Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Luglio 2005

Sentenza 18 ottobre 2002, n.3614

Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 18 ottobre 2002, n. 3614: “Regime assicurativo pubblicistico per i dipendenti di enti di assistenza e beneficienza anche dopo la privatizzazione del loro rapporto di lavoro”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Stefano CICIRETTI – Presidente –
Dott. Pietro CUOCO – Consigliere –
Dott. Alessandro DE RENZIS – Consigliere –
Dott. Maura LA TERZA – Consigliere –
Dott. Saverio TOFFOLI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, FABIO FONZO, ANTONIETTA CORETTI, giusta delega in atti;- ricorrente –

contro

COMUNITÀ EBRAICA TORINO, MONTEL LIA, elettivamente domiciliati in ROMA VICOLO DELL’ORO 24, presso lo studia dell’avvocato ROBERTO COEN, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO DE LA FOREST, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 1667-99 del Tribunale di TORINO, depositata il 15-05-99 – R.G.N. 172-98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18-10-02 dal Consigliere Dott. Maura LA TERZA,
udito l’Avvocato SGROI;
udito l’Avvocato COEN;
udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Massimo FEDELI che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

Con separati ricorsi al Pretore del lavoro di Torino, poi riuniti in corso di causa, la Comunità Ebraica di Torino e la sig. Montel Lia, in proprio e quale legale rappresentante della Comunità, proponevano opposizione avverso i decreti ingiuntivi n. 943-97, 987-97 e n. 1138-97 emessi dal medesimo Pretore recanti l’intimazione di pagare all’Inps varie somme per contributi omessi e sanzioni aggiuntive rispettivamente per i periodi dal 1.3.89 al 30.4.91, dal 1.5.91 al 31.1.96 e dal 1.3.89 al 30.4.91; veniva altresì proposta opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 12942-97 emessa dal Direttore della sede provinciale Inps di Torino, per la omissione contributiva dal 1.5.91 al 31.1.96; la pretesa del l’Inps si fondava su tre verbali ispettivi, in cui si era accertato un debito a carico della istituzione Opere Pie lsraelitiche, la quale aveva trasformato la propria ragione sociale in quella di Comunità Ebraica assumendo personalità giuridica di diritto privato, per contributi per disoccupazione, TBC, Enaoli, e per maternità e malattia in relazione ai dipendenti assunti prima del 1989. Sostenevano le opponenti che fino al 1989 si dipendenti delle Opere Pie di Torino era stato applicate il CCNL dei dipendenti degli enti locali, che prevedeva il versamento dei contributi alla CPDEL e all’Inadel; indi la legge 101-89, dopo avere disposto all’art. 23 la soppressione dell’ente Opere Pie ed il trasferimento del suo patrimonio alla Comunità Ebraica, all’art. 31 aveva previsto che nulla era innovato quanto al regime previdenziale dei rapporti di lavoro della Comunità alla data di entrata in vigore della legge; che tutto il personale aveva optato, ai sensi dell’art. 4 n. 2 della legge 338-89, per la continuazione del vecchio regime, ossia per la continuazione del l’iscrizione alla CPDEL, la quale comportava l’esonero dall’obbligo di versamento di tutti i contributi richiesti.
Costituitasi l’Inps che insisteva per la fondatezza della sua pretesa, il Pretore, con sentenza del 25 novembre 1997, revocava sia i decreti ingiuntivi, sia l’ordinanza ingiunzione e sull’appello dell’Istituto, la statuizione veniva confermata dal locale Tribunale con sentenza del 15 gennaio 1999.
Il Tribunale – premesso che Comunità israelitiche aventi natura di enti pubblici non economici nel vigore della legge 30 ottobre 1930 n. 1731, erano state trasformate in persone giuridiche private ad opera della legge 8 marzo 1989 n. 101 che le aveva altresì denominate Comunità ebraiche – disattendeva la tesi dell’Inps secondo cui la natura privata non consentiva più la continuazione del precedente regime assicurativo; rilevava infatti il Tribunale che l’art. 31 di quest’ultima legge aveva previsto che nulla sarebbe stato innovato in relazione al regime previdenziale dei dipendenti, così assicurando a costoro la continuità rispetto al passato, di talché si doveva avere riguardo, per stabilire l’obbligo o meno di versamento dei contributi richiesti dall’Inps, non già alla natura privata assunta dall’Ente, ma all’assetto assicurativo precedente. Alla luce di tale assetto, e premesso che i contributi per la TBC erano stati poi versati, il Tribunale affermava che nessuno dei contributi richiesti era dovuto: non il contributo di disoccupazione, perché non prescritto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni cui sia garantita la stabilità di impiego (artt. 30 e 32 legge n. 264 del 29.4.49, art. 36 dpr n. 818 del 26.4.57) e come riconosciuto dalla stessa circolare dell’Inps n. 73 del 1963; non i contributi Enaoli, perché le istituzione di pubblica beneficenza, cui le Comunità lsraelitiche andavano assimilate, erano obbligatoriamente iscritte all’Inadel (attualmente Inpdap) che garantiva tutela agli orfani degli iscritti (art. 3 rdl n. 1605 del 23.7.1925). Nè secondo il Tribunale erano dovuti i contributi di malattia e maternità, essendo passata in giudicato, per mancanza di specifico motivo d’appello sul punto, la statuizione del primo Giudice che ne aveva escluso la debenza sul rilievo che la medesima Comunità, in forza di una particolare regolamentazione, doveva garantirne la erogazione. Il Tribunale affermava altresì che dette conclusioni non potevano essere smentite dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 259 del 1990 la quale – nel dichiarare la contrarietà a Costituzione di alcuni articoli del RD 3 ottobre 1930 n. 1731, comportanti la natura pubblica delle Comunità israelitiche – aveva attribuito a queste ultime natura di enti privati ab origine; ed infatti la declaratoria di incostituzionalità era volta a colpire il penetrante potere di ingerenza da parte dello Stato Italiano, configgente con il principio costituzionale dell’autonomia statutaria delle confessioni religiose diverse da quella cattolica, mentre intendimento del legislatore del 1989 era quello di garantire ai dipendenti della Comunità, in forza alla data di entrata in vigore della legge, la conservazione del regime previdenziale precedente, che escludeva la debenza dei cd. contributi minori richiesti dall’Inps; peraltro, soggiungeva il Tribunale, l’adozione di un regime previdenziale proprio dei dipendenti degli enti pubblici in luogo di quello previsto per i dipendenti di enti privati non discende necessariamente dalla natura pubblica dell’ente, potendo il legislatore disporre diversamente.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso affidato ad un unico complesso motivo illustrato da memoria.
Resistono con unico controricorso la Comunità Ebraica di Torino e Montel Lia.

Diritto

Con l’unico motivo l’Istituto denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 legge n. 6972 del 1890, dell’art: della legge n. 1159 del 1925, dell’art. 10 del rd n. 289 del 1930, degli artt. 1 e 2 del rd 1731 del 1930, del rd n. 1279 del 1931, del rd n. 1561 del 1931, degli artt. 18, 23 e 31 della legge n. 101 del 1989, dell’art. 1 del dpcm n. 124400 del 16.2.90, dell’art. 2 rdI n. 1605 del 1925, dell’art. 38 del rdl n. 1827 del 1935, dell’art. 36 del dpr n. 818 del 1957, dell’art. 4 dl n. 338-89 convertito in legge n. 389 del 1989, degli artt. 63,74 e 76 della legge n. 833 del 1978 e dell’art. 14 della legge n. 155 del 1981, nonché difetto di motivazione, perché entrambi presupposti su cui si fonda la sentenza impugnata, e cioè l’applicazione del regime previdenziale vigente in precedenza per i dipendenti della Comunità israelitica di Torino e la irrilevanza della sentenza della Corte Costituzionale n. 259 del 1990, sarebbero errati.
Il primo presupposto sarebbe errato pero il periodo per cui vengono richiesti i contributi è quello svolto alle dipendenze delle Opere pie israelitiche di Torino, cui non sarebbe applicabile l’art. 31 della legge 101-89 sulla conservazione del regime precedente, perché detta disposizione varrebbe solo per i dipendenti della Comunità israelitica. Le Opere pie israeIitiche rientravano nella categoria dei cd. enti dei culti ammessi per i quali operava la disciplina dettata dalla legge 1159 del 1929 e dal r. d. n. 39 del 1930, mentre le Comunità israelitiche erano regolate dai rr.dd. n. 1731 del 1930 e n. 1561 del 1931, per cui i giudici di merito avrebbero dovuto accertare quale fosse la disciplina previdenziale riconosciuta ai dipendenti degli enti confessionali prima della legge 101 del 1989, e non già fare riferimento al regime previdenziale previgente dei dipendenti delle Comunità israelitiche. Peraltro il trasferimento del patrimonio delle Opere pie alle Comunità Israelitiche disposto dalla medesima legge del 1989 non implicherebbe automaticamente la prosecuzione con queste ultime dei rapporti di lavoro intercorsi con le Opere pie soppresse, ma l’instaurazione di un nuovo rapporto che comporterebbe l’applicazione del regime assicurativo privato previsto dalla legge del 1989 per il periodo successivo alla sua entrata in vigore.
Sarebbe errato anche il secondo presupposto della decisione fondato sugli effetti della sentenza della Corte Costituzionale 259-90, perché la ravvisata contrarietà ai principi di laicità dello Stato della attribuzione del carattere pubblico alle Comunità, comporterebbe la necessita di riconoscere il carattere privato dei rapporti di lavoro e quindi, sul piano previdenziale, riconoscere l’applicabilità dell’assicurazione generale presso l’Inps. Peraltro, se si ritenesse che l’art. 31 della legge 101-89 abbia operato un rinvio “recettizio” alla normativa esistente al momento della sua entrata in vigore, e cioè alla assicurazione prescritta per gli enti pubblici, la questione dovrebbe essere rimessa alla Corte Costituzionale, mentre adottando una interpretazione costituzionalmente corretta, riconoscendo cioè la natura di enti privati delle Comunità ne discenderebbe che il rinvio operato dall’art. 31 varrebbe per la disciplina assicurativa vigente per gli enti privati, con obbligo quindi di iscrizione all’Inps.
Il ricorso non è fondato.
La controversia attiene all’obbligo di pagamento dell’Inps dei contributi cd. minori per i dipendenti delle Opere pie israelitiche di Torino (passati, a seguito della soppressione di queste ultime alle dipendenze della Comunità Israelitica), assunti prima dell’entrata in vigore della legge 101 del 1989; detti contributi vengono chiesti per il periodo dal primo marzo 1989 in poi, e quindi sia per il periodo successivo alla predetta legge 101, sia per il periodo di poco anteriore all’entrata in vigore della legge medesima, (che reca la data dell’8 marzo 1989 e venne pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo dello stesso anno) perché l’obbligo contributivo discenderebbe dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito la natura privata delle Comunità con effetto retroattivo.
La questione, contrariamente a quanto si sostiene in controricorso, è ammissibile perché di puro diritto, non essendovi in fatto questione che i contributi erano stati richiesti per i dipendenti delle Opere pie di Torino passati alla Comunità (il Tribunale invero, nella parte espositiva della sentenza osserva che le Opere pie avevano mutato ragione sociale in quella di Comunità Ebraica), per cui va accertato, se per costoro valga – in forza del citato art. 31 della legge 101-89 e in forza di altra diversa disposizione – il regime assicurativo pubblico di fatto applicato, nel qual caso i contributi richiesti non sarebbero dovuti; oppure se si debba applicare ai medesimi il regime previdenziale degli enti privati e quindi le disposizioni che regolano l’assicurazione generale obbligatoria, nel qual caso sarebbero dovuti i contributi richiesti.
La questione dedotta con il ricorso è quindi ammissibile, giacchè è giurisprudenza consolidata che nel giudizio di legittimità, la proposizione di nuove questioni di diritto è preclusa solo nel caso in cui le stesse implichino, anche in ordine agli elementi di fatto, una modificazione dei termini della controversia, mentre è consentito dedurre nuove tesi giuridiche e nuovi profili di difesa quando esse si fondino sugli stessi elementi di fatto già dedotti davanti ai giudici di merito e per essi non sia quindi necessario un nuovo accertamento (cfr. tra le tante Cass. n. 12020 del 1915).
Il ricorso e infondato dovendosi ritenere, che coloro che erano dipendenti delle Opere Pie soppresse prima della entrata in vigore della legge n. 101 (giacché non si dubita della applicazione del regime privatistico per coloro che siano stati assunti dopo), passati (insieme al patrimonio) alle dipendenze della Comunità Ebraica, conservino il precedente regime assicurativo pressa la CPDEL ed all’lnadel, per cui i contributi minori che l’Inps pretende e che sono rimasti in contestazione, non sono dovuti; pertanto la sentenza impugnata va confermata sia pure con qualche precisazione.
Invero la ratio della disposizione di cui all’art. 31 della legge 101 per cui “nulla è innovato quanto al regime giuridico e previdenziale dei rapporti di lavoro dei dipendenti dell’Unione e della Comunità in atto alla data di entrata in vigore della presente legge” è quella di garantire a tutto il personale, che a seguito della privatizzazione disposta dalla medesima legge sarebbe passato al regime previdenziale dei dipendenti privati, ossia alla assicurazione generale obbligatoria, il mantenimento del regime precedente per intuibili ragioni pratiche e teoriche: evitare la emanazione di difficili disposizioni di coordinamento tra l’uno e l’altro sistema e garantire i diritti acquisiti e in via di acquisizione con il regime precedente. Se tale è la ratio, sarebbe incongruo interpretare la disposizione sulla conservazione del trattamento precederete come applicabile solo ai dipendenti delle Comunità e non anche ai dipendenti delle Opere pie, trasferiti alle dipendenze della Comunità dopo la soppressione delle medesime Opere pie, per i quali ricorrevano sicuramente le medesime esigenze, ancorché letteralmente la norma non faccia ad essi riferimento.
Ma vi sono ulteriori ragioni che sostengono questa interpretazione.
Com’è noto la legge 17 luglio 1890 n. 6972 comprendeva le opere pie tra le istituzioni di assistenza e beneficenza, lo prevede espressamente l’art. 1 a norma del quale “Sono istituzioni di assistenza e beneficenza soggette alla presente legge le opere pie e ogni altro ente morale che abbia in tutto o in parte per fine…”.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 396 del 1988, dichiarò illegittima detta disposizione per violazione dell’art. 38 Costituzione, nella parte in cui non prevedeva che le Ipab regionali ed infraregionali potessero continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora avessero tutti i requisiti di una istituzione privata. La Corte ebbe a rilevare che, stante il mutamento del quadro normativo generale, non potevano più non essere assecondate le aspirazioni di quelle figure soggettive sorte nell’ambito dell’autonomia privata, di vedersi riconosciuta la loro originaria natura, tante il principio pluralistico cui la Costituzione si ispira, il quale nel campo dell’assistenza viene garantito, quanto alle iniziative private, dall’ultimo comma dell’art. 38 della Costituzione, rispetto al quale era divenuto ormai incompatibile il monopolio pubblico delle relative istituzioni.
La privatizzazione di detti enti avrebbe comportato il cambiamento di regime previdenziale da pubblico a privato, con applicazione quindi delle disposizioni sull’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’lnps, ma per evitate gli inconvenienti che sarebbero sorti da detto mutamento, l’art. 4 comma 2 del DL 338-89 convertito nera legge 389-89 ebbe a disporre che “I dipendenti delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, i quali continuino a prestare servizio presso l’ente anche dopo che esso abbia perduto il carattere di istituzione pubblica, hanno facoltà di conservare, a domanda; il regime pensionistico obbligatorio ed il trattamento di finte servizio per il personale dipendente degli enti locali.” Veniva quindi conferito un terme per l’esercizio di questa opzione, e risulta dalla sentenza impugnata che tutti i dipendenti delle Opere Pie di Torino vi avevano fatto ricorso.
Invero le norme ricordate, ossia l’art. 31 della legge 101-89 e l’art. 4 della legge 389-89, si ispirano al medesimo criterio adottato in altri casi ali trasformazione degli enti da pubblici a privati, in cui, per evitare i problemi derivanti dal mutamento del regime assicurativo, viene data facoltà, ai dipendenti già in forza, di optare per la conservazione del precedente regime pubblicistico. Uno degli esempi più recenti si trova nell’art. 5 del decreto legislativo 30 giugno 1994 n. 509, in relazione alla trasformazione in persone giuridiche private degli enti gestori di forme obbligatoria di prudenza e assistenza, che applicavano in precedenza il regime pubblicistico.
Pertanto dopo la “privatizzazione” delle Opere pie, a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale del 1988, i dipendenti per i quali l’lnps, richiede i contributi avevano mantenuto il regime previdenziale pubblico ed in assenza di altre disposizioni, si deve ritenere che il medesimo venga mantenuto anche dopo il passaggio alla Comunità ebraica, al pari di quanto espressamente previsto per i dipendenti di quest’ultima dall’art. 31 della legge 101-89.
Dal riconoscimento della natura pubblica del regime previdenziale discende che non sono dovuti i contributi chiesti dall’Inps, perché in ricorso non sono state mosse censure alle argomentazioni del Tribunale secondo cui alla stregua di questo regime non vi era obbligo di versamento all’Istituto ricorrente neppure dei contributi minori per i quali è causa.
Nè si può sostenere che a seguito delle citate sentenze 396-88 e 259-90 della Corte Costituzionale si dovrebbe riconoscere, retroattivamente, il carattere privato di tutti i rapporti di lavoro intercorsi, e quindi l’applicabilità dell’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’lnps. Ed infatti con dette sentenze si è affermato che la natura pubblica degli enti in questione, Opere pie e Comunità Ebraica, contrasta can i principi costituzionali, in relazione alla prima sentenza con riguardo al principio di cui all’art. 38 Cost per cui l’assistenza privata è libera, in relazione alla seconda sentenza con riguardo ai principi dell’autonomia statutaria delle confessioni religiose diverse da quella cattolica e di laicità dello Stato; ma se tale è il contenuto e la portata delle decisioni del Giudice delle leggi, non possono da esse considerarsi travolte con effetto retroattivo le disposizioni relative al trattamento previdenziale pubblico allora applicata ai dipendenti, nè contrastano con il principio affermato dalla Corte costituzionale le norme intese alla sua conservazione, trattandosi di un aspetto che risponde ad una logica ben diversa e del tutto estranea rispetto a quella che ha ispirato le pronunzie della Corte Costituzionale. Anche perché, come il Tribunale ha esattamente osservato, l’adozione del regime previdenziale proprio dei dipendenti pubblici piuttosto che di quelli privati non discende necessariamente dalla natura pubblica o privata dell’ente, potendo il legislatore disporre diversamente.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La complessità delle questioni giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.