternative non è affatto impedito di guadagnare crediti con altre iniziative.
Né si può pretendere che la scelta del nulla possa produrre frutti. Non resta, in conclusione, che ritenere l’azione dei ricorrenti volta a riaffermare la piena parità tra studenti fruitori e studenti non fruitori, escludendo che ai primi possa derivare qual vantaggio che non può giungere ai secondi.
Dalle domande formulate nei tre ricorsi in esame è possibile concludere che questi sono diretti a togliere all’insegnamento della religione cattolica e alle attività a esso alternative la capacità di incidere sulla determinazione del credito scolastico e a precludere agli insegnanti di religione e delle materie alternative di partecipare “a pieno titolo” alla determinazione del credito scolastico per gli alunni che si avvalgono dei detti insegnamenti.
Poiché non viene richiesto di riparare alla “conseguenza negativa di non potere usufruire di tale valutazione aggiuntiva ai fini della determinazione del credito scolastico” attraverso l’attribuzione di un punteggio almeno pari a quello attribuito ai fruitori, pure a prescindere dal rilevare che la valutazione dell’interesse col quale l’alunno ha seguito la materia di religione o quelle alternative potrebbe anche portare a diminuire il credito scolastico conseguito per altra via, appare evidente che l’interesse presuntivamente leso dei ricorrenti verrebbe soddisfatto solo attraverso l’annullamento dei vantaggi ottenuti dai fruitori (ove attribuiti).
Anche a non volere considerare la singolarità della tesi esposta dal Comitato torinese, che accusa l’amministrazione di avere ingannato gli studenti che avevano scelto di non avvalersi né dell’insegnamento della religione, né di altra attività alternativa per non averli posti tempestivamente in condizione di conoscere i principi informatori dei criteri per la loro valutazione e per il voto finale, come a dire che la loro scelta di non fruitori non era poi tanto ispirata a profondi convincimenti ideologici, e il caso di rilevare che gli insegnanti di religione e delle materie alternative e, ancora più, gli studenti fruitori sono portatori di un interesse contrario a quello dei ricorrenti: i primi a vedere confermata la loro piena dignità professionale sancita (anche) dalle intese tra l’autorità scolastica e la Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (“gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti”; “l’insegnamento della religione cattolica, impartito nel quadro delle finalità della scuola, deve avere dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline”); i secondi a vedere riconosciuto l’impegno e il profitto mostrato in una materia di insegnamento di pari dignità formativa e culturale delle altre discipline.
A nessuno dei soggetti controinteressati i ricorsi sono stati notificati, determinandosi in tale modo la loro inammissibilità. Né sono ravvisabili ostacoli alla individuazione dei primi destinatari del contraddittorio, eventualmente da integrare con notifica per pubblici proclami, atteso che la stessa impostazione data ai ricorsi si fonda su una presunta disparità di trattamento nel ristretto spazio della classe di appartenenza degli alunni ricorrenti.
Nelle conclusioni dei gravami, difatti, si paventano danni per l’accesso al mondo del lavoro, assumendosi che “il punteggio degli esami di Stato ha da sempre grande rilevanza”, con evidente riferimento alla posizione di svantaggio nella quale essi si troveranno al momento di presentarsi nel mondo del lavoro contemporaneamente agli altri compagni (presumibilmente della stessa classe o quanto meno della stessa scuola) che potranno vantare un punteggio migliore per avere seguito l’insegnamento della religione cattolica.
La detta impostazione non è ovviamente da condividere in quanto la valutazione agli esami di Stato non ha carattere comparativo, né è diretta formulare graduatorie. Da questa considerazione emerge un ulteriore motivo di inammissibilità dei ricorsi, atteso che nessuna utilità concreta è destinata a venire ai ricorrenti per effetto dell’annullamento del vantaggio conseguito dagli alunni fruitori.
Il ricorso è pure inammissibile per non essere stato notificato alla Conferenza episcopale italiana, che ha titolo a difendere la funzione degli insegnanti incaricati di religione cattolica negli organi scolastici sulla base delle disposizioni concordatarie.
Deve essere ancora rilevato che l’interesse alla tutela della piena libertà delle coscienze e ampiamente soddisfatto al momento della scelta di non avvalersi all’insegnamento della religione cattolica e di non seguire le materie alternative. Ed invero, la detta scelta non produce conseguenze negative per l’interessato.
Se conseguenze positive possono derivare a favore di altri soggetti, autori della scelta opposta, nessun pregiudizio deriva ai ricorrenti non esistendo alcuna relazione tra le posizioni considerate.
In ultimo, pure a prescindere da ulteriori profili di inammissibilità, non soccorre a salvare i ricorsi il dichiarato interesse a vedere affermata una posizione di principio, da valere per gli anni seguenti.
L’atto impugnato ha, difatti, esaurito i suoi effetti con l’applicazione che vi è stata data nell’anno scolastico 1998-99.
È da aggiungere che, per giurisprudenza costante, l’intervento volontario in giudizio del controinteressato, al quale il ricorso non sia stato notificato, non vale a salvare l’inammissibilità del gravame non notificato ad almeno uno di essi.

6. Per le ragioni che sono state illustrate, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. In considerazione dell’argomento in discussione, le spese del giudizio possono essere compensate.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III bis – riuniti i ricorsi in epigrafe, li dichiara inammissibili.
Spese compensate.
Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III bis – nella camera del 22 novembre 1999 con l’intervento dei signori magistrati indicati in epigrafe.

dr. Roberto SCOGNAMIGLIO Il Presidente, est.

Pubblicata in segreteria il 15.9.2000