Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 17 novembre 2016, n.48696

Va esclusa l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 567, comma II,
c.p. nel caso di dichiarazione di nascita effettuate ai sensi
dell'art. 15 del D.P.R. 396 del 2000, in ordine a cittadini
italiani nati all'estero e rese all'autorità consolare
sulla base di certificato redatto delle autorità – nel caso di
specie – ucraine che li indichi come genitori, in conformità
alle norme stabilite dalla legge del luogo.

Sentenza 03 maggio 2016

Riconoscere che la coppia, già unita in matrimonio, possa
scegliere di mantenere il vincolo già in essere, anche nel
caso in cui sia stato emesso provvedimento di rettificazione del sesso
da maschile a femminile di uno dei coniugi, significa riconoscere
il diritto alla conservazione della preesistente dimensione
relazionale, quando essa assuma i caratteri della stabilità
e continuità propri del vincolo coniugale.

Sentenza 02 agosto 2016, n.8990

La disposizione del decreto commissariale impugnato, con la quale
viene consentito che il medico rilasci il certificato dello stato di
gravidanza della donna interessata o ne attesti la volontà di
interrompere la gravidanza, costituisce adempimento ai doveri
professionali di quest'ultimo e non determina alcuna compressione
della libertà di coscienza, posto che la decisione relativa
alla interruzione della gravidanza in ogni caso spetta
all'interessata che può recedere da tale proposito”.
Ne consegue che è da escludere che l'attività di
mero accertamento dello stato di gravidanza richiesta al medico di un
consultorio si presenti come atta a turbare la coscienza
dell'obiettore, trattandosi, invece, di attività meramente
preliminari. Quanto alla prescrizione dei farmaci contraccettivi
"del giorno dopo", la censura secondo cui le specifiche
specialità medicinali attualmente in commercio sortirebbero
l'effetto di un aborto chimico, poiché non sarebbe
possibile escludere che abbiano effetto anche in un momento successivo
al concepimento, causando la perdita dell'embrione umano
già formatosi, occorre ricordare come il legislatore abbia
inteso quale evento interruttivo della gravidanza quello che
interviene in una fase successiva all'annidamento dell'ovulo
nell'utero materno, mentre tali circostanze non si riscontrano con
nell'uso di metodiche anticoncezionali i cui effetti si esplicano
in una fase anteriore all'annidamento dell'ovulo.

Sentenza 30 giugno 2016, n.13435

Il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti
del possibile, con suoi genitori e di essere allevato nell'ambito
della propria famiglia, posto dall'art. 1 della l. n. 184 del
1983, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di
adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore
interesse, potendo tale diritto incontrare un limite solo nel caso in
cui la sua famiglia non sia in grado di prestare, in via non
transitoria, le cure necessarie, con conseguente
configurabilità di un endemico e radicale stato di abbandono,
in quanto i genitori irreversibilmente siano incapaci di allevare ed
educare i figli per totale inadeguatezza a prendersene cura. 

Sentenza 04 aprile 2016, n.650

Neel caso di specie, il ricorrente, nella veste di genitore della
persona cui è stata rifiutata l’interruzione del
trattamento di alimentazione e idratazione, ha diritto al risarcimento
sia del danno a titolo di erede, sia di quello iure proprio per
lesione del rapporto parentale. In ordine al danno di natura non
patrimoniale a titolo ereditario va evidenziato come il comportamento
della Regione ha leso il diritto fondamentale ad ottenere
l’interruzione del procedimento di alimentazione artificiale,
atteso che è stato riconosciuto in capo alla paziente, come
pure a ciascun individuo, il diritto assoluto a rifiutare le cure ad
essa somministrate in qualunque fase del trattamento e per qualunque
motivazione (cfr. Cass. Civ., I, 16 ottobre 2007, n. 21748, riferita
proprio al caso de quo), sul presupposto della sussistenza di
specifici presupposti (la cui verifica è stata affidata alla
Corte d’Appello di Milano che ha pronunciato il decreto in data 9
luglio 2008
). A fronte dei predetti provvedimenti
giurisdizionali che hanno accertato la sussistenza del diritto ad
ottenere l’interruzione del trattamento sanitario, il rifiuto
espresso con l’atto dirigenziale, contenente il diniego di
ricovero al fine di sospendere il trattamento di idratazione e
alimentazione artificiale – annullato con la sentenza di questo
Tribunale
n. 214 del 2009
, confermata dalla decisione del Consiglio
di Stato n. 4460 del 2014
–, ha determinato la lesione del
diritto fondamentale di autodeterminazione in ordine alla
libertà di scelta di non ricevere cure, oltre che della salute,
così come ricostruito nelle sentenze che li hanno riconosciuti
(c.d. diritto di staccare la spina: da ultimo, Cass.,
SS.UU, 22 dicembre 2015, n. 25767
), e la lesione del diritto
all’effettività della tutela giurisdizionale; le lesioni
sono state aggravate dalla circostanza che, nemmeno dopo la pronuncia
di questo Tribunale, la Regione ha messo a disposizione una struttura
per eseguire quanto statuito nelle diverse sedi giurisdizionali. Si
tratta poi di danno conseguenza, ossia di lesione che ha avuto degli
effetti, seppure di tipo non patrimoniale, giacché non è
stata rispettata la volontà del soggetto interessato –
per come ricostruita dalla Corte d’Appello – di voler
mettere fine ad un trattamento sanitario; ciò rappresenta una
palese violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost. (Corte costituzionale,
sentenza n. 438 del 2008; Cass. Civ., III, 12 giugno 2015, n.
12205). La quantificazione dei sopra richiamati danni, di tipo
non patrimoniale, che può avvenire soltanto attraverso una
valutazione in via equitativa (Cass. Civ., III, 23 gennaio 2014, n.
1361), va effettuata tenendo conto sia della natura dolosa del rifiuto
regionale, pur a fronte delle numerose iniziative giurisdizionali
intraprese, sfociate nel decreto della Corte d’Appello del 9
luglio 2008, sia del non brevissimo lasso di tempo – dalla
predetta pronuncia – che si è dovuto attendere prima
della interruzione del trattamento sanitario.

Sentenza 13 aprile 2016, n.84

A fronte, dunque, di quella che è stata definita “una
scelta tragica”, tra il rispetto del principio della vita (che
si racchiude nell’embrione ove pur affetto da patologia) e le
esigenze della ricerca scientifica – una decisione così
ampiamente divisa sul piano etico e scientifico, e che non trova
soluzioni significativamente uniformi neppure nella legislazione
europea – la linea di composizione tra gli opposti interessi,
che si rinviene nelle disposizioni censurate, attiene all’area
degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della
volontà della collettività, è chiamato a
tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori
fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle
istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato,
nella coscienza sociale. Compete dunque a
quest'ultimo la valutazione di opportunità (sulla base
anche delle “evidenze scientifiche” e del loro raggiunto
grado di condivisione a livello sovranazionale) in ordine: alla
utilizzazione, a fini di ricerca, dei soli embrioni affetti da
malattia – e da quali malattie – ovvero anche di quelli
scientificamente “non biopsabili”; alla selezione degli
obiettivi e delle specifiche finalità della ricerca
suscettibili di giustificare il “sacrificio”
dell’embrione; alla eventualità, ed alla determinazione
della durata, di un previo periodo di crioconservazione; nonchè
alla opportunità o meno (dopo tali periodi) di un successivo
interpello della coppia, o della donna, che ne verifichi la confermata
volontà di abbandono dell’embrione e di sua destinazione
alla sperimentazione; alle cautele più idonee ad evitare la
“commercializzazione“ degli embrioni residui.