Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 6 Aprile 2010

Sentenza 20 gennaio 2010, n.936

Corte di Cassazione – Sezione seconda. Sentenza 9 dicembre 2009 – 20 gennaio 2010, n. 936: "Contratto di appalto: inidoneità dell'impianto di sonorizzazione di un santuario ed onere della prova dell'inadempimento".

Presidente Schettino – Relatore Piccialli
Ricorrente Ente morale Provincia Maria Ssma della Pietà dei Padri Passionisti

(omissis)

Le società R.C.F. s.p.a. e D.E. s.p.a. con atto notificato il 18.1.90 citarono al giudizio del Tribunale di Macerata l'ente di culto (…), al fine di sentirlo condannare al pagamento delle somme di lire 66.291.222 e lire 12.000.000, costituenti il corrispettivo di appalto, di cui alle scritture private del 6.12.84 e 9.6.86, al riguardo precisando che le opere commesse, riguardanti un impianto di sonorizzazione di un santuario, inizialmente eseguite dalla società D. secondo le istruzioni ricevute, erano state ritenute non soddisfacenti dalla committente, sì da rendersi necessario un secondo contratto, nel quale era intervenuta anche la società R.C.F. e che aveva poi ricevuto puntuale esecuzione da parte di esse appaltatrici. Ma la committente, soggiungevano le attrici, aveva rifiutato il pagamento e preteso anche di trattenere a titolo di penale il materiale impiegato, infondatamente lamentando l'inidoneità dell'impianto, per insufficiente intelligibilità della parola.
Tale giustificazione l'ente convenuto, nel costituirsi e resistere alla domanda, deduceva eccependo che le parti, nello stipulare il secondo contratto, si erano rimesse, ai fini del pagamento, al collaudo del direttore dei lavori designato dalla committente ed avevano previsto anche una clausola penale, comprendente l'acquisizione dei materiali utilizzati nell'opera ed il pagamento di una somma pari all'importo del corrispettivo; poiché tale collaudo era stato negativo ed un ulteriore accertamento, fatto eseguire dall'istituto di Fisica Tecnica dell'Università di Bologna, aveva confermato l'inadeguatezza dell'impianto, in quanto non rispondente ai parametri di costante pressione acustica in tutto il santuario, il convenuto chiedeva dichiararsi in via riconvenzionale l'avvenuta risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1668 co. 2 c.c. e rigettarsi la domanda.
Istruita documentalmente con prove testimoniali, la causa veniva decisa, con sentenza datata 10.8-6.9.00 del G.O.A della sezione stralcio del tribunale adito, nell'accoglimento della domanda attrice, con il favore delle spese, ritenendosi non sufficientemente assolto dalla parte convenuta l'onere probatorio relativo all'inadempimento, ai fini dell'art. 1668 ovvero 1460 c.c., o comunque con riferimento alla clausola risolutiva espressa.
Proposto appello dall'ente di culto, resistito dalle società appellate (delle quali la R.C.F. s.p.a. era stata, nelle more, incorporata dalla MD.I. s.p.a.), la Corte di Ancona, dopo aver disposto l'espletamento di una consulenza tecnica di ufficio ed acquisito la relazione del c.t.u., con sentenza del 4.5, pubblicata il 31.5.2004, rigettava il gravame, condannando l'appellante al pagamento delle spese del grado.
Il nucleo centrale della motivazione, sulla scorta del quale è stata confermata la decisione di primo grado, è costituito dall'affermazione del principio secondo il quale, provato dalla parte attrice la sussistenza del rapporto contrattuale, posto a fondamento del credito, era onere della convenuta provare l'inesatto adempimento dell'obbligazione, dedotto a sostegno delle pretese risolutone e di mancata esecuzione della propria controprestazione; ma tale prova, in un contesto nel quale era incontroversa l'avvenuta integrale realizzazione dell'impianto, mentre controversa era solo l'idoneità dello stesso a soddisfare le esigenze della committente, non era stata da quest'ultima fornita. A tale proposito non poteva valere il richiamo al collaudo negativo da parte del direttore dei lavori, non autorizzando le previsioni contrattuali a ritenere che al parere dello stesso, nella specie peraltro formulato sulla base di valutazioni meramente soggettive e senza alcun ausilio strumentale, le parti si fossero rimesse a guisa di arbitrato, che oltre tutto sarebbe stato invalido, perché affidato ad un soggetto legato ad una delle parti e non dotato della necessaria imparzialità; né a tale conclusione poteva indurre, in assenza di un'espressa previsione contrattuale, l'esistenza di una clausola penale collegata all'esito negativo del collaudo, la cui funzione restava limitata alla predeterminazione della misura del risarcimento, ferma restante la necessità di accertare l'inadempimento. Di nessun apporto alla tesi del convenuto erano: la relazione tecnica dell'istituto universitario di Bologna, che non conteneva “indicazioni in ordine alle modalità operative ed ai punti di effettuazione delle rilevazioni”; la consulenza tecnica di parte appellante, in quanto basata su rilievi eseguiti a distanza di un anno dalla esecuzione dei lavori (sì da non potersi escludere intervenuti mutamenti dello stato dei luoghi), al di fuori di ogni contraddittorio e peraltro ad ambiente vuoto; l'accertamento tecnico preventivo disposto dal Presidente del Tribunale di Teramo, che non offriva “elementi di valutazione della funzionalità dell'impianto”. Neppure la consulenza tecnica di ufficio espletata in secondo grado aveva dato risultati concludenti, avendo il c.t.u. evidenziato che lo stato dei luoghi attuale era completamente diverso da quello esistente dopo il completamento dei lavori. Quanto al contenuto di una lettera della società R.C.F. del 9.1.87, diretta all'ente committente, con la quale sarebbe stata ammessa la differenza di 4-5 decibel di pressione acustica tra alcune zone della chiesa ed altre, il riferimento, come precisato dal c.t.u. nella relazione a chiarimenti, riguardava “valori medi sulla base di una deduzione logica e non di contenuti tecnici” e comunque la deduzione non appariva “concludente, non potendosi dalle affermazioni contenute nella predetta nota arguire con precisione il reale significato che l'estensore intendeva attribuire alla sua affermazione”; né potevano, da tale missiva e da quella successiva del 29.7.87 desumersi elementi confessori, nella parte in cui facevano riferimento a “possibilità di interventi correttivi”, inserendosi “tali proposte nell'ambito di un contesto complessivo diretto a contestare le risultanze della verifica effettuata dal direttore dei lavori” ed, al più, ipotizzando “possibilità di interventi migliorativi”, senza tuttavia riconoscere “l'inidoneità dell'impianto a garantire un idoneo ascolto della parola e della musica”.
Inammissibile, infine, era la prova testimoniale dedotta nell'atto di appello, perché, oltre a prospettare un non rilevante giudizio dei testimoni ai fini della controversa questione tecnica, difettava del requisito della novità, in quanto verteva, pur nella diversità dei capitoli rispetto a quelli di cui alla prova espletata in primo grado, sugli stessi fatti che avevano formato oggetto di quella; ed uno dei testi indicati in secondo grado, deponendo nel corso del primo, aveva già riferito che nel corso di una sua visita al santuario “l'acustica era buona”.
Contro tale sentenza l'ente soccombente ha proposto ricorso per cassazione deducente dieci motivi d'impugnazione; hanno resistito le società intimate con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce erronea o falsa applicazione degli artt. 1667, 1668, 1453 e 2697 c.c., censurandosi l'affermazione di principio posta a base della decisione impugnata, in narrativa riferita, secondo la quale l'onere della prova dell'inesatto adempimento sarebbe stato a carico della parte che l'aveva dedotto.
Premesso che la garanzia ex artt. 1667, 1668 c.c. in materia di appalto costituisce un'applicazione della comune responsabilità contrattuale per inadempimento o inesatto adempimento, differenziata dall'ordinario regime solo dalle particolari disposizioni attinenti ai termini di contestazione e decadenza, si richiama il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 30.10.01 n. 13533, in tema di riparto dell'onere probatorio, secondo il quale anche nel caso in cui sia dedotto l'inesatto adempimento di un'obbligazione, il creditore della prestazione, oltre a provare la fonte del rapporto, può limitarsi alla semplice deduzione dell'inesattezza dell'adempimento, mentre l'onere di provare il contrario grava sul debitore. Da tale principio i giudici di merito si sarebbero erroneamente discostati, affermando che nella fattispecie non vi sarebbe la prova delle dedotte mancanze di qualità dell'opera appaltata, pur senza affermare che vi fosse la prova dell'idoneità dell'impianto.
La censura è fondata.
Con la pronunzia come sopra richiamata le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo un contrasto da tempo insorto nella giurisprudenza di legittimità, in ordine al riparto dell'onere probatorio in tema di inadempimento delle obbligazioni, hanno affermato i principi a termini dei quali “…il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa… ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. … Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori…, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento”.
Dall'ultima parte della riportata massima, nella quale si compendia il dettato delle Sezioni Unite – da cui questo collegio non ravvisa motivi per doversi discostare – si ricava un principio generale di chiara evidenza, secondo il quale, allorquando siano provati la fonte dell'obbligazione ed il fatto storico dell'avvenuto adempimento e si controverta soltanto in ordine all'esattezza di quest'ultimo, spetterà al debitore della prestazione, quale che ne sia la posizione processuale, provare l'esattezza dell'adempimento, al fine dell'accoglimento della propria domanda o eccezione.
Tali principi non possono ritenersi inapplicabili, come sostenuto dalle controricorrenti, in materia di appalto, le cui disposizioni speciali attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all'art. 1667 c.c. (nella specie non è in discussione la tempestività della denunzia dei vizi, richiesta dall'ultimo comma anche nel caso di eccezione d'inadempimento), senza tuttavia derogare alla regola generale, che governa l'adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, comportante che “l'appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l'onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l'opera conformemente al contratto ed alle regole dell'arte” (v. Cass. 2ª sez., 13.2.2008 n. 3472).
Nel caso di specie, dunque, in cui la parte attrice aveva agito per ottenere l'adempimento dell'obbligazione di pagamento e quella convenuta appellante aveva opposto la risoluzione del contratto, per inadempimento della sinallagmatica prestazione dovuta dalla controparte (richiesta che la corte di merito, dopo aver disatteso la deduzione di una clausola risolutiva espressa, ha ritenuto ammissibile ex art. 345 c.p.c., solo in via di eccezione riconvenzionale: v. pag. 12 u.p. della sentenza impugnata), erroneamente i giudici di appello, in un contesto nel quale erano incontroverse la sussistenza dell'obbligazione degli appaltatori e la sola consegna dell'opera, ma controversa l'idoneità di questa all'uso convenuto, hanno ritenuto la committente gravata dall'onere di provare la sussistenza dei difetti della stessa, senza tener conto che la committente aveva rifiutato di adempiere la propria controprestazione, avvalendosi della facoltà di cui all'art. 1667 u.c. c.c. (disposizione analoga a quella, di carattere generale, prevista dall'art. 1460 c.c.), a seguito dell'esito negativo del collaudo.
A tal ultimo proposito, pur non potendosi accogliere il terzo motivo di ricorso, nel quale si censura il mancato riconoscimento da parte della corte di merito del carattere vincolante per ambo le parti della verifica compiuta dal direttore dei lavori, non deducendo il mezzo d'impugnazione sufficienti elementi per superare le argomentazioni al riguardo esposte in sentenza, circa la non imparzialità del direttore dei lavori (che non risulta, né viene dedotto, se nominativamente designato da ambo le parti) e la non espressa previsione che il relativo giudizio avrebbe precluso ogni possibilità di successiva contestazione, fondate devono invece ritenersi le obiezioni contenute nel secondo motivo, nel quale si evidenzia come, in ogni caso, tale negativo collaudo, idoneo ex art. 1665 c.c. ad evitare l'accettazione dell'opera da parte dell'ente committente, avrebbe quanto meno comportato l'onere a carico delle appaltatrici di provare l'esattezza del proprio adempimento.
I successivi motivi, tutti attinenti a subordinati profili di merito, restano assorbiti.
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio per nuovo esame ad altra corte di merito, che si designa, in ragione di vicinanza, in quella di Bologna. Quest'ultima provvederà, all'esito, anche alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Bologna.