Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Ottobre 2003

Sentenza 17 settembre 1993, n.1336

Corte d’Appello civile di Milano. Sentenza 17 settembre 1993, n. 1336.

(De Pasquale; Tognoni)

Motivi della decisione

In relazione all’eccezione di violazione del diritto di difesa e della garanzia del contraddittorio, la difesa della convenuta propone le seguenti considerazioni: 1) le due perizie (una d’ufficio, l’altra di parte) effettuate nella causa per la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordano nell’affermare che, fatta eccezione per qualche disturbo di carattere transitorio, le vere turbe mentali della R. si sarebbero verificate dopo il 1986 e hanno concluso che da tale data (1986) la medesima incapace di attendere ad una attività lavorativa; 2) in sede canonica si inferito con un salto logico “sorprendente” da tale situazione per affermare il difetto di discrezione di giudizio e l’incapacità di assumere gli oneri del matrimonio nel 1977, ciò al momento delle nozze; 3) in questa sede si deve valutare se la R., incapace di intendere e di volere – come sostiene l’attore – poteva essere in grado di difendersi e di partecipare ad un giudizio instaurato contro di lei in sede canonica, con la precisazione che una persona non in grado di rendersi conto del significato del vincolo matrimoniale, non può poi esserlo in merito al suo annullamento; 4) il L., al corrente di questi disturbi, avendoli egli stesso posti alla base della propria richiesta di annullamento, avrebbe dovuto notificare tutti gli atti relativi al procedimento canonico ad un curatore speciale all’uopo nominato alla moglie; mancando invece il rappresentante processuale mancato un valido contraddittorio, ossia una valida difesa; 5) anche in sede civile si dovrebbe nominare un curatore speciale, atteso che gli atti compiuti dall’incapace di intendere e di volere sono annullabili ex art. 428 c.c. se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore, con la precisazione che se la R. non era in grado di rendersi conto del significato degli atti relativi al procedimento canonico di annullamento quando le venivano notificati, non può ritenersi che ella fosse stata posta in grado di difendersi e di contraddire con la ovvia e conseguente violazione di quei diritti. L’eccezione infondata. Ed invero: a) la R. non risulta essere stata dichiarata né interdetta né inabilitata al momento del giudizio canonico né nel corso del medesimo né attualmente: correttamente quindi sotto questo profilo stata convenuta in giudizio in proprio, essendo dal punto di vista legale la sua capacità integra; con la puntualizzazione – attinta dalle conclusioni del Procuratore Generale – che anche nei procedimenti civili non risulta obbligatoriamente prevista la nomina di un curatore speciale come si desume dalle norme che disciplinano il procedimento di interdizione e di inabilitazione: b) il concetto di “incapacità di intendere e di volere” ha un significato e una portata ben più ampia di quello di “incapacità di assumere gli obblighi matrimoniali”; valutazione questa che non comporta automaticamente l’incapacità di intendere e di volere nell’ottica della capacità di agire del soggetto; c) la stessa difesa, illustrando l’eccezione di contrarietà all’ordine pubblico, esclude che i disturbi della R. integrino l’ipotesi di “incapacità” essendo ravvisabile nella specie l’ipotesi più lieve di “nevrosi d’ansia”; d) il contraddittorio stato in definitiva bene instaurato nel giudizio canonico (nel quale stata disposta anche una consulenza tecnica d’ufficio) e anche nel presente giudizio civile.

Eccependo la “contrarietà ai principi di ordine pubblico” la convenuta argomenta che: 1) per le situazioni di inferiorità o di immaturità affettiva non configurabile la compatibilità con l’ordine pubblico, non essendo esse assimilabili all’art. 120 c.c., considerato che l’immaturità de qua solo marginalmente interessa l’intelligere e il velle; 2) l’annullamento di un matrimonio per “defectus discretionis iudicii” e per “incapacitas assumendi onera coniugalia” compatibile con l’ordine pubblico soltanto nei casi in cui coincida di fatto con la fattispecie ex art. 120 c.c.; 3) ove invece vengano fatte rientrare in tali figure situazioni diverse e di rilevanza piú lieve (come nella specie la nevrosi d’ansia) la delibazione deve ritenersi in contrasto con i valori irrinunciabili dell’ordinamento italiano, quali sono quelli che disciplinano la capacità di agire dei soggetti e, conseguentemente, con l’ordine pubblico.

La tesi così come articolata non può essere condivisa. Ed invero, sebbene il difetto di discrezione di giudizio e l’incapacità di assumere gli oneri del matrimonio costituiscono causa di nullità propria del diritto canonico, che non ha un preciso corrispondente nell’ordinamento italiano, la sua compatibilità con l’ordine pubblico deve essere valutata alla luce dell’art. 4 lett. b) del protocollo addizionale dell’Accordo in data 18/2/1984 tra l’Italia e la Santa Sede. In base a detta norma, ai fini dell’applicazione degli artt. 796, 797 c.p.c. si deve tener conto della specialità dell’ordinamento canonico dal quale regolato il vincolo matrimoniale, con la conseguenza che la mera diversità tra le cause di nullità matrimoniale dei due ordinamenti, anche se sintomatiche della scelta dei diversi valori ai quali viene accordata tutela privilegiata, non potrebbe essere considerata di per sé lesiva dell’ordine pubblico, qualora non superi quel margine di discrezionalità per la specialità del diritto canonico che il nostro ordinamento si imposto. Eventualità che non si verifica nella fattispecie, in quanto, come ha ricordato la stessa convenuta, il Supremo Collegio ha ribadito che “nihil obstat” alla delibazione per le pronunce che sanciscono la nullità del matrimonio a causa del “defectus discretionis iudicii” o di “incapacitas assumendi onera coniugalia” non essendo detti due capitoli considerati sostanzialmente discosti dalla previsione ex art. 120 c.c. relativo all’incapace di intendere e di volere. Con la puntualizzazione essenziale – ricordata dalla stessa difesa della convenuta – che questa Corte non può esaminare il merito in sede di delibazione di sentenza ecclesiastica.

In tale contesto, escluso il profilo di contrasto con l’ordine pubblico e ritenuta la sussistenza delle condizioni ex artt. 796, 797 c.p.c., diligentemente illustrate dall’attore con riferimento a dati obiettivi, la Corte deve accogliere la domanda proposta dal L.

Si deve ora esaminare l’istanza avanzata dalla Rivolta ai sensi dell’art. 8 n. 2 ultimo comma legge 121/1985 e esecutiva dell’accordo 18/2/1984 tra Santa Sede e Governo italiano in relazione all’art. 129 c.c. richiamato dall’art. 18 della legge 847/1929.

Mette in evidenza la difesa che la R. ha diritto alla prestazione periodica di denaro ex art. 8 n. 2 legge 121/85 atteso che non ha adeguati redditi propri e non passata a nuove nozze. Precisa che il L. socio della Imprescav s.n.c. di L. Romano e C, con sede in San Giuliano Milanese, via Montenero 30, società proprietaria di un capannone di 2000 mq. e di una palazzina di 400 mq. adibita ad uffici, dotata di un vasto parco automezzi. Puntualizza che la s.n.c. Imprescav “entrata” nella A.F.F.A. associazione fornitori forze armate, di cui fanno parte solo imprese finanziariamente solide, preventivamente sottoposte al controllo della Guardia di Finanza, della Digos. Inoltre il L.: a) titolare di una ditta individuale, che opera nel settore dell’autotrasporto merci per conto terzi, scavi, demolizioni, costruzioni corrente in S. Giuliano Milanese, via Montenero 30; b) socio e consigliere della C.I.U.A.S. s.r.l. costituita con atto Notaio Corso rep. 1446/123 in data 21/1/1982 che ha per oggetto l’acquisizione di aree industriali per la realizzazione di insediamenti di attività produttive, artigiane nel comune di S. Giuliano e di incarichi di progettazione tecnica e costruzione di fabbricati ed impianti; c) socio e consigliere della Cooperativa Al 2000 s.r.l. costituita con atto del Notaio Scognamiglio di Desio rep. 40883/1258 del 28/1/1988 che ha per oggetto la costruzione di case di tipo popolare da assegnare ai soci, avvalendosi di tutte le agevolazioni finanziarie e tributarie previste dalla legge; d) risiede in una lussuosa villa in località Ceregallo, frazione di San Zenone; e) proprietario di una Maserati, di un fuoristrada e di una Innocenti Mini; f) proprietario di cavalli, esperto nelle corse ippiche, collezionista di armi.

L’attore esclude che ricorrano le condizioni ex art. 129 c.c. stigmatizzando che: a) la R. non ha offerto la prova di non avere adeguati mezzi propri; b) egli, L., non una persona danarosa; c) la convenuta ha una stabile relazione affettiva, situazione equiparabile al passaggio a nuove nozze. Con la puntualizzazione che non configurabile alcuna ragione di “provvisoriamente” porre a suo (L.) carico un assegno a favore della Rivolta, avendo già il Presidente in sede di divorzio e il G/I. con ordinanza 18/7/1991 rigettato l’istanza di assegno. Con la ulteriore precisazione in diritto che la pendenza del processo di divorzio rende inaccoglibile la domanda ex art. 129 c.c., in quanto la necessità e l’urgenza potrebbero essere tutelate piuttosto nel giudizio di divorzio, il cui assegno prevede anche la componente assistenziale. Non senza rilevare che la pendenza del procedimento ex lege 74/1987 e le domande patrimoniali svolte dalla Rivolta in relazione a quelle formulate dalla convenuta nel presente giudizio di delibazione potrebbero configurare ipotesi di contraddittorietà di giudicati. Prima di delibare la fondatezza delle opposte tesi bene premettere che il tenore letterale della disposizione ex art. 8 n. 2 dell’accordo 18/2/1984 non consente dubbi sulla applicabilità al caso di nullità del matrimonio dichiarato dal giudice ecclesiastico con sentenza riconosciuta dallo Stato italiano dell’art. 129 c.c. non essendo riscontrabile alcuna differenza di regime tra gli effetti personali e patrimoniali della nullità del matrimonio, concordatario rispetto a quella del matrimonio civile (Cass. 29, II, 1977, n. 5188; Cass. 21/3/1980, n. 1905).

Per quanto riguarda il rapporto tra il giudizio di divorzio ed il presente procedimento sufficiente osservare che non incidono in questa sede le conclusioni assunte nella causa di cessazione degli effetti civili data la diversa natura delle domande nei due giudizi, della sentenza che li conclude e degli effetti che ne conseguono. Distinta invero la domanda di attribuzione di un assegno di divorzio ex art. 5 legge 898/1970 come modificato dalla legge 74/1987 da quella prevista dall’art. 129 c.c. considerato l’ambito preciso nel quale la medesima avanzata e i limiti della stessa (“la corte può statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia”).

Alla stregua delle risultanze processuali reputa la Corte di individuare negli elementi acquisiti i presupposti ex art. 129 c.c. Ed invero: 1) la R. affetta da malattia che la rende incapace di svolgere attività lavorative, come si desume dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel giudizio di divorzio; 2) la convivenza more uxorio non equivale a passaggio a nuove nozze perché solo dal matrimonio sorgono obblighi giuridicamente sanzionati e correlativi diritti; 3) le attività e i cespiti patrimoniali elencati dalla R. non espressamente contestati dal L., sono significativi di una solida posizione economica del medesimo.

Conseguentemente la Corte reputa congruo condannare il L. a corrispondere alla R. coniuge economicamente piú debole, una provvisionale calcolata su un assegno mensile di L. 500.000 per tre anni, rimettendo le parti al giudice competente nel rispetto dei termini di legge per la decisone sulla materia ex art. 8, n. 2 ultima parte dell’accordo del 18/2/1984 tra l’Italia e la Santa Sede.

(omissis)