Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Giugno 2004

Sentenza 18 ottobre 2002, n.5769

Consiglio di Stato. V Sezione.
Sentenza 18 ottobre 2002, n. 5769: “Rilascio di fabbricati ex conventuali da destinare a rettoria della Chiesa annessa”.

(Omissis)

DIRITTO

(Omissis)

3.1. Per un compiuto esame della controversia, occorre premettere l’esame dell’art. 73 della legge 20 maggio 1985, n. 222, recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia. Questa norma ha stabilito che «le cessioni e le ripartizioni», previste dagli artt. 6, 7 ed 8 della legge 27 maggio 1929 n. 848 (di attuazione del concordato del 1929 e recante disposizioni sugli Enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati a fini di culto), «in quanto non siano state ancora eseguite, continuano ad essere disciplinate dalle disposizioni vigenti» e perciò dagli stessi artt. 6, 7 ed 8.
L’art. 8 della citata legge n. 848 del 1929, della cui applicazione si controverte, dispone, in particolare, che i Comuni e le Province, ai quali «siano stati concessi i fabbricati dei conventi soppressi in virtù dell’art. 20 della legge 7 luglio 1866 n. 3036» ne rilascino gratuitamente «una congrua parte, se non sia stata già riservata all’atto della cessione o rilasciata posteriormente, da destinarsi a rettoria della chiesa annessa, quando questa sia stata conservata al pubblico culto».

3.1.1. – L’avveramento della condizione della conservazione al pubblico culto della chiesa in discussione non è controversa fra le parti.

3.1.2. – Ne segue che, sulla domanda di retrocessione, avanzata dalla Parrocchia, il Comune era tenuto a verificare, tenuto conto della riferita norma:
– se gia, all’atto della cessione o posteriormente, fosse stata rilasciata parte degli ambienti conventuali alla chiesa per il titolo in parola;
– in caso positivo, se questa parte potesse ritenersi congrua, in relazione alle esigenze, a suo tempo, esposte da parte della chiesa stessa;
– in caso negativo, se fossero congrui i locali attualmente richiesti per dare adempimento al dettato della legge.

3.2. – Le osservazioni del primo giudice, intese a dimostrare che non si rinveniva difetto di istruttoria o di motivazione del provvedimento impugnato, e, dunque, che vi era stata un’adeguata valutazione degli elementi di fatto e di diritto da parte del Comune, non sembrano da condividere.

3.2.1. – Invero, il TAR ha ritenuto che, dalla data di acquisto della personalità giuridica, la parrocchia risultava «in possesso tanto dei locali della chiesa, che della retrostante sacrestia e di altri due locali ad uso di rettoria […] poichè il fatto è incontestato».
Ha però trascurato di considerare che era stato contestato, non gia l’uso di tali due locali, ma che essi fossero destinati a rettoria e che, in ogni caso, ciò costituisse, appunto la cessione o la ripartizione, conforme all’art. 8 della legge n. 848 del 1929, dalla parte dell’immobile ex conventuale in favore della parrocchia. Contestazione, dunque, vi era.

3.2.2. – A tale scopo non può ritenersi soddisfacente, sul piano logico, l’affermazione del primo giudice che fosse «verosimile» che il Comune avesse già adempiuto i suoi obblighi. Non tanto e non solo perchè il diniego del consiglio comunale non muoveva da tale considerazione, quanto per la ragione che l’art. 12 del R.D. 2 dicembre 1929, n. 2262 (regolamento di esecuzione della citata legge n. 848 del 1929) ha stabilito che della consegna della chiesa, dopo il riconoscimento della personalità giuridica, si redigesse processo verbale, sicchè in mancanza di questo, neanche v’era traccia dell’avvenuta consegna di parte dell’annesso immobile ex conventuale.

3.2.3. – Neppure e da condividere, poi, la definizione di rettoria, che il primo giudice ha ritenuto di fornire, per derivarne la legittimità del diniego ed i limiti della congruità dell’attribuzione da farsi.
Facendo riferimento all’art. 4 della legge 11 agosto 1870, n. 5784 (propriamente all’allegato P, «legge sulla conversione dei beni immobili delle fabbricerie»), il TAR ha inteso, per rettoria, l’insieme dei «locali necessari ad uso d’ufficio delle amministrazioni di culto o di abitazione dei rettori» e di altri soggetti. Ed ha, perciò, affermato che non vi potevano rientrare che i locali strettamente necessari per le funzioni propriamente amministrative di competenza della parrocchia e quelli per gli alloggi degli officianti ed il personale addetto alle attività della chiesa.
Questo Consiglio ha, tuttavia, avuto già modo di mettere in rilievo (Sez. I, n. 1263 del 18 ottobre 1989) che del culto a completamento necessario e suo naturale prolungamento la «cura di anime», intesa come azione pastorale e che l’art. 16 lett. a) della legge n. 222 del 1985, afferma che si considerano attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto, alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana.
E ne ha tratto la conseguenza che sono riconducibili nelle rettorie, in senso stretto, non solo i locali adibiti ad uso amministrativo o ad abitazione dei predetti soggetti, ma anche quelli utilizzati per le opere connesse al culto che nella chiesa si celebra.
Da tali conclusioni, non si rinvengono ragioni per discostarsi, anche perchè il menzionato parere è richiamato, come si è anticipato, nelle pre¬messe del provvedimento impugnato, sicchè esso non solo deve considerarsi noto all’Amministrazione comunale, ma da essa di certo condiviso, poichè nessuna motivazione di dissenso ne è data.
Non era giustificato, di conseguenza, assumere, da parte del primo giudice, una definizione di rettoria diversa da quella data dall’atto richiamato nella deliberazione impugnata, nè, quindi, derivarne una limitazione delle esigenze della parrocchia, come quella statuita dallo stesso giudice.

3.3. – Alla stregua delle precisazioni che si sono fatte, a giustificato concludere che:

3.3.1. non sussiste un diritto soggettivo della parrocchia, come, invece, essa afferma, ad ottenere la retrocessione dell’immobile ex conventuale. Il fatto che la legge preveda la cessione o ripartizione di una congrua parte del fabbricato implica una valutazione, da parte dell’Amministrazione, improntata a discrezionalità, di fronte alla quale non possono che esistere posizioni di interesse legittimo. Il provvedimento da assumere va, secondo i principi, adeguatamente istruito e motivato, secondo i canoni d’imparzialità e ragionevolezza, avuto riguardo alla situazione di fatto accertata ed alle esigenze manifestate dal soggetto considerato dalla legge come portatore della pretesa tutelata;

3.3.2. l’impugnata deliberazione del consiglio comunale è illegittima per difetto di istruttoria, vizio denunziato in primo grado e riproposto in appello, considerato che non risulta essere stato fatto alcun accertamento che potesse indurre a ritenere che fosse stata già consegnata la congrua parte dell’edificio-ex convento, e che tale fosse quella consistente in due ambienti genericamente indicati, per i quali neppure a stato fatto cenno del titolo di detenzione o di possesso o di proprietà, da parte della parrocchia;

3.3.3. la deliberazione è, ancora, illegittima per difetto di motivazione, vizio pure dedotto in ambedue i gradi, posto che l’affermazione di congruità, qualora risultasse che i locali detenuti siano quelli a suo tempo ceduti in esecuzione dell’art. 8 della legge n. 848 del 1929, non è sorretta da alcun elemento che valga a costituire una premessa logica adeguata all’asserzione fatta, anche con riguardo al criterio dello spazio attribuibile, in rapporto all’intero immobile, spazio cui l’appellante fa esplicito riferimento.

4. – Con le precisazioni ora esposte, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso introduttivo, con annullamento del provvedimento impugnato.

5.– Vi sono motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.
Facendo riferimento all’art. 4 della legge 11 agosto 1870, n. 5784 (propriamente all’allegato P, «legge sulla conversione dei beni immobili delle fabbricerie»), il TAR ha inteso, per rettoria, l’insieme dei «locali necessari ad uso d’ufficio delle amministrazioni di culto o di abitazione dei rettori» e di altri soggetti. Ed ha, perciò, affermato che non vi potevano rientrare che i locali strettamente necessari per le funzioni propriamente amministrative di competenza della parrocchia e quelli per gli alloggi degli officianti ed il personale addetto alle attività della chiesa.
Questo Consiglio ha, tuttavia, avuto già modo di mettere in rilievo (Sez. I, n. 1263 del 18 ottobre 1989) che del culto a completamento necessario e suo naturale prolungamento la «cura di anime», intesa come azione pastorale e che l’art. 16 lett. a) della legge n. 222 del 1985, afferma che si considerano attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto, alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana.
E ne ha tratto la conseguenza che sono riconducibili nelle rettorie, in senso stretto, non solo i locali adibiti ad uso amministrativo o ad abitazione dei predetti soggetti, ma anche quelli utilizzati per le opere connesse al culto che nella chiesa si celebra.