Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 13 Settembre 2006

Sentenza 27 gennaio 2006, n.238

Consiglio di Stato. Sezione V. Sentenza 27 gennaio 2006, n. 238: “Beni culturali di interesse religioso e tutela delle esigenze di culto”.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 11650 del 2003 proposto dal Comune di […], in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Gagliardi La Gala ed elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie n. 106, presso lo studio dell’avv. Eugenio Gagliano,

contro

il Vescovo della Diocesi di […], rappresentato e difeso dall’avv. Filippo Panizzolo ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Mantegazza n. 24, presso Gardin,

e nei confronti

del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di […], non costituiti in giudizio,

per l’annullamento e la riforma:
della sentenza n. 376 in data 13 marzo 2003 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 570 del 3 febbraio 2004, con la quale è stata accolta la domanda di sospensione della sentenza appellata;
Vista l’ordinanza n. 779 del 1 marzo 2005, con la quale sono stati disposti incombenti istruttori;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il cons. Corrado Allegretta;
Uditi alla pubblica udienza del 29 aprile 2005 l’avv. Lorusso, su delega dell’avv. Gagliardi La Gala, e l’avv. Panizzolo;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con l’appello in esame il Comune di […] impugna la sentenza n. 376 del 13 marzo 2003, con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellato ed ha annullato: a) la deliberazione 12 aprile 2002 n. 8 del Consiglio Comunale di […], avente ad oggetto l’approvazione del piano di recupero – variante zone A1-A2, adottato con la precedente delibera di G.C. n. 23 del 18 marzo 2002; b) la nota n. 1607 in data 13 marzo 2001 (recte: 2002) della Soprintendenza per i Beni Ambientali e per il Paesaggio di […], con cui è stato espresso parere favorevole sul progetto di piano.
L’appellante ripropone, sostanzialmente, le eccezioni e i motivi di resistenza già formulati in primo grado e contesta le ragioni sulle quali la sentenza si fonda, chiedendone, in conclusione, l’annullamento e la riforma.
Per resistere, si è costituito in giudizio il Vescovo della Diocesi di […], il quale ha puntualmente controdedotto, concludendo per la reiezione del gravame perché infondato.
La domanda di sospensione della sentenza appellata, proposta contestualmente al ricorso, è stata accolta con ordinanza n. 570 del 3 febbraio 2004.
Disposti incombenti istruttori con ordinanza n. 779 del 1 marzo 2005, regolarmente adempiuti, la causa è stata trattata all’udienza pubblica del 29 aprile 2005, nella quale, sentiti i difensori presenti, il Collegio si è riservata la decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.
Con la deliberazione 12 aprile 2002 n. 8 il Consiglio Comunale di […] ha approvato la variante, per le zone urbanistiche A1 e A2, al piano di recupero di cui all’art. 34 del D.Lgs. 30 marzo 1990 n. 76, prevedendo, tra l’altro, la ricostruzione in sito della Chiesa […], distrutta dal sisma del 1980, anziché quella della Chiesa […], come ritenuto opportuno dall’Autorità ecclesiastica appellata.
Accogliendo il ricorso da questa proposto, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata ha annullato detta deliberazione sia perché il piano risultava sprovvisto dei necessari standards urbanistici, sia per la ritenuta illegittimità del parere favorevole, anch’esso annullato, espresso sul progetto di piano dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e per il Paesaggio di […] con la nota n. 1607 in data 13 marzo 2002.
L’appello in esame investe entrambi detti profili, dei quali, tuttavia, appare opportuno sul piano logico-giuridico invertire la trattazione.
Il Tribunale ha ritenuto viziato il parere suddetto, in quanto reso senza il previo accordo con l’Autorità ecclesiastica, prescritto dall’art. 19 del T.U. 29 ottobre 1999 n. 490.
Sostiene il Comune appellante che il percorso logico seguito dal giudice di prime cure è fondato su di una non condivisibile ricostruzione del sistema normativo di settore rilevante nella fattispecie, nonché sulla mancata valutazione dell’inammissibilità in radice dell’originario ricorso.
Sotto il primo profilo, si fa rilevare come nel caso in esame non si tratti del parere su di uno specifico progetto per la costruzione di un determinato edificio di interesse religioso avente valenza di bene culturale, bensì di quello su di uno strumento urbanistico secondario, che segue un suo preciso, autonomo, percorso procedimentale.
In particolare, ai sensi dell’art. 34, comma 15, del T.U. approvato con D. Lgs. n. 76 del 30 marzo 1990 (recante le norme per gli interventi nei territori delle aree meridionali colpite dagli eventi sismici del novembre 1980, in cui si inscrive la fattispecie in esame), la Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici è chiamata a manifestare il proprio parere, nella fase tra adozione ed approvazione dello strumento urbanistico, per la presenza all’interno del piano di edifici vincolati, siano essi di interesse religioso, o meno. Essa, pertanto, interverrà in relazione a siffatti edifici per i profili storici, artistici e monumentali, per i quali possiede specifica competenza, non anche in considerazione di altre tipologie di interessi. Questi diversi interessi, invece, trovano il loro momento di emersione e composizione nei successivi momenti delle opposizioni al piano e, a valle, nel concordamento tra l’Ente della Chiesa Cattolica proprietario del bene culturale di interesse religioso e la competente Sopraintendenza, ai sensi dell’art. 19 del T.U. n. 490 del 1999, riguardo allo specifico progetto di ricostruzione del manufatto al fine di soddisfare le esigenze di culto.
Ritiene il Collegio che la censura non abbia fondamento.
Della generale categoria dei beni culturali, invero, quelli che rivestono anche interesse religioso costituiscono una particolare species la cui disciplina è determinata dalla rilevanza dell’interesse religioso di cui sono oggetto.
Dispone, infatti, l’art. 19 del D.Lgs. n. 490 del 1999 che “Quando si tratti di beni culturali ad interesse religioso, appartenenti ad Enti o istituzioni della Chiesa Cattolica… il Ministero e per quanto di competenza le Regioni provvedono, relativamente alle esigenze del culto, d’accordo con le rispettive Autorità”. Si tratta, come correttamente osserva il Tribunale, di disposizione intesa a soddisfare, in tema di edifici di culto della Chiesa Cattolica aventi rilevanza storica ed artistica, un’esigenza di composizione di interessi pariordinati di rilievo costituzionale, quali il reciproco riconoscimento di indipendenza e sovranità tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica e la libertà di culto (artt. 7 e 19 Cost.), da una parte, e la tutela dei beni culturali (art. 9 Cost.), dall’altra.
Sotto il profilo dell’esercizio della funzione da parte degli organi preposti a detta tutela, peraltro, la disposizione appare dotata di portata ampia e comprensiva di ogni manifestazione della funzione che integri un provvedimento, senza limitazione alcuna derivante dal tipo o dal contenuto del provvedimento ed altrettanta latitudine caratterizza la norma con riferimento all’altro suo presupposto oggettivo, consistente nelle “esigenze del culto”, non qualificate o delimitate da alcuna specificazione del testo. Ne consegue che, tutte le volte che gli organi suddetti siano chiamati a “provvedere” in ordine a beni culturali di interesse religioso, ove sussistano esigenze connesse al culto e quali che siano queste esigenze, il contenuto del provvedimento dovrà essere concordato, quanto ad esse, con l’autorità religiosa.
Nel caso di specie, il piano di recupero impugnato comprende nel suo perimetro il bene culturale di interesse religioso rappresentato dalla Chiesa […], sia pure nelle condizioni determinate dagli eventi sismici che hanno colpito la zona, cosicché trova applicazione sia l’art. 34 co. 15 del T.U. 30 marzo 1990 n. 76, ai sensi del quale: “Ove il piano di recupero ricomprenda edifici di interesse storico artistico monumentale, vincolati a norma di legge, nelle more fra l’adozione e l’esame delle opposizioni devono essere sentite le competenti Soprintendenze, le quali provvedono a dare il proprio parere limitatamente agli edifici sottoposti a vincolo entro e non oltre 20 giorni dal ricevimento degli atti”; sia il menzionato art. 19 del D.Lgs. n. 490 del 1999.
Dovendo provvedere ad esprimere il suo parere, ancorché in una ben individuata fase del procedimento di approvazione del piano di recupero, la Soprintendenza, invero, non avrebbe potuto farlo se non nei modi e nelle forme in cui, con riferimento alla specifica ipotesi di bene culturale di interesse religioso, la norma (art. 19 D.Lgs. 490/99) disciplina l’esercizio della sua competenza. In particolare, poiché sussiste anche l’altro presupposto delle esigenze di culto, più volte rappresentate dall’autorità ecclesiastica, il parere in questione avrebbe dovuto dar conto, motivatamente, del previo accordo con detta autorità, ovvero dell’impossibilità di raggiungerlo. La totale carenza al riguardo, che connota il parere censurato, induce il Collegio a condividere la pronuncia del giudice di primo grado.
D’altra parte, non va dimenticato che il piano di recupero ha natura di piano urbanistico esecutivo e, pertanto, deve stabilire, a norma dell’art. 13 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, tra l’altro, per quanto qui interessa, le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali vie e piazze(lett. c) e gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico e gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o bonifica edilizia (lett. d). Esso ha come sua specifica funzione, con riguardo alle zone terremotate quella di disciplinare “la ricostruzione in sito degli edifici demoliti e da demolire, la ristrutturazione di quelli gravemente danneggiati e la sistemazione delle aree di sedime di edifici demoliti o da demolire che non possono essere ricostruiti in sito” (art. 34, comma 3, lett. c, T.U. 30 marzo 1990 n. 76).
La valutazione delle esigenze del culto, connesse agli edifici aventi carattere di beni culturali di interesse religioso compresi nello speciale piano di recupero di cui all’art. 34 ora citato, non potrebbe, quindi, essere differita ad un momento successivo alla sua approvazione ed all’entrata in vigore delle sue vincolanti e dettagliate prescrizioni, non residuando alcun margine di apprezzamento degli interessi coinvolti che non sia relativo a mere modalità di attuazione di tali prescrizioni.
Non valgono in contrario le considerazioni che l’Amministrazione appellante ripropone al fine di evidenziare la sostanziale inammissibilità del ricorso originario.
L’argomento che la ricostruzione in loco della Chiesa […] sia già prevista dal piano regolatore comunale, con conseguente vincolo a carico del piano di recupero, si fonda, infatti, su di una errata lettura dello strumento urbanistico generale, il quale non reca alcuna prescrizione in proposito.
Del pari inconsistente è quello volto a sostenere il difetto d’interesse sul rilievo che, dovendosi escludere la proprietà della Diocesi quanto meno riguardo alla Chiesa […], che l’autorità ecclesiastica vorrebbe ricostruire, mancherebbe una reale alternativa tra i fabbricati da ricostruire. Il vizio dedotto, consistente nell’omessa acquisizione del consenso ecclesiastico in ordine alle esigenze di culto, rappresenta, invero, un difetto del procedimento di formazione ed approvazione del piano di recupero impugnato, onde non può negarsi in capo all’originario ricorrente almeno l’interesse strumentale alla rinnovazione della procedura e, sotto questo profilo, non può non riconoscersi l’ammissibilità dell’impugnativa.
In conclusione, il motivo d’appello fin qui esaminato si rivela infondato.
Ne consegue che resta confermato l’annullamento degli atti impugnati e la necessità della rinnovazione del procedimento a partire dal parere della Soprintendenza ai beni culturali di […].
Poiché questo si colloca, a norma del più volte citato art. 34, comma 15, T.U. 30 marzo 1990 n. 76, tra l’adozione del piano di recupero e la decisione delle opposizioni ad esso presentate, va constatato il venir meno dell’interesse del Comune all’esame dell’altro motivo di gravame. Con questo, infatti, si censura la sentenza appellata nel capo in cui il Tribunale ritiene il piano sprovvisto dei necessari standards urbanistici in conseguenza del ritiro della tavola n. 15 o degli standards, avvenuto in sede di approvazione, dopo la decisione delle opposizioni.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe.
Compensa tra le parti spese e competenze del presente grado di giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

(omissis)