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    Varie 16 dicembre 2008

    Stati vegetativi, nutrizione e idratazione

    Data: 16 dicembre 2008
    Autore:
    Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali
    Argomento:
    Bioetica
    Nazione:
    Italia
    Parole chiave:
    Strutture sanitarie, Bioetica, Diritto alla vita, Trattamenti sanitari, Nutrizione, Idratazione, Stati vegetativi permanenti
    Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali Ai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano LORO SEDI OGGETTO: Stati vegetativi, nutrizione e idratazione. Il presente atto è rivolto a richiamare principi di carattere generale, al fine di garantire uniformità di trattamenti di base su tutto il territorio […]

    Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali

    Ai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano
    LORO SEDI

    OGGETTO: Stati vegetativi, nutrizione e idratazione.

    Il presente atto è rivolto a richiamare principi di carattere generale, al fine di garantire uniformità di trattamenti di base su tutto il territorio nazionale e di rendere omogenee le pratiche in campo sanitario con riferimento a profili essenziali come la nutrizione e l’alimentazione nei confronti delle persone in Stato Vegetativo Persistente (SVP).

    Il Comitato nazionale per la bioetica, che si è espresso con parere approvato nella seduta plenaria del 30 settembre 2005, ha fatto presente che «per giustificare bioeticamente il fondamento e i limiti del diritto alla cura e all’accudimento nei confronti delle persone in Stato Vegetativo Persistente va quindi ricordato che ciò che va loro garantito è il sostentamento ordinario di base: la nutrizione e l’idratazione, sia che siano fornite per vie naturali che per vie non naturali o artificiali». Infatti, la nutrizione e l’idratazione «vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere».

    Secondo il predetto parere «la sospensione di tali pratiche va valutata non come la doverosa interruzione di un accanimento terapeutico, ma piuttosto come una forma, dal punto di vista umano e simbolico particolarmente crudele, di “abbandono” del malato (…) Non sussistono invece dubbi sulla doverosità etica della sospensione della nutrizione nell’ipotesi in cui nell’imminenza della morte l’organismo non sia più in grado di assimilare le sostanze fornite: l’unico limite obiettivamente riconoscibile al dovere etico di nutrire la persona in SVP è la capacità di assimilazione dell’organismo (dunque la possibilità che l’atto raggiunga il fine proprio non essendovi risposta positiva al trattamento) o uno stato di intolleranza clinicamente rilevabile collegato all’alimentazione. (…) Si deve pertanto parlare di valenza umana della cura (care) dei pazienti in SVP».

    Secondo il documento del 17 novembre 2008 del Gruppo di lavoro “Stato vegetativo e stato di minima coscienza” istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali «lo stato vegetativo realizza una condizione di grave disabilità neurologica, potenzialmente reversibile».

    Sempre sulla base del citato parere del Comitato nazionale per la bioetica per questi malati «il problema bioetico centrale è costituito dalla stato di dipendenza dagli altri: si tratta di persone che per sopravvivere necessitano delle stesse cose di cui necessita ogni essere umano (acqua, cibo, riscaldamento, pulizia e movimento), ma che non sono in grado di provvedervi autonomamente, avendo bisogno di essere aiutate, sostenute ed accudite in tutte le loro funzioni, anche le più elementari. (…) Se è vero che alcuni malati terminali possono diventare malati in SVP, è pur vero che le persone in SVP non sono sempre malati terminali (potendo sopravvivere per anni se opportunamente assistite)».

    La negazione della nutrizione e dell’alimentazione può configurarsi quindi come una discriminazione fondata su valutazioni circa la qualità della vita di una persona con grave disabilità e in situazione di totale dipendenza.

    Si fa rinvio, in ogni modo, al testo integrale del citato parere per un orientamento rispetto al necessario esercizio della responsabilità secondo scienza e coscienza della funzione medica. Tra i compiti del Comitato nazionale per la bioetica, infatti, si evidenzia la funzione di formulare pareri e indicare soluzioni, anche ai fini della predisposizione di atti legislativi, per affrontare problemi di natura etica e giuridica che possono emergere con il progredire delle ricerche e con la comparsa di nuove possibili applicazioni di interesse clinico avuto riguardo alla salvaguardia dei diritti fondamentali e della dignità dell’uomo e degli altri valori così come sono espressi dalla Carta costituzionale e dagli strumenti internazioni ai quali l’Italia aderisce.

    La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 ed in corso di ratifica a seguito dell’approvazione del relativo disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri in data 28 novembre 2008, all’articolo 25 stabilisce che «gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità». In particolare, gli Stati Parti, devono, tra gli altri, «prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità».

    Di conseguenza, le disposizioni di cui all’articolo 25 della Convezione sui diritti delle persone con disabilità si applicano anche agli stati vegetativi.

    Si ritiene, pertanto, nel rispetto dei principi e criteri ispiratori della Convenzione, che sia fatto divieto di discriminare la persona in stato vegetativo rispetto alla persona non in stato vegetativo.

    Ciò premesso, si invitano codeste Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano ad adottare le misure necessarie affinché le strutture sanitarie pubbliche e private si uniformino ai principi sopra esposti e a quanto previsto dall’articolo 25 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.

    Roma, 16 dicembre 2008

    Maurizio Sacconi

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