Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Novembre 2006

Sentenza 21 gennaio 2006

Corte d’Appello di Genova. Sezione I Civile. Sentenza 21 gennaio 2006: “Enti ecclesiastici: contratto di compravendita ed assenza di autorizzazione del superiore organo ecclesiastico”.

CORTE D’APPELLO DI GENOVA – SEZIONE PRIMA CIVILE

composta dai magistrati

dott. Vincenzo FERRO – Presidente rel.
dott. Massimo D’ARIENZO – Consigliere –
dott. Loris PIROZZI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento di appello iscritto al n. 1986 R.G. 2004

promosso da

T. s.r.l. avente sede in Torino, in persona del suo amministratore unico legale rappresentante P.C., rappresentata e difesa dall’avv. E.B. del foro di Sanremo e dall’avv. G.C. del foro di Genova, e presso quest’ultima elettivamente domiciliata in Genova, come da procura a margine dell’atto di appello,
– appellante in via principale –

nei confronti del

M., in persona del legale rappresentante in carica suor P.V., rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall’avv. G.D. e dall’avv. A.T. del foro di Milano e dall’avv. F.C. del foro di Genova, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Genova,
– convenuto in appello, appellante in via incidentale –

e nei confronti della società Q. s.r.l., avente sede in Sanremo, in persona del suo legale rappresentante in carica,
– convenuta in appello, non costituita –

e nei confronti del C. DEL COMUNE DI SANREMO, in persona del suo legale rappresentante in carica,
– convenuto in appello, non costituito –

avverso la sentenza non definitiva 6/20 agosto 1999 n. 269 e 3 ottobre 2003 n. 707 emesse dal Tribunale di Sanremo nel procedimento n. 18 R.G. 1995 in materia di: nullità di contratto di compravendita immobiliare.

Svolgimento del processo

Con atto rogato dal notaio S. il 19 febbraio 1990 col n. xxx di rep., il M., ente religioso di diritto pontificio ed ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, alienava alla Q. s.r.l., acquirente per sé o per persona da nominare, tre appezzamenti di terreno rispettivamente contraddistinti dalle particelle catastali di cui al foglio xxx mappali n. 1195 di mq 120, n. 1255 di mq 3675, e n. 348 di mq 12858. Quale corrispettivo della vendita veniva convenuto l’obbligo a carico dell’acquirente di costruire nell’interesse del M. un complesso di opere edilizie meglio descritte nel capitolato allegato al contratto, il cui valore veniva stimato in Lire 650.000.000. Con successivo atto rogato dal notaio S. il 22 febbraio 1990 col n. yyy di rep., Q. s.r.l., a scioglimento della riserva di cui al precedente atto del 19 febbraio 1990, dichiarava di avere acquistato gli immobili suindicati in nome e per conto di T. s.r.l., la quale contestualmente dichiarava il proprio consenso e si riconosceva unica acquirente degli immobili stessi.
Con citazione notificata il 27 novembre 1994 il M. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di quella città la T. s.r.l. e la Q. s.r.l., per sentir in via principale dichiarare la nullità o l’annullabilità del contratto di compravendita per difetto della autorizzazione della Santa Sede necessaria per l’integrazione della volontà negoziale dell’ente ecclesiastico o comunque per contrarietà a norme di legge, o, in via subordinata, pronunciare la risoluzione del contratto stesso e delle pattuizioni collaterali per inadempimento delle società convenute.
Costituendosi in giudizio, T. s.r.l. chiedeva, previa chiamata in causa del notaio rogante, del vescovo della diocesi di Ventimiglia-Sanremo, e del C. del piano regolatore comunale, il rigetto delle domande del Ministero attore; chiedeva nella subordinata ipotesi di accoglimento anche solo parziale delle domande stesse, la restituzione del corrispettivo versato, la condanna del M. e delle altre parti da chiamarsi in causa al risarcimento dei danni; chiedeva inoltre in via subordinata riconvenzionale, ritenuta la sussistenza di estremi di collegamento negoziale tra l’atto rogato dal notaio S. il 19 febbraio 1990 col n. xxx di rep. e l’atto stipulato tra le stesse parti a ministero dello stesso notaio S. nella stessa data del 19 febbraio 1990 col n. yyy di rep. relativo ad altro terreno contiguo a quello oggetto del precedente, dichiararsi quest’ultimo contratto nullo, annullabile, e comunque senza effetti nei confronti dell’acquirente e pertanto condannare il M. a restituire l’equivalente in Euro della somma di Lire 170.000.000, oltre accessori; contestava la domanda di risoluzione sostenendo di avere adempiuto l’obbligo assunto e di non aver potuto provvedere alla ultimazione delle opere solo per l’ostruzionismo opposto dal M.
Costituendosi a sua volta in giudizio, Q. s.r.l. chiedeva di esserne estromessa e comunque si opponeva all’accoglimento delle domande del M. associandosi alle difese di T. s.r.l.
Previa chiamata in causa del C. del piano regolatore comunale, che restava contumace, disattese le istanze per la chiamata in causa del notaio e del vescovo, il Tribunale di Sanremo con sentenza 6/20 agosto 1999 n. 269 dichiarava “nullo e inefficace nei confronti dell’attore” l’atto di compravendita stipulato con l’atto rogato dal notaio S. il 19 febbraio 1990 col n. xxx di rep. tra il M. e la Q. s.r.l. nonché la successiva dichiarazione di nomina effettuata da Q. s.r.l. in favore di T. s.r.l., ordinando al Conservatore dei registri immobiliari di procedere alla relativa annotazione, e rimetteva la causa in istruttoria per l’esame della domanda riconvenzionale delle convenute previa determinazione del valore venale del terreno oggetto della vendita. Avverso la suddetta sentenza non definitiva T. s.r.l. proponeva rituale tempestiva riserva di appello.
In esito alla ulteriore trattazione della causa, il Tribunale, con la sentenza definitiva n. 706 del 3 ottobre 2003 condannava il M. alla restituzione a favore di T. s.r.l. della somma di Euro 163.700,00 oltre interessi legali dal 15 novembre 1996 al saldo, e rigettava ogni altra domanda proposta da T. s.r.l. contro il M.
Con atto di appello notificato al M. e a Q. s.r.l. in data 11 novembre 2004 e al C. del piano regolatore comunale il 13 novembre 2004, T. s.r.l. ha impugnato l’una e l’altra sentenza, sostenendo la regolarità del contratto stipulato il 19 febbraio 1990 a ministero notaio S. (rep. xxx), e dolendosi della determinazione della dovuta restituzione in misura inferiore a quella richiesta di Lire 344.370.000, del mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, e del mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni ulteriori.
Il M. si è costituito in giudizio per chiedere la reiezione dell’appello principale e per riproporre mediante appello incidentale subordinato le domande ulteriori non accolte dal Tribunale. Le altre parti convenute in appello non hanno svolto attività processuale.

Motivi della decisione

1. Devesi anzitutto procedere, non essendo stato assunto tale provvedimento in precedenza, alla dichiarazione della contumacia della società Q. s.r.l. e del C. Di quest’ultimo va comunque segnalata la rilevanza meramente formale della sua inserzione nel contraddittorio processuale, essendo il C., pur presente in persona del suo legale rappresentante alla stipulazione, rimasto estraneo ai rapporti da essa scaturiti sul piano del diritto sostanziale e alle domande processuali ad essi correlati.
2. Con la prima delle sentenze impugnate, il Tribunale ha ricordato anzitutto: che il canone 683 e il canone 1292 del codice di diritto canonico prevedono l’autorizzazione della Santa Sede per i negozi il cui valore supera il limite determinato dalla Santa Sede stessa, che l’art. 18 della legge n. 222 del 1985 stabilisce che ai fini della invalidità o inefficacia di atti posti in essere dagli enti ecclesiastici non possono essere opposti ai terzi che non ne fossero a conoscenza le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione dei controlli che non risultino dal codice del diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche; che la tabella del Definitorio generale della casa generalizia dei C. prevede il beneplacito della Santa Sede Apostolica per l’alienazione di beni eccedenti il valore di Lire 300.000.000; che non è imputabile alla volontà dell’ente ecclesiastico stipulato in difetto delle prescritte autorizzazioni canoniche. E ha conseguentemente riconosciuti e affermato la nullità e quindi la inefficacia nei confronti del M. della alienazione compiuta con l’atto rogato dal notaio S. il 19 febbraio 1990 col n. xxx di rep. In tale parte la motivazione della sentenza dichiarativa della nullità dell’alienazione non viene sottoposta a censura dall’appellante e non esige quindi di essere fatta oggetto di specifica verifica.
3. T. s.r.l. insorge invece contro quella ulteriore parte dell’argomentazione motivazionale nella quale è stata negata la rilevanza, in relazione all’atto 19 febbraio 1990, della autorizzazione conferita dalla Sacra Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari al M. il 19 giugno 1981 in relazione alla prevista alienazione a tale M.G. (promittente per sé, persona fisica o ente da nominare come da contratto preliminare stipulato per scrittura privata nel 1980 da valere per anni quattro salva rinnovazione tacita di anno in anno) un terreno rappresentato nell’insieme nel foglio xxx del catasto dalla particella 1255 per l’intero e dalla particella 348 per la parte ricadente nella variante integrale al P.R.G. nella zona di espansione C1, ed avente superficie complessiva di circa mq 10.000. E sostiene che, non essendo stata perfezionata l’alienazione al M. in seguito al legittimo esercizio da parte del M. di non prorogare la durata della validità dell’impegno a contrarre, ed essendo stati peraltro i terreni in questione inseriti nel comprensorio relativo all’attuazione della zona C1, l’autorizzazione del 1990 deve considerarsi dotata di efficacia in ordine alla successiva alienazione intervenuta tra il M. e la Q. nel 1990.
4. L’assunto dell’appellante si palesa infondato, e come tale è stato giustamente disatteso – pur con motivazione estremamente sintetica – dal primo giudice. Tra l’una e l’altra vicenda negoziale intercorre invero una differenza che ne investe la dimensione soggettiva e oggettiva e che non può essere superata dalle considerazioni prospettate al fine di dimostrare la rispondenza sostanziale, anche al di là della solo parziale coincidenza territoriale, dell’alienazione del 1990 alla finalità economica e al valore pecuniario del contratto preliminare del 1980. Se ed in quanto una autorizzazione di un superiore organo ecclesiastico di controllo sia prevista come necessaria dall’ordinamento canonico ai fini della stipulazione di un atto avente ad oggetto la dismissione di beni patrimoniali, e tale necessità sia recepita come condizione di efficacia del negozio dall’ordinamento italiano, è chiaro che tale autorizzazione per esplicare tale rilevanza deve avere un oggetto determinato e specifico, al cui difetto non può sopperire la ricerca aliunde della prova del ritenuto conseguimento dello stesso risultato di tutela dell’ente protetto.
5. Altrettanto infondatamente l’appellante invoca, in via subordinata, l’applicazione dei principi che regolano il fenomeno della nullità parziale del contratto. A ciò osta, anzitutto, il rilievo che la mancanza dell’autorizzazione (che, secondo i principi recepiti e operanti in via generale, non si pone quale elemento costitutivo ma solo come elemento estrinseco integrativo del negozio) non comporta la nullità del contratto secondo la previsione dell’art. 1418 C.C. alla quale si riferisce, costituendone limite, quella di cui all’art. 1419 C.C., ma produce i suoi effetti sul piano della inefficacia relativa. Mentre resta innocua l’improprietà terminologica che sotto il suindicato profilo può ravvisarsi nel tenore della impugnata sentenza importa qui sottolineare che la portata giuridica della inefficacia, se ed in quanto ritualmente dedotta e rilevata, non può subire l’incidenza di una eventuale e potenziale diversa ricostruzione della volontà delle parti stipulanti nel senso di una modificazione riduttiva dell’oggetto della stipulazione tale da ricondurne la valenza economica al di sotto della soglia stabilita dalla legge. Non ha quindi ragione l’appellante di dolersi del mancato accesso da parte del primo giudice alle “specifiche indagini e valutazioni” in ordine alla oggettiva separabilità delle componenti fisiche dell’alienazione immobiliare di cui trattasi e all’interesse soggettivo dell’acquirente in relazione a ciascuna di esse.
6. Ancor più macroscopicamente irrilevante, ai fini della presente decisione che non investe alcun profilo problematico inerente alla interpretazione contenutistica del negozio, appare il riferimento formulato dall’appellante T. s.r.l. al principio della conservazione del contratto per cui dovrebbe “essere privilegiata la interpretazione delle varie clausole e più in generale dell’intera fattispecie contrattuale, in ciò comprese le condizioni e le autorizzazioni dalla legge previste”.
7. La determinazione della entità pecuniaria dell’oggetto dell’obbligo restitutorio scaturente dalla caducazione degli effetti del contratto, che aveva natura di negozio misto caratterizzato dalla corrispettività tra un trasferimento della proprietà di determinati cespiti immobiliari da una parte e l’adempimento da parte dell’altra di un obbligo di facere concernente la realizzazione di determinate opere edilizie nell’interesse dell’alienante, è stata effettuata dal Tribunale sulla scorta di una consulenza tecnica che ha condotto ad una valutazione non di molto inferiore (come riconosce lo stesso appellante) alla indicazione dalla parte prospettata in primo grado. E tale diversità non viene apprezzabilmente criticata dall’appellante che si limita al riguardo a un generico rinvio all’opinione espressa a suo tempo dal consulente di parte.
8. Sotto diverso profilo, l’appellante lamenta che il Tribunale abbia condannato il M., ad integrazione della restituzione, alla corresponsione dei soli interessi e non anche della rivalutazione monetaria. La censura è, ancora una volta, infondata: si verte infatti in fattispecie di ripetizione di indebito oggettivo, avente ad oggetto il valore di un atto solutorio ancorché non in se stesso pecuniario ma pur sempre riconducibile alla nozione di pagamento di cui all’art. 2033, assistito nel suo compimento dal connotato soggettivo della buona fede, da presumersi ai sensi dell’art. 1447 C.C.
9. Va disatteso, nell’ambito dello stesso contesto problematico, anche l’ulteriore argomento di censura, che T. s.r.l. propone per non essere stata accolta la domanda dalla stessa proposta per il risarcimento del danno. Tale domanda potrebbe astrattamente trovare il suo riferimento normativo nella previsione dell’art. 1338 C.C. che pone a carico della parte la quale dovendo conoscere la esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all’altra, l’obbligo di risarcire il danno da questa subito per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto… Al riguardo non giova all’appellante affermare che “il M. non può chiamarsi all’oscuro della legislazione ecclesiastica… mentre T. s.r.l. non è tenuto a conoscerla in quanto soggetto ad essa estraneo”. Qui non si discute delle condizioni generali di opponibilità delle norme canoniche alla parte stipulante, ma viene in considerazione la diligenza, che era richiesta, e che nel concreto deve ritenersi mancata, da parte di T. s.r.l. nell’accertare la sussistenza o meno di quella efficace autorizzazione della cui necessità ha dimostrato di essere ben consapevole nell’accedere alla stipulazione tra l’altro alla presenza – proprio in funzione autorizzativa – del vescovo di Ventimiglia e Sanremo.
10. Da ultimo, deve ricevere reiezione l’ultimo motivo dedotto da T. s.r.l. a sostegno del proposto appello, circa la affermata sussistenza, tra il contratto tradotto nell’atto rogato il 19 febbraio 1990 col n. xxx di rep. del notaio S. e quello espresso nell’atto rogato nella stessa data col n. yyy di rep., di quello che viene dall’appellante prospettato come un collegamento negoziale in relazione al quale possa dirsi che aut simul stabunt aut simul cadent, e che per contro si configura come una pura e semplice articolazione di un più ampio interesse di parte alla stipulazione di contratti distinti con parti diverse e con diverse e non sovrapponibili modalità di corresponsione del corrispettivo, non suscettibile di acquisire rilevanza giuridica al di fuori di quella del motivo soggettivo a contrarre.
11. Il totale rigetto dell’appello principale di T. s.r.l. esplica effetto assorbente di tutte le domande proposte in via subordinata e di appello incidentale dal M. e ne preclude l’esame.
12. La considerazione dell’andamento generale della vicenda nelle sue fasi extragiudiziali e in quelle giudiziali fa apparire giustificata, in via equitativa e al di là della soccombenza formale, la compensazione anche delle spese del procedimento di appello.

P. Q. M.

La Corte pronunciando in via definitiva,

dichiara la contumacia della società Q. s.r.l. e del C. DEL COMUNE DI SANREMO;
ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa,
rigetta l’appello principale di T. s.r.l.;
dichiara assorbito l’appello incidentale del M.;
conferma la impugnata sentenza;
dichiara interamente compensate tra le parti costituite le spese del procedimento di appello.

Così deciso in Genova il 21 dicembre 2005.
Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2006.