Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Dicembre 2003

Sentenza 19 giugno 2001, n.8312

Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 19 giugno 2001, n. 8312

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico mezzo di impugnazione il ricorrente lamenta: violazione e falsa interpretazione e/o applicazione dell’art. 8 dell’accordo in data 18/2/1984 (tra Repubblica Italiana e la Santa Sede) ratificato e reso esecutivo con la L. 25/3/1985 n. 121 e dell’art. 4 del relativo protocollo addizionale; violazione e falsa interpretazione e/o applicazione ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 162 e 163 c.c.; violazione e falsa interpretazione e/o applicazione di legge in relazione all’art. 1419 c.c.; omessa, insufficiente motivazione.

Secondo il ricorrente, il caso avrebbe meritato maggiore approfondimento a fronte delle articolate considerazioni da lui svolte contro la sentenza di primo grado sui seguenti punti fondamentali: la possibile costituzione di fattispecie complessa tra il matrimonio civilistico e le dichiarazioni connesse con un matrimonio concordatario irregolare, ma efficace sotto il profilo canonico e, per il ricorrente, anche sotto il profilo statualistico per quanto riguarda le dichiarazioni collegate; la possibilità determinata da norma costituzionale immediatamente precettiva di mutare la disciplina e lo status matrimoniale, da civilistico a concordatario; la sussistenza della qualità di pubblico ufficiale nel ministro del culto irregolarmente officiante, sussistendo tutte le condizioni e i requisiti dell’atto pubblico; in subordine, questione di costituzionalità delle norme ordinarie che non ammettono il passaggio dal matrimonio civilistico a quello concordatario.

Il Tribunale di Roma, nella sentenza del 13 febbraio 1998 che aveva condannato la W. per aver calunniato il marito, aveva osservato che doveva ritenersi valida, agli effetti civili, la clausola con cui i coniugi avevano modificato dinanzi al ministro di culto il loro regime patrimoniale in quello della separazione dei beni, non potendo tale clausola non conferire all’atto in questione la natura di atto pubblico (per la riconducibilità all’atto pubblico fidefaciente dell’atto di matrimonio redatto dal ministro di culto cattolico, ancorchè non trascritto; cfr. Cass. 21 ottobre 1980, Dell’Uomo).

L’art. 8, comma 1, dell’Accordo del 18 febbraio 1984 tra Stato e Chiesa attribuisce al ministro di culto la qualità di pubblico ufficiale, mentre l’inutilità di trascrivere il matrimonio civile sussiste solo in mancanza di modificazioni del regime patrimoniale, ma non quando la scelta successiva lo modifica.

Il documento formato dal ministro del culto nell’esercizio (sia pure, eventualmente, irregolare) delle funzioni non può essere considerato una mera scrittura privata contenente l’accordo delle parti per la modifica del regime, avendo i requisiti dell’atto pubblico.

L’eventuale irregolarità dell’atto non lo vizia di nullità.

La normativa vigente deve essere interpretata, a giudizio del ricorrente, in forza del principio costituzionale che riconosce al cittadino cattolico di ottenere un trattamento in materia di libertà religiosa che operi sul terreno anche del regime patrimoniale.

Ove non si condividesse tale interpretazione, il ricorrente solleva eccezione d’illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’art. 8, cpv. 1 lett. b dell’accordo in data 18/2/1984 (tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede) e nell’art. 4, p.p. n. 2 del protocollo, ratificati con legge 12 gennaio 1985 n. 121, con riferimento agli artt. 3, 8 e 19 Cost., essendo le norme in contrasto con la riconosciuta tutela costituzionale del regime concordatario del matrimonio.

Sostiene infine il ricorrente che il risultato perseguito dalla pattuizione relativa alla separazione dei beni è distinto da quello del matrimonio concordatario, sicchè, in base al principio della conservazione del contratto (utile per inutile non vitiatur, art. 1419 c.c.), l’eventuale caducazione del contratto non esclude la validità della suddetta pattuizione.

Il ricorso non è fondato.

L’art. 8 dell’accordo del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e l’Italia, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, stabilisce al n. 1 che sono riconosciuti agli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa coniugale.

Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l’atto del matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile.

La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà aver luogo: quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile.

Il Protocollo addizionale prevede, in relazione al citato art. 8, che ai fini dell’applicazione del n. 1 lett. b, si intendono come impedimenti inderogabili della legge civile: (…) la sussistenza tra gli sposi di altro matrimonio valido agli effetti civili.

In base a tale normativa, il giudice di primo grado, rilevato che alla data del matrimonio religioso i signori G. e W. erano già vincolati da altro matrimonio valido agli effetti civili, ha dichiarato nulla la trascrizione dell’atto di matrimonio religioso eseguito dall’Ufficiale dello Stato civile.

Tale statuizione non ha formato oggetto di impugnazione da parte del G.o, che ha censurato la pronuncia di primo grado per non aver dichiarato valida ed efficace la pattuizione di separazione dei beni contenuta nell’atto di matrimonio religioso.

La tesi dell’appellante è stata respinta dalla Corte territoriale perché, avendo la trascrizione carattere costitutivo agli effetti civili dell’atto, la nullità della trascrizione incide inscindibilmente sia sugli effetti dell’atto sia sulle eventuali convenzioni matrimoniali accessorie ed inoltre perché, in tale situazione, era irrilevante accertare se il sacerdote celebrante avesse la qualità di pubblico ufficiale e se le parti avessero voluto pattuire la separazione la separazione dei beni indipendentemente dalla trascrivibilità del secondo matrimonio.

La decisione della Corte d’appello sfugge alle censure del ricorrente, in quanto fa corretta applicazione del principio contenuto nel riportato art. 8, secondo cui gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico sono riconosciuti a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile.

Poiché la trascrizione costituisce un elemento essenziale per l’attribuzione degli effetti civili, ne deriva che quando la trascrizione è nulla, come nella specie, il matrimonio non ha efficacia civile.

La dichiarazione dei coniugi in ordine alla scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni (art. 162, comma 2, c.c.), che può essere inserita nell’atto di matrimonio canonico, ai sensi dell’art. 8 citato, è collegata al matrimonio canonico, nell’ambito del quale essa viene effettuata, da un rapporto di accessorietà.

Una volta che la dichiarazione venga resa dai coniugi, essa rientrerà negli effetti civili del matrimonio canonico che sono riconosciuti a condizione che l’atto di matrimonio sia trascritto nei registri dello stato civile.

Ma, se la trascrizione non può aver luogo, non possono essere riconosciuti effetti civili ne al matrimonio ne alla dichiarazione in ordine alla separazione dei beni effettuata all’atto della celebrazione dello stesso.

Ciò risponde anche a ragioni logiche, perché se per l’ordinamento statale la coppia non è unita in matrimonio non potrà nemmeno esservi un regime patrimoniale tra coniugi.

In realtà il ricorrente, che si trova nella particolare situazione di essere unito con un matrimonio civile con la persona con la quale ha poi contratto il matrimonio canonico, vorrebbe ottenere, attraverso il riconoscimento degli effetti civili della suddetta dichiarazione, un mutamento dal regime legale della comunione dei beni a quello della separazione, e cioè un risultato che è estraneo al meccanismo previsto dall’art. 8 citato, al momento della celebrazione del matrimonio, di scegliere il regime della separazione dei beni anziché quello legale della comunione.

Il fatto che il parroco o il suo delegato assuma la qualità di pubblico ufficiale dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi e raccogliendo l’eventuale dichiarazione degli sposi in ordine alla separazione dei beni non esclude che gli effetti civili del matrimonio e della dichiarazione relativa al regime patrimoniale restino condizionati alla trascrizione dell’atto di matrimonio nei registri dello stato civile, con la conseguenza che quando, come nella specie, la trascrizione non può aver luogo, tali effetti civili non possono verificarsi.

Nessun rilievo, quindi, assume il richiamato art. 1419 c.c., che riguarda la diversa ipotesi della nullità parziale del contratto.

Il ricorrente ha prospettato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, n. 1 lett. b dell’accordo e dell’art.4, lett. a, n. 2 del protocollo addizionale, in relazione agli artt. 3, 8, 19 Cost., nel caso in cui la normativa vigente non .sia interpretata in forza del principio costituzionale che riconosce al cittadino cattolico di ottenere un trattamento in materia di libertà religiosa che operi sul terreno anche del regime patrimoniale.

Sostiene, in particolare, il G., che la compressione di un diritto costituzionale di massimo rango, come –quello delle scelte in materia religiosa, può avvenire soltanto quando tale diritto si debba bilanciare con altro diritto costituzionale dello stesso rango e che non sussiste un interesse pubblico che si opponga al mutamento del regime matrimoniale scelto in prima istanza.

Ritiene il Collegio .che le prospettate questioni di legittimità costituzionale siano manifestamente infondate, essendo la libertà religiosa del cattolico assicurata dalla facoltà di scegliere tra il matrimonio civile e quello concordatario, senza preclusioni in ordine alla possibilità, in entrambi i casi, di dichiarare di voler adottare il regime della separazione dei beni.

Una volta scelto il matrimonio civile e divenuto applicabile il regime legale della comunione dei beni, non assume carattere discriminatorio il fatto di dover stipulare una convenzione matrimoniale nelle forme previste dal codice civile per ottenere il mutamento del regime legale.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione in considerazione dell’esito del ricorso e della mancanza di attività difensiva da parte dell’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Roma, 12 febbraio 2001.

Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2001.