Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 08 aprile 2014

Con la presente sentenza la seconda sezione della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che l’Ungheria abbia
violato gli artt. 9 e 11 CEDU nell’adottare una legislazione sul
riconoscimento delle confessioni religiose che ha privato le
confessioni ricorrenti dello status di cui godevano nella
vigenza della precedente legislazione e dei correlativi diritti.

In particolare, la Corte di Strasburgo ha statuito per la prima volta
che sussiste, in capo agli Stati, un obbligo positivo (positive
obligation
) di adottare un sistema di riconoscimento giuridico
delle comunità religiose che faciliti l’acquisizione
della personalità giuridica da parte di queste, precisando che
gli artt. 9 e 11 CEDU non garantiscono tuttavia il diritto ad ottenere
un determinato status.
È stato, inoltre,
statuito che l’art. 9 CEDU non attribuisce alle comunità
religiose il diritto ad ottenere sovvenzioni dallo Stato ma, allo
stesso tempo, pone un obbligo in capo a quest’ultimo di adottare
una legislazione non discriminatoria ove intenda accordare a
confessioni religiose contributi o altri vantaggi.
Nel
caso di specie i Giudici hanno ritenuto non compatibile con gli artt.
9 e 11 CEDU la legge ungherese n. CCVI del 2011 nella misura in cui ha
previsto due livelli di riconoscimento delle comunità religiose
(chiese giuridicamente riconosciute e organizzazioni svolgenti
attività religiose), attribuendo certi vantaggi solo alle
prime, ed ha degradato le confessioni religiose ricorrenti dallo
status di chiese, goduto nella vigenza della legislazione
previgente, a quello di organizzazioni svolgenti attività
religiose, disponendo altresì che lo status di chiesa
giuridicamente riconosciuta possa essere ottenuto solo previa
approvazione del Parlamento nazionale, col voto favorevole di due
terzi dei suoi componenti.
[La Redazione di OLIR.it ringrazia
per la segnalazione del documento e la stesura del relativo Abstract
Mattia F. Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore]

Sentenza 17 marzo 2014, n.14150/08

Le requérant est un ressortissant moldave né en 1973. Il
purge actuellement une peine de vingt-cinq ans d’emprisonnement
à la prison (Roumanie). Invoquant en particulier
l’article 9 (liberté de pensée, de conscience et
de religion), il se plaignait du fait que pendant sa détention
à la prison de Rahova d’avril à mai 1998 et du 9
au 21 février 2009, les autorités de la prison avaient
refusé de lui fournir l’alimentation
végétarienne imposée par ses convictions
bouddhistes.

Sentenza 07 gennaio 2014, n.77/07

In the case of Cusan and Fazzo v. Italy (application no. 77/07), which
is not final (during the three-months period following its delivery,
any party may request that the case be referred to the Grand Chamber
of the Court), the European Court of Human Rights held, by a majority,
that there had been: a violation of Article 14 (prohibition of
discrimination) of the European Convention on Human Rights, taken
together with Article 8 (right to respect for private and family) of
the Convention. The case concerned a challenge to transmission of the
father’s surname to his children. The Court held that the
decision to name a child based on transmission of the father’s
surname was based solely on discrimination on the ground of the
parents’ sex, and was incompatible with the principle of
non-discrimination [fonte: www.echr.coe.int – Press
release].

Sentenza 09 luglio 2013, n.2330/09

Con la presente sentenza, la _Grand Chamber_ della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, in riforma di una decisione della III Sezione (31
gennaio 2012)
[/areetematiche/documenti/documents/caseofsindicatulpastorulcelbunv.romaniasezione.pdf],
ha ritenuto che la Romania non abbia violato l’art. 11 CEDU nel non
riconoscere come sindacato il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_,
un’organizzazione sindacale costituita principalmente da sacerdoti
appartenenti alla Chiesa ortodossa rumena, oltre che da laici
dipendenti della stessa, la cui costituzione non era stata assentita
dall’autorità ecclesiastica (come, invece, richiesto dallo Statuto
della medesima Chiesa). In particolare, la Corte di Strasburgo ha
affermato che – a prescindere dalla qualificazione giuridica del
rapporto intercorrente tra la Chiesa ortodossa rumena ed i suoi preti
– tale rapporto, _de facto_, fa sorgere in capo a quest’ultimi un
diritto ad associarsi sindacalmente, protetto dall’art. 11 CEDU. Il
Collegio, tuttavia, ha ritenuto legittima una restrizione di tale
diritto, in considerazione del fatto che il riconoscimento del
sindacato ricorrente avrebbe comportato una violazione
dell’autonomia della Chiesa ortodossa rumena, garantita dall’art.
9 CEDU. Nel motivare la sua decisione, la Corte ha affermato che il
rispetto dell’autonomia delle confessioni religiose implica che lo
Stato debba accettare il diritto di tali confessioni a reagire –
secondo le proprie norme ed i propri interessi – a ogni movimento di
dissenso che emerga al loro interno e che possa mettere a repentaglio
la coesione, l’immagine o l’unità della confessione religiosa.
Ha, quindi, soggiunto che non è compito delle autorità nazionali
fungere da arbitro delle controversie tra le confessioni religiose e
le diverse fazioni dissidenti che esistono, o possono emergere,
all’interno delle confessioni stesse. I Giudici hanno, quindi,
ritenuto che sussista per i sacerdoti della Chiesa ortodossa rumena un
diritto ad iscriversi a, o a costituire, associazioni, purché queste
perseguano finalità compatibili con lo Statuto della medesima Chiesa
e non mettano in discussione la tradizionale struttura gerarchica
della Chiesa e le sue procedure decisionali. In conclusione, la Corte,
evidenziata l’assenza di un _consensus_ in materia a livello
europeo, ha ritenuto che sussista un ampio margine di apprezzamento da
parte dei diversi Stati nel decidere se riconoscere o meno i sindacati
che operano all’interno delle confessioni religiose e che perseguono
finalità che potrebbero limitare l’esercizio dell’autonomia delle
stesse confessioni. Nel caso specifico ha ritenuto che la Romania non
abbia oltrepassato tale margine di apprezzamento nel non riconoscere
il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_ e che, pertanto, la
restrizione dell’art. 11 CEDU non sia stata sproporzionata. [La
Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento e per
la stesura del relativo Abstract Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano]

Sentenza 12 febbraio 2013, n.29617/07

_L’affaire concerne la suppression totale du droit de visite
accordé à un père au motif que ses convictions religieuses étaient
préjudiciables à l’éducation de son fils. La Cour juge que les
tribunaux hongrois n’ont pas prouvé qu’il était dans
l’intérêt supérieur de l’enfant de voir supprimer tous ses
liens avec son père, lequel a dès lors subi une discrimination dans
l’exercice de son droit au respect de sa vie familiale._

Sentenza 14 maggio 2013, n.67810/10

The Court considered that Ms Gross’ wish to be provided with a
lethal dose of medication allowing her to end her life fell within the
scope of her right to respect for her private life under Article 8.
The Court concluded that Swiss law, while providing the possibility of
obtaining a lethal dose of a drug on medical prescription, did not
provide sufficient guidelines ensuring clarity as to the extent of
this right. There had accordingly been a violation of Article 8 of the
Convention in that respect.

Sentenza 19 febbraio 2013, n.19010/07

L’impossibilité d’accès à
l’adoption coparentale pour les couples homosexuels en Autriche
est discriminatoire en comparaison avec la situation des couples
hétérosexuels non maries. La Cour européenne des
droits de l’homme conclut: à la majorité, à
la violation de l’article 14 (interdiction de la discrimination)
combiné avec l’article 8 (droit au respect de la vie
privée et familiale) de la Convention européenne des
droits de l’homme en raison de la différence de
traitement subie par les requérants pour autant que l’on
compare leur situation avec celle d’un couple
hétérosexuel non marié dont l’un des
membres aurait souhaité adopter l’enfant de
l’autre. Elle a jugé que le Gouvernement n’avait
pas fourni de raisons convaincantes propres à établir
que la différence de traitement litigieuse était
nécessaire à la préservation de la famille ou
à la protection de l’intérêt de
l’enfant.

Sentenza 31 gennaio 2013, n.25502/07

Con tre sentenze gemelle (oltre alla presente: Sentenza Association
Cultuelle du Temple Pyramide c. France, n. 50471/07, 31 gennaio 2013
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6027]; Sentenza
Association des Chevalier du Lotus d’Or c. France, n. 50615/07, 31
gennaio 2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6026]),
conformi alla precedente sentenza del 30 giugno 2011 resa
nell’Affaire Association Les Témoins de Jéhovah c. France
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5646], la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto contrastante con l’art.
9 CEDU l’imposizione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria
francese, del «droit de donation» ai «dons manuels» in favore di
tre nuovi movimenti religiosi (Eglise Evangélique Missionaire,
Association Cultuelle du Temple Pyramide e Association des Chevalier
du Lotus d’Or), imposizione motivata dal fatto che gli stessi non
sarebbero riconducibili al novero delle «associations cultuelles» o
delle «congregations autorisées» e, quindi, non potrebbero godere
dell’esenzione prevista per quest’ultime. La Corte di Strasburgo
ha affermato che il diritto di ricevere donazioni di modico valore è
ricompreso nel diritto di libertà religiosa in quanto tali donazioni
rappresentano una fonte di finanziamento naturale per le confessioni
religiose (in tal senso anche l’art. 6, lett. f), della UN
Declaration on the Elimination of All Forms of Intolerance and of
Discrimination Based on Religion or Belief ed il principio 16.4 del
Documento conclusivo della Riunione di Vienna della CSCE). Nel caso
concreto la sentenza ha ritenuto che l’entità del tributo richiesto
e delle sanzioni irrogate (in conseguenza dell’omesso versamento
dell’imposta in questione da parte delle confessioni religiose
ricorrenti) abbia costituito una limitazione di tale diritto e che
ciò sia avvenuto in assenza di una previsione di legge specifica e
prevedibile circa l’assoggettabilità al «droit de donation» dei
«dons manuels» effettuati in favore dei nuovi movimenti religiosi
ricorrenti. La Corte ha, poi, ritenuto assorbito l’altro motivo di
ricorso con cui veniva denunciata una disparità di trattamento (in
violazione dell’art. 14 CEDU) delle confessioni religiose ricorrenti
rispetto ad altre, in conseguenza dell’attività del Parlamento e
del Governo francese contro le «dérives sectaires». (La Redazione
di OLIR.it ringrazia per la stesura dell’Abstract Mattia Francesco
Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

Sentenza 31 gennaio 2013, n.50471/07

Con tre sentenze gemelle (oltre alla presente: Sentenza Eglise
Evangélique Missionaire et Salaûn c. France, n. 25502/07, 31 gennaio
2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6028]; Sentenza
Association des Chevalier du Lotus d’Or c. France, n. 50615/07, 31
gennaio 2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6026]),
conformi alla precedente sentenza del 30 giugno 2011 resa
nell’Affaire Association Les Témoins de Jéhovah c. France
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5646], la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto contrastante con l’art.
9 CEDU l’imposizione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria
francese, del «droit de donation» ai «dons manuels» in favore di
tre nuovi movimenti religiosi (Eglise Evangélique Missionaire,
Association Cultuelle du Temple Pyramide e Association des Chevalier
du Lotus d’Or), imposizione motivata dal fatto che gli stessi non
sarebbero riconducibili al novero delle «associations cultuelles» o
delle «congregations autorisées» e, quindi, non potrebbero godere
dell’esenzione prevista per quest’ultime. La Corte di Strasburgo
ha affermato che il diritto di ricevere donazioni di modico valore è
ricompreso nel diritto di libertà religiosa in quanto tali donazioni
rappresentano una fonte di finanziamento naturale per le confessioni
religiose (in tal senso anche l’art. 6, lett. f), della UN
Declaration on the Elimination of All Forms of Intolerance and of
Discrimination Based on Religion or Belief ed il principio 16.4 del
Documento conclusivo della Riunione di Vienna della CSCE). Nel caso
concreto la sentenza ha ritenuto che l’entità del tributo richiesto
e delle sanzioni irrogate (in conseguenza dell’omesso versamento
dell’imposta in questione da parte delle confessioni religiose
ricorrenti) abbia costituito una limitazione di tale diritto e che
ciò sia avvenuto in assenza di una previsione di legge specifica e
prevedibile circa l’assoggettabilità al «droit de donation» dei
«dons manuels» effettuati in favore dei nuovi movimenti religiosi
ricorrenti. La Corte ha, poi, ritenuto assorbito l’altro motivo di
ricorso con cui veniva denunciata una disparità di trattamento (in
violazione dell’art. 14 CEDU) delle confessioni religiose ricorrenti
rispetto ad altre, in conseguenza dell’attività del Parlamento e
del Governo francese contro le «dérives sectaires». (La Redazione
di OLIR.it ringrazia per la stesura dell’Abstract Mattia Francesco
Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

Sentenza 31 gennaio 2013, n.50615/07

Con tre sentenze gemelle (oltre alla presente: Sentenza Eglise
Evangélique Missionaire et Salaûn c. France, n. 25502/07, 31 gennaio
2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6028]; Sentenza
Association Cultuelle du Temple Pyramide c. France, n. 50471/07, 31
gennaio 2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6027]),
conformi alla precedente sentenza del 30 giugno 2011 resa
nell’Affaire Association Les Témoins de Jéhovah c. France
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5646], la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto contrastante con l’art.
9 CEDU l’imposizione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria
francese, del «droit de donation» ai «dons manuels» in favore di
tre nuovi movimenti religiosi (Eglise Evangélique Missionaire,
Association Cultuelle du Temple Pyramide e Association des Chevalier
du Lotus d’Or), imposizione motivata dal fatto che gli stessi non
sarebbero riconducibili al novero delle «associations cultuelles» o
delle «congregations autorisées» e, quindi, non potrebbero godere
dell’esenzione prevista per quest’ultime. La Corte di Strasburgo
ha affermato che il diritto di ricevere donazioni di modico valore è
ricompreso nel diritto di libertà religiosa in quanto tali donazioni
rappresentano una fonte di finanziamento naturale per le confessioni
religiose (in tal senso anche l’art. 6, lett. f), della UN
Declaration on the Elimination of All Forms of Intolerance and of
Discrimination Based on Religion or Belief ed il principio 16.4 del
Documento conclusivo della Riunione di Vienna della CSCE). Nel caso
concreto la sentenza ha ritenuto che l’entità del tributo richiesto
e delle sanzioni irrogate (in conseguenza dell’omesso versamento
dell’imposta in questione da parte delle confessioni religiose
ricorrenti) abbia costituito una limitazione di tale diritto e che
ciò sia avvenuto in assenza di una previsione di legge specifica e
prevedibile circa l’assoggettabilità al «droit de donation» dei
«dons manuels» effettuati in favore dei nuovi movimenti religiosi
ricorrenti. La Corte ha, poi, ritenuto assorbito l’altro motivo di
ricorso con cui veniva denunciata una disparità di trattamento (in
violazione dell’art. 14 CEDU) delle confessioni religiose ricorrenti
rispetto ad altre, in conseguenza dell’attività del Parlamento e
del Governo francese contro le «dérives sectaires». (La Redazione
di OLIR.it ringrazia per la stesura dell’Abstract Mattia Francesco
Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)