Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 18 giugno 2018, n.16031/18

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’essere
un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale
(Onlus) non dimostra necessariamente la natura non imprenditoriale
dell’organizzazione; infatti, laddove l’organizzazione di
tendenza eserciti un’attività strutturata a modo di
impresa, alla stregua dei parametri fissati dall'art. 2082 c.c.,
essa finisce per non essere dissimile da qualunque altro datore di
lavoro, così che un trattamento privilegiato, di esclusione
dell’operatività della tutela reale per i lavoratori in
caso di licenziamento, non sarebbe giustificabile. 

Sentenza 17 aprile 2018

Nella pronuncia relativa alla causa
C‑414/16, la Corte di Giustizia ha affermato
che "qualora una Chiesa o un’altra organizzazione la
cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni
personali alleghi, a sostegno di un atto o di una decisione quale il
rigetto di una candidatura a un posto di lavoro al suo interno, che,
per la natura delle attività di cui trattasi o per il contesto
in cui tali attività devono essere espletate, la religione
costituisce un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo
svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto
dell’etica di tale Chiesa o di tale organizzazione, una siffatta
allegazione deve, se del caso, poter essere oggetto di un controllo
giurisdizionale effettivo".
Secondo la Corte,
l'’art. 4, par. 2 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio
è da interpretarsi nel senso che "il requisito
essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento
dell’attività lavorativa ivi previsto rinvia a un
requisito necessario e oggettivamente dettato, tenuto conto
dell’etica della Chiesa o dell’organizzazione di cui
trattasi, dalla natura o dalle condizioni di
esercizio dell’attività professionale in questione,
e non può includere considerazioni estranee a tale etica o
al diritto all’autonomia di detta Chiesa o di detta
organizzazione. Tale requisito deve essere conforme al principio
di proporzionalità".

Fonte del
documento: https://eur-lex.europa.eu

La redazione di OLIR.it ringrazia il Professor Nicola Colaianni per la
segnalazione del documento.

Sentenza 11 gennaio 2012

La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha esplicitamente
riconosciuto la così detta “eccezione ministeriale”, una clausola,
fondata sul primo emendamento, che esenta le organizzazioni religiose
dall’applicazione delle leggi anti-discriminazione in materia di
lavoro per i propri dipendenti con incarichi di ministri di culto.
Nella fattispecie è stata confermata la legittimità del
licenziamento da parte di una Scuola luterana del Michigan, di una
insegnante assunta nella scuola come “minister”. In base a quanto
stabilito dal primo emendamento, infatti, lo Stato non può ingerirsi
negli affari interni di una confessione religiosa, imponendo ad essa
la reintegra nel posto di un lavoro di un proprio ministro di culto,
che svolge le funzioni di insegnante di religione.
In proposito: Dossier Pew Forum
[http://www.pewforum.org/Church-State-Law/The-Supreme-Court-Takes-Up-Church-Employment-Disputes-and-the-%E2%80%9CMinisterial-Exception%E2%80%9D.aspx]

Sentenza 03 febbraio 2011, n.18136/02

Il licenziamento senza preavviso di una educatrice d’infanzia
impiegata presso un asilo di una parrocchia protestante, a motivo
dell’appartenenza della dipendente ad una confessione religiosa
diversa da quella dell’istituzione presso cui lavora, non
costituisce violazione dell’art. 9 CEDU, in quanto è espressione
dell’autonomia dell’organizzazione religiosa che ha fatto
sottoscrivere in sede di firma del contratto una clausola di lealtà
all’istituzione di tendenza.
Nel caso di specie, la ricorrente, divenuta membro della Chiesa
Universale/Fraternità dell’Umanità ed assunte in questa
organizzazione delle attività di iniziazione e diffusione del
messaggio religioso, lamenta l’illegittimità del licenziamento
subito ad opera della parrocchia protestante presso cui lavora come
educatrice e la violazione del suo diritto di libertà religiosa. La
Corte afferma che quando si tratta di controversie tra individuo e
confessione religiosa organizzata, l’applicazione dell’art. 9 deve
essere coordinata con l’art. 11 CEDU che, sancendo la libertà di
associazione, riconosce l’autonomia  di tali comunità a garanzia
del pluralismo nelle società democratiche e dello stesso godimento
effettivo delle libertà di cui all’art. 9. Pertanto, le autorità
giudiziarie nazionali del lavoro, adite in una serie di ricorsi
interni dalla ricorrente, hanno rispettato quell’autonomia,
ritenendo che il contratto di lavoro stipulato dalla ricorrente non le
consentiva né di appartenere né partecipare alle attività di
un’organizzazione confessionale con finalità incompatibili con
quelle dell’organizzazione presso cui lavorava, la quale “pouvait
imposer à ses employés de s’abstenir d’activités mettant en
doute leur loyauté envers elle et d’adopter une conduite
professionnelle et privée conforme à ces exigences”. Le
giurisdizioni nazionali, d’altra parte, nel rispetto
dell’autonomia confessionale, non possono spingersi ad un giudizio
nel merito della compatibilità tra finalità religiose
dell’organizzazione di appartenenza della ricorrente e finalità
proprie della Chiesa protestante datrice di lavoro, ma devono
limitarsi a verificare che il licenziamento ad opera di quest’ultima
non abbia violato i principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico, come ad esempio imporre ai propri impiegati clausole di
lealtà inaccettabili. Nel momento in cui ha sottoscritto il
contratto, la ricorrente poteva rendersi perfettamente conto
dell’incompatibilità tra la sua appartenenza alla “Chiesa
Universale” e l’impiego presso la Chiesa protestante, la quale, in
quanto organizzazione fondata sull’etica e la religione, può
legittimamente pretendere dai propri impiegati doveri di lealtà, per
preservare la propria credibilità all’esterno e nei confronti dei
genitori degli allievi dell’asilo parrocchiale. Tenuto conto del
margine di apprezzamento delle giurisdizioni statali nel bilanciamento
concreto tra una pluralità di interessi individuali, la Corte ritiene
che l’art. 9 CEDU non impone allo stato tedesco di predisporre per
la ricorrente una tutela maggiore di quella prevista dalle autorità
nazionali, che non hanno riscontrato alcuna violazione dell’art. 9
CEDU.

Sentenza 23 settembre 2010, n.425/03

Nel caso di un dipendente di una confessione religiosa, licenziato per
motivi riguardanti la sfera privata (nel caso di specie: aver avuto
una relazione extra-coniugale), occorre operare un bilanciamento tra i
diritti delle parti: l’esigenza di lealtà all’organizzazione di
tendenza, da un lato, e il diritto alla vita privata e familiare,
dall’altro. Nel caso di specie, il licenziamento appare giustificato
se si considera la peculiarità delle mansioni esercitate dal
ricorrente, responsabile delle pubbliche relazioni in Europa per la
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Chiesa Mormone),
e la particolare importanza attribuita dalla Chiesa in questione alla
fedeltà matrimoniale. Si trattava, perciò, di un licenziamento reso
necessario dalla esigenza di preservare la credibilità della Chiesa
Mormone e il dovere di lealtà da parte dei dipendenti risultava
chiaramente dal contratto stipulato tra la Chiesa e il ricorrente; non
risulta violato l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata
e familiare).
Con questa sentenza (insieme alla “Schüth c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5491]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Sentenza 23 settembre 2010, n.1620/03

Nel rapporto di lavoro con un ente ecclesiastico (nella specie, una
parrocchia cattolica), il dipendente, firmando il suo contratto di
lavoro, accetta un dovere di lealtà verso la Chiesa e una
certa limitazione del proprio diritto al rispetto della vita privata
(sancito dall’art. 8 CEDU). Tale limitazione, tuttavia,
risulta consentita ai sensi della CEDU se liberamente accettata. Nel
caso di specie, la Corte ritiene che il dovere di lealtà non si
spinga fino al punto di obbligare il ricorrente (un organista in una
parrocchia di Essen) ad un impegno a vivere in astinenza in caso di
separazione o di divorzio; inoltre, a differenza del caso Obst c.
Germania (dove il dipendente licenziato aveva compiti di
rappresentanza e diffusione del credo della Chiesa Mormone), il
ricorrente non appare tenuto, in forza delle mansioni esercitate, a un
dovere di fedeltà particolarmente stringente. Risulta perciò violato
l’art. 8 della CEDU. Nelle sue conclusioni, la Corte ha tenuto conto
anche della difficoltà del ricorrente a trovare un nuovo impiego dopo
il licenziamento da parte della parrocchia cattolica, visto il
carattere specifico del suo lavoro. 
Con questa sentenza (insieme alla “Obst c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5492]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Sentenza 29 dicembre 1972, n.195

I requisiti dell’indipendenza e della sovranita’ riconosciuti
dall’art. 7 della Costituzione sia allo Stato che alla Chiesa
riflettono il carattere originario dei due ordinamenti. Ma la
separazione e la reciproca indipendenza non escludono che un
regolamento dei rapporti dei due ordinamenti sia sottoponibile a
disciplina pattizia, alla quale legittimamente puo’ risalire la
rilevanza di atti promananti da una delle due parti, purche’ non siano
tali da porre in essere nei confronti dello Stato italiano situazioni
giuridiche incompatibili con i principi supremi del suo ordinamento
costituzionale, ai quali le norme pattizie non possono essere
contrarie. L’art. 38 del Concordato, che sottopone al nulla osta della
S. Sede la nomina dei professori della Universita’ cattolica,
sollevata per presunta violazione dell’art. 7 Cost. sotto il profilo
della violazione della sovranita’ dello Stato che deriverebbe dalla
subordinazione al “placet” dell’Autorita’ ecclesiastica nella materia
dell’insegnamento, non contrasta col menzionato principio
costituzionale.

Sentenza 16 giugno 1994, n.5832

La particolare disciplina in tema di conseguenze del licenziamento
illegittimo intimato da una organizzazione di tendenza, prevista
dall’art. 4 della legge 11 maggio 1990 n. 108 – che ha escluso,
anche nel caso di superamento del livello occupazionale fissato
dall’art. 2 della legge cit., l’applicazione della tutela reale
nell’ipotesi di recesso intimato da datori di lavoro non
imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura
politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di
culto – non si applica nelle ipotesi di licenziamento ideologico
nullo, in relazione al quale, a norma dell’art. 3 della legge cit.,
opera comunque la tutela reale, qualunque sia il numero dei dipendenti
occupati dal datore di lavoro.
In tema di organizzazioni di tendenza il licenziamento ideologico,
collegato cioè all’esercizio, da parte del prestatore di lavoro, di
diritti costituzionalmente garantiti, quali la libertà di opinione,
la libertà di religione e, nel campo scolastico, la libertà di
insegnamento, è lecito negli stretti limiti in cui esso sia
funzionale a consentire l’esercizio di altri diritti
costituzionalmente garantiti, quali la libertà dei partiti politici e
dei sindacati, la libertà religiosa e la libertà della scuola e
nelle sole ipotesi in cui l’adesione ideologica costituisca
requisito della prestazione. In particolare, con riferimento a scuole
gestite da enti ecclesiastici, la cui istituzione non contrasta con
l’art. 33 della Costituzione, l’esigenza di tutela della tendenza
confessionale della scuola si pone solo in relazione a quegli
insegnamenti che caratterizzano tale tendenza; non può pertanto
ritenersi legittimo il licenziamento intimato da un istituto di
istruzione religioso di confessione cattolica ad un proprio insegnante
laico di educazione fisica per avere questi contratto matrimonio col
rito civile e non con quello religioso, in quanto la materia insegnata
prescinde completamente dall’orientamento ideologico del docente ed
è indifferente rispetto alla tendenza della scuola.