Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 2 Dicembre 2003

Sentenza 22 marzo 1995, n.3314

Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 22 marzo 1995, n. 3314.

(Corda; Graziadei)

Motivi della decisione

(omissis)

Con i primi tre motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente, la Mori Pometti critica l’affermazione della Corte di Firenze sul carattere esclusivo della giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici; facendo propri i principi enunciati dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 1824 del 13 febbraio 1993, sostiene che, nella disciplina introdotta dal menzionato Accordo di Roma, detta giurisdizione viene a concorrere con quella del giudice italiano, e che il criterio della prevenzione, cui è soggetto il coordinamento fra l’una e l’altra giurisdizione, avrebbe dovuto nella specie portare al diniego della delibazione della pronuncia di nullità, ai sensi dell’art. 797 n. 6 c.p.c, in quanto, prima del suo passaggio in giudicato (con il decreto del Tribunale della Segnatura Apostolica), risultava instaurata davanti al giudice italiano (Tribunale di Siena) altra causa con il medesimo oggetto.

I riportati motivi, che non mettono in discussione la sussistenza della giurisdizione sulla domanda di delibazione, ma richiamano le regole operanti in materia solo per inferirne il dovere della Corte d’appello di respingere la domanda medesima, esigono un’integrazione della motivazione in diritto della statuizione impugnata, senza però infirmarne il decisum, e, quindi, vanno respinti.

L’indagine sull’identità o meno di oggetto, in cause fra le stesse parti e sullo stesso rapporto, deve essere condotta confrontando le questioni concretamente devolute alla cognizione e decisione dei giudici separatamente aditi, indipendentemente dalla natura e dalla provenienza degli atti d’impulso processuale.

Ne deriva, quando i medesimi soggetti contrappongano in distinti giudizi le loro affermazioni sulla validità ed invalidità di un determinato rapporto, che detta identità, mentre non è esclusa dal fatto che le relative deduzioni si siano tradotte in materia del contendere rispettivamente per effetto di domanda di accertamento positivo c di domanda di accertamento negativo, postula che si verifichi coincidenza della problematica dibattuta nell’una e nell’altra causa e del contenuto sostanziale delle statuizioni richieste ai due giudici.

A tale proposito si deve anche ricordare che, come la domanda di nullità od annullamento di un rapporto esige la specifica allegazione di ragioni in tesi invalidanti, così la domanda di accertamento della validità del rapporto stesso è proponibile per superare incertezze effettivamente insorte in dipendenza di contestazioni della controparte, non per ottenere un generico riscontro dell’insussistenza di vizi, quali che siano.

La coincidenza sopra delineata non è ravvisabile, nemmeno astrattamente, fra la contesa instaurata dal Bianchi Bandinelli davanti al Tribunale ecclesiastico e quella promossa dalla Mori Pometti dinanzi al Tribunale di Siena.

La domanda proposta a quest’ultimo Tribunale, secondo le indicazioni al riguardo fornite dalla medesima ricorrente, non va oltre una generica istanza di riconoscimento della conformità alla legge italiana del matrimonio, e, quindi, a prescindere dalla sua ammissibilità, non è idonea ad aprire il dibattito sulla questione della sussistenza o meno di quello specifico vizio del consenso, con portata invalidante per l’ordinamento canonico che è stato fatto valere dalla controparte davanti al giudice ecclesiastico.

Con il quarto motivo del ricorso si rinnova l’assunto della contrarietà all’ordine pubblico della statuizione di nullità del matrimonio, per effetto della convivenza ultrannale dei coniugi.

Il motivo è infondato.

Rispetto alla rilevanza che la legge italiana, con l’art. 123 comma 2 c.c., conferisce al matrimonio-rapporto, assegnandogli attitudine a superare l’invalidità del matrimonio-contratto dipendente da simulazione, le difformi previsioni della legge canonica, disconoscitive di ogni possibilità di emendare a posteriori i vizi che infirmino l’originario atto-sacramento, rimangono nell’ambito di quelle specificità dell’ordinamento della Chiesa, la cui applicazione da parte del giudice ecclesiastico non tocca regole essenziali ed irrinunciabili dell’ordinamento interno, e, quindi, non comporta impedimento alla delibazione della relativa pronuncia (v., da ultimo, Cass. n. 1018 del 12 febbraio 1990).

In conclusione il ricorso deve essere respinto

(omissis)