Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 12 Ottobre 2004

Sentenza 26 febbraio 2004, n.3892

Corte di Cassazione. Sezioni Unite.
Sentenza 26 febbraio 2004, n. 3892

La Corte Suprema di Cassazione
Sezioni Unite

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Giuseppe IANNIRUBERTO – Presidente
Dott. Vittorio DUVA – Presidente di sezione
Dott. Enrico PAPA – Consigliere
Dott. Antonino ELEFANTE – Consigliere
Dott. Ernesto LUPO – Consigliere
Dott. Giandonato NAPOLETANO – Consigliere
Dott. Michele VARRONE – Consigliere
Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI – Consigliere
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:

G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, GIAN GIACOMO PORRO 8, presso lo studio dell’avvocato SERGIO BARENGHI, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

F.E. I.M. T., G. E L. G., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 39, presso lo studio dell’avvocato GIULIO FAVINO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –

nonché contro

G. D.A. SVEVA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE AMBROSIO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –

nonché contro

G.F., G.N., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE AMBROSIO, che li rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrenti –

nonché contro

G.A.M., G.A., G.G.;
– intimati –

avverso la sent. n. 1158/01 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 29 marzo 2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22 gennaio 2004 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;

uditi gli Avvocati Sergio BARENGHI, Giulio FAVINO, Giuseppe AMBROSIO;

udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. che ha concluso per il rigetto del ricorso.

In fatto

G.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la “F. I. M. T., G.e L. G.”, fondazione ecclesiastica costituita da A.G. con atto pubblico del 26 novembre 1963 e dotata di personalità giuridica in forza del riconoscimento attribuitole con D.P.R. 30 novembre 1967, n. 1337 chiedendo che si dichiarasse la simulazione, l’inesistenza giuridica o la nullità di detto atto di costituzione, anche come integrato dall’atto chiarificativo dello scopo in data 26 aprile 1966, e per l’effetto l’invalidità, l’inefficacia o comunque l’inopponibilità della disposizione testamentaria con la quale la fondazione stessa era stata istituita erede del predetto A.G., con la conseguente dichiarazione di apertura della successione secondo legge.
L’esponente deduceva in particolare la vaghezza e vacuità dello scopo della fondazione, come tale inidoneo ad imprimere un preciso vincolo di destinazione al patrimonio e quindi a costituire metro di valutazione degli atti destinati al perseguimento dello scopo stesso, il mancato svolgimento da parte dell’ente di qualsiasi attività benefica, l’omessa realizzazione, durante la vita del fondatore, di un’effettiva separazione tra il suo patrimonio e quello della fondazione, l’avere questa nella realtà operato come schermo dell’attività imprenditoriale di A.G., l’avere in conclusione quest’ultimo distorto l’istituto giuridico utilizzato rispetto alla funzione sua propria per finalità di elusione fiscale e per conseguire vantaggi di diversa natura, così ponendo in essere un negozio in frode alla legge.
Costituitasi la fondazione, che eccepiva il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in quanto le domande proposte coinvolgevano provvedimenti della Pubblica Amministrazione, e comunque deduceva la loro infondatezza nel merito, ed integrato il contraddittorio nei confronti degli altri successibili A.M., A. e G. G., S., F. e N. G.d.A., con sentenza del 30 ottobre – 4 novembre 1998 il Tribunale, ritenuta la propria giurisdizione limitatamente alle domande dirette a far valere vizi dell’atto di fondazione diversi da quello concernente l’indeterminatezza dello scopo – trattandosi di profilo oggetto di preventiva valutazione da parte dell’autorità governativa in sede di riconoscimento della personalità giuridica e di successivo controllo durante la vita dell’ente – e da quello inerente ai poteri del fondatore, affermava il difetto di interesse ad agire dell’attrice, sul rilievo che l’eventuale accertamento della nullità dell’atto costitutivo non avrebbe comunque comportato il recupero da parte degli eredi legittimi dei beni costituenti oggetto del patrimonio della fondazione, applicandosi in via analogica il disposto di cui all’art. 2332 c.c., con la conseguente liquidazione dei beni dell’ente dichiarato nullo e la loro devoluzione ad altri enti con fini analoghi, ai sensi dell’art. 31 c.c..
Proposto gravame da G.G., con sentenza del 12 – 29 marzo 2001 la Corte di Appello di Roma rigettava l’impugnazione, ma modificava la motivazione adottata dal primo giudice, osservando che il difetto di giurisdizione andava ravvisato in ordine a tutti i profili di invalidità dell’atto di fondazione prospettati, trovando esso ragione sia nella disciplina generale delle fondazioni riconosciute come persone giuridiche private sia in quella relativa agli enti ecclesiastici. Sotto il primo profilo rilevava che l’azione esperita non operava esclusivamente nell’ambito privatistico, ma incideva direttamente sul provvedimento di riconoscimento della personalità giuridica, che in caso di accoglimento della domanda sarebbe rimasto privo di contenuto, essendo stato chiesto al giudice ordinario di affermare la mancanza di un requisito che l’autorità amministrativa con il suo provvedimento aveva attestato essere esistente. Precisava sul punto che la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla validità dell’atto costitutivo sussiste soltanto nei limiti in cui non precluda all’Amministrazione l’esercizio del potere di accertare i requisiti necessari all’esistenza dell’ente da riconoscere come persona giuridica, sul quale il giudice amministrativo svolge il proprio sindacato di legittimità, configurandosi rispetto ad esso posizioni soggettive di interesse legittimo.
Con riguardo al secondo profilo osservava che, avendo la fondazione natura di ente ecclesiastico, per essere stata eretta canonicamente in persona morale ecclesiastica non collegiale con decreto della Sacra Congregazione dei Religiosi del 26 febbraio 1965, trovava applicazione l’art. 20 della legge 20 maggio 1985 n. 222, ai sensi del quale il provvedimento che sopprima o dichiari, per qualunque causa, il venir meno di un ente di tale natura è di esclusiva competenza dell’autorità ecclesiastica, residuando all’autorità dello Stato compiti di mera presa d’atto e di registrazione, con la conseguente impossibilità per il giudice italiano di conoscere del relativo atto di fondazione.
Avverso tale sentenza G.G. proponeva ricorso per Cassazione articolato in quattro motivi. La “F. E. I. M.T. G. e L. G.” resisteva con controricorso illustrato con memoria. S. G. d.A.da un lato e N. e F.G.d. A.dall’altro depositavano distinti controricorsi nei quali dichiaravano la loro disponibilità ad una soluzione transattiva della controversia. Gli altri intimati non svolgevano attività difensiva.
Alla precedente udienza del 10 aprile 2003 queste Sezioni Unite, rilevato che il ricorso non era stato notificato ad A.G. e a G.G., assegnavano il termine di sessanta giorni per l’integrazione del contraddittorio. Espletato l’incombente nel termine fissato, il ricorso era chiamato per la discussione all’udienza odierna. La ricorrente infine depositava memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso G.G. censura la sentenza impugnata per aver ritenuto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore sia della giurisdizione amministrativa che di quella ecclesiastica. In ordine al primo profilo sostiene che la pubblica utilità dello scopo perseguito dall’ente, controllata in sede di riconoscimento, non impedisce di verificare giudizialmente la validità dell’atto costitutivo, atteso che altro è l’atto di autonomia privata che crea la fondazione, altro lo scopo che la fondazione mira a realizzare, e che la Pubblica Amministrazione nel concedere il riconoscimento non esercita un controllo intrinseco sulla validità della dichiarazione di volontà e non incide sulla natura dell’atto negoziale che ha dato vita all’ente. Con riguardo al secondo profilo deduce che, se è vero che ai sensi dell’art. 20 comma 1° della legge 20 maggio 1985 n. 222 l’estinzione dell’ente ecclesiastico ha efficacia civile mediante l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell’autorità ecclesiastica competente che sopprime l’ente o ne dichiara l’estinzione, da tale disciplina non può argomentarsi che anche l’atto costitutivo sia soggetto quanto ai requisiti di validità alle regole dell’ordinamento canonico, occorrendo pur in tale ipotesi porre la distinzione tra l’atto privato costitutivo dell’ente ed il provvedimento dell’autorità ecclesiastica che gli attribuisce la personalità giuridica.
La questione che il motivo di ricorso solleva è stata oggetto di puntuali interventi di queste Sezioni Unite – alcuni dei quali invocati, ma non correttamente interpretati, dalla sentenza impugnata – cui è necessario far riferimento per la persistente validità dei principi in essi espressi, tenuto conto che la disciplina operante nella specie è quella anteriore alla riforma di cui al D.P.R. 10 febbraio 2000 n. 361, emanato ai sensi dell’art. 20 comma 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59 il quale – come è noto – nel dettare il regolamento di semplificazione amministrativa delegato all’esecutivo ha delineato un nuovo sistema di acquisto della personalità giuridica per le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato, consistente nell’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture.
Nella risalente sent. n. 654 del 1968, che nel suo impianto argomentativo richiama e sviluppa le motivazioni delle più remote pronunce n. 2130 del 1959 e n. 2958 del 1967, nell’esaminare il rapporto tra negozio privato di fondazione ed atto amministrativo di riconoscimento si è osservato che il primo – unitariamente considerato nel suo contenuto personale, diretto alla costituzione di un nuovo soggetto di diritto, e patrimoniale, volto al conferimento a tale soggetto di beni e diritti per il perseguimento di un determinato scopo ed alla fissazione della struttura organizzativa che dovrà provvedere alla sua realizzazione – integra un atto di autonomia privata, che non partecipa della natura del provvedimento amministrativo di riconoscimento, ma è regolato in relazione alla sua validità ed efficacia dalle norme privatistiche e genera rapporti di diritto privato e posizioni di diritto soggettivo. Conseguentemente, le pretese relative alla validità ed efficacia del negozio di fondazione appartengono alla competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria ordinaria, mentre quelle volte all’annullamento dell’atto di riconoscimento spettano alla giurisdizione del giudice amministrativo. Nel delineare i limiti del collegamento tra il negozio privato di fondazione e l’atto amministrativo di riconoscimento, sotto il profilo degli effetti che la decisione giudiziale sull’atto di fondazione può esplicare sulla situazione prodotta dall’intervenuto atto amministrativo, si è in tale decisione opportunamente precisato che l’invalidità o l’inefficacia del negozio non incide se non in modo indiretto su detta situazione, rilevando solo in quanto l’accertamento della invalidità o inefficacia faccia venir meno uno dei presupposti dell’atto amministrativo, così da determinare l’impossibilità per l’ente riconosciuto di perseguire lo scopo dal quale trae giustificazione, ma non comporta di per sé che l’atto resti comunque invalidato, ben potendo l’ente mantenere la sua personalità ove ne siano ritenute esistenti le condizioni o continuare a svolgere l’attività prevista con altra dotazione e con altre regole, e comunque occorrendo, perché a seguito della caducazione del negozio venga eliminato l’atto amministrativo, un’impugnazione diretta di questo. Corrispondentemente, l’invalidazione dell’atto amministrativo non determina necessariamente l’inefficacia del negozio di fondazione, che ben può conseguire i suoi effetti ove lo scopo fissato dal fondatore sia ancora attuabile, eventualmente attraverso un nuovo provvedimento di riconoscimento.
Nella stessa linea – pur con qualche divergenza, che in questa sede non rileva, in relazione ai limiti del potere del giudice ordinario che abbia accertato l’invalidità dell’atto di fondazione di disporre la restituzione dei beni in mancanza del provvedimento di annullamento del riconoscimento da parte dell’autorità o del giudice amministrativo – si è posta la successiva pronuncia, sempre a sezioni unite, n. 721 del 1972, la quale ha ribadito che le eventuali ragioni di invalidità o inefficacia dell’atto costitutivo vanno fatte valere dagli interessati dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, anche dopo che sia intervenuto il provvedimento amministrativo di conferimento della personalità giuridica, il quale d’altro canto non può considerarsi eliminato per effetto della pronuncia del giudice ordinario, anche se può risultarne svuotato nel contenuto.
Tali principi hanno trovato ulteriore conferma nella successiva sentenza, ancora a sezioni unite, n. 4024 del 1984, che ha riaffermato che la giurisdizione del giudice amministrativo è ravvisabile ove il soddisfacimento dell’interesse della parte sia perseguito con la richiesta di annullamento dell’atto di riconoscimento, mentre ove l’accertamento e la soddisfazione delle posizioni soggettive fatte valere non passino necessariamente attraverso l’eliminazione dal mondo del diritto di detto provvedimento, anche se spieghino su di esso effetti riflessi, in quanto investano direttamente la validità ed efficacia del negozio di fondazione, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi degli artt. 29 e 30 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 e 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 non ha modo di esplicarsi, restando tuttavia salvo il potere dell’autorità amministrativa, ed eventualmente del giudice amministrativo adito, di vagliare separatamente la consistenza e rilevanza di detti effetti riflessi sul provvedimento stesso.
I richiamati interventi giurisprudenziali, definendo con chiarezza i diversi ambiti di esplicazione degli effetti della invalidità o inefficacia del negozio di fondazione e dell’atto amministrativo di riconoscimento, rendono evidente la possibilità di un esercizio separato ed autonomo di pretese ancorate a distinte situazioni soggettive e sorrette da diversi profili di interesse ad agire.
Le conclusioni in essi raggiunte appaiono peraltro coerenti con il dibattito dottrinale sviluppatosi nel tempo in relazione alla natura ed alla funzione del provvedimento di riconoscimento, inteso nella vigenza della norma contenuta nel codice civile come diretto ad operare in presenza di un autonomo substrato già esistente nell’ordinamento ed eventualmente già operante, ed a svolgere un controllo estrinseco su di esso, mirato e circoscritto alla vantazione, sulla base dell’atto costitutivo e dello statuto ed a tutela del pubblico interesse, della ricorrenza delle condizioni per la concessione a quell’ente delle specifiche prerogative riconosciute alle fondazioni, con particolare riferimento al beneficio della responsabilità limitata degli amministratori, con esclusione di ogni apprezzamento circa la validità dell’atto di autonomia privata che di quel substrato è fonte e regola. Le argomentazioni innanzi svolte soccorrono anche con riferimento alla disciplina dettata dall’art. 20 comma 1 della legge n. 222 del 1985, ai sensi del quale la soppressione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la loro estinzione per altre cause hanno efficacia civile mediante l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell’autorità ecclesiastica competente che sopprime l’ente o ne dichiara l’estinzione: ed invero anche a tale riguardo si impone la distinzione – in alcun modo superata dalla norma suindicata, che si limita a disciplinare le modalità con le quali il provvedimento dell’autorità ecclesiastica viene recepito nell’ordinamento statuale – tra atto negoziale di costituzione dell’ente e provvedimento ecclesiastico che crea o sopprime la persona giuridica nell’ambito di quell’ordinamento, con la conseguenza che il sindacato sulla validità del primo, da svolgere secondo le norme civilistiche, non incide sul potere riservato all’autorità ecclesiastica di pronunciare sulla soppressione dell’ente.
In tale quadro normativo di riferimento appare agevole risolvere la questione di giurisdizione sottoposta a queste sezioni unite, tenuto conto che, come è noto, ai fini della determinazione della giurisdizione occorre aver riguardo al “petitum” sostanziale, identificato non solo o non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in relazione alla “causa petendi”, ossia all’intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione ad essa accordata in astratto dal diritto positivo (v., ex plurimis, S.U. 2003 n. 3508; 2002 n. 489; 2001 n. 64; 1999 n. 915; 1999 n. 799; 1999 n. 279; 1998 n. 6626; 1998 n. 5762). Nella specie la lettura dell’atto introduttivo del giudizio e l’opportuno coordinamento della prospettazione dei fatti posti a base della pretesa con le conclusioni in detto atto formulate – dirette ad ottenere, come già rilevato nella parte espositiva, l’accertamento della simulazione ovvero la dichiarazione di inesistenza giuridica o di nullità dell’atto costitutivo della fondazione, e per l’effetto l’invalidità o l’inefficacia o l’inopponibilità della disposizione a titolo di erede contenuta nel testamento – consentono di ritenere che l’attrice abbia inteso impugnare direttamente ed unicamente l’atto negoziale, in quanto assolutamente inidoneo – in tesi – a realizzare quella destinazione definitiva dei beni ad un determinato scopo e quella autonomia patrimoniale che della fondazione costituiscono elementi distintivi ed indefettibili, ma piuttosto mirato a realizzare uno schermo all’attività imprenditoriale del fondatore, e quindi a perseguire unicamente gli interessi economici del medesimo mediante operazioni di carattere speculativo riferibili alla fondazione: l’articolazione delle deduzioni svolte a sostegno della domanda, ed il conclusivo riferimento – coerente con detto impianto argomentativo – alla fattispecie del negozio in frode alla legge rende evidente la natura di diritto soggettivo della pretesa azionata.
In tale contesto il riferimento contenuto nell’atto di citazione alla vacuità dello scopo, come emergente dalle enunciazioni contenute nello statuto e nell’atto chiarificativo del 26 aprile 1966, non appare idoneo a sostanziare una pretesa diretta alla eliminazione del provvedimento amministrativo che con il riconoscimento aveva pur accertato e valutato detto scopo ai fini dell’apprezzamento della sua conformità al pubblico interesse, ma si profila piuttosto come mera deduzione volta a porre in rilievo e a ribadire l’invalidità dell’atto fondativo, sotto il profilo della sua inettitudine ad imporre il vincolo di destinazione ai beni conferiti.
Analogamente, il richiamo contenuto nello stesso atto introduttivo all’aspetto dinamico della fondazione, segnato dal compimento nel corso degli anni di attività speculative, e non benefiche, e dall’esclusivo perseguimento degli interessi imprenditoriali del fondatore, si profila come rivolto a fornire elementi di valutazione a posteriori in ordine alla insussistenza di una originaria previsione di separazione dei patrimoni ed a conferma dell’intenzione del fondatore di utilizzare detta figura negoziale per finalità incompatibili con la sua natura e funzione.
È peraltro appena il caso di rilevare che ogni apprezzamento circa l’effettiva configurabilità nell’atto di fondazione in oggetto del vizio denunziato dall’attrice esula dalla questione di giurisdizione demandata a queste sezioni unite e resta riservato al giudice di merito.
La qualificazione così operata della posizione fatta valere dalla G., nella sua dichiarata qualità di successibile “ex lege”, come di diritto soggettivo, in relazione alla sostanziale protezione accordata in astratto dall’ordinamento alla sua pretesa di invalidazione dell’atto di fondazione, comporta, in accoglimento del primo motivo di ricorso, che debba essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
L’accoglimento di tale motivo determina l’assorbimento delle altre censure.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa in altra sezione della Corte di Appello di Roma, che procederà all’esame dei motivi di appello e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Dichiara assorbiti gli altri motivi. Cassa è rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezioni Unite Civili, il 22 gennaio 2004.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2004.