Ludovica Decimo, La “stagione” dei protocolli sanitari tra Stato e confessioni religiose
La c.d. “Fase 2” recentemente inaugurata dal Governo italiano si è aperta all’insegna di un intenso dialogo con le confessioni religiose, al fine di consentire la graduale ripresa delle attività di culto collettive nel pieno rispetto delle misure di sicurezza necessarie a fronteggiare l’epidemia da Covid-19.
Come auspicato nel comunicato pubblicato dai docenti dell’Università degli Studi della Campania – Luigi Vanvitelli il 29 aprile 2020[1] e da una parte della dottrina[2], le istituzioni italiane hanno infatti adottato il metodo della concertazione tra Stato e confessioni religiose.
Nel corso della seduta della Camera dei Deputati n. 335 del 6 maggio 2020 è stata approvata la proposta emendativa n. 1.50, la quale propone l’introduzione all’art. 1 del Decreto-Legge n. 19 del 2020, della lett. h-bis). L’emendamento prevede l’adozione di «protocolli sanitari d’intesa con la Chiesa cattolica e con le confessioni religiose diverse dalla cattolica per la definizione delle misure necessarie ai fini dello svolgimento delle funzioni religiose in condizioni di sicurezza».
Nel rispetto del principio di bilateralità sancito agli artt. 7 e 8 della Costituzione, lo Stato e le confessioni religiose devono cooperare proficuamente per la definizione di un protocollo sanitario operativo che favorisca la ripresa delle celebrazioni religiose collettive. Il primo di tali protocolli è stato definito dalla Conferenza Episcopale Italiana e dallo Stato il 7 maggio 2020 ed ha individuato le misure di sicurezza che le autorità religiose dovranno adottare durante i riti cattolici.
Il Ministero dell’Interno ha altresì avviato il dialogo con le confessioni religiose acattoliche. Il 5 maggio 2020 è stata infatti organizzata una riunione telematica tra il capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e i rappresentati di alcune confessioni religiose.
All’esito di tale incontro è stata definita una bozza di protocollo la quale prevede la possibilità di celebrare funzioni religiose nel rispetto di tutte le norme precauzionali previste in tema di contenimento dell’emergenza epidemiologica. I fedeli dovranno indossare i dispositivi di protezione individuale e mantenere le distanze interpersonali. Le autorità religiose hanno altresì la responsabilità di individuare forme idonee di celebrazione dei riti allo scopo di garantire il distanziamento interpersonale, in ogni caso il numero massimo di partecipanti dovrà essere fissato nella misura di una persona ogni 4 mq. Le celebrazioni religiose dovranno svolgersi in tempi contenuti. Prima di ogni celebrazione i luoghi di culto dovranno essere sanificati e dovranno essere disponibili, per coloro che ne fossero sprovvisti, guanti, mascherine e disinfettanti. Un incaricato della sicurezza esterna, munito di un distintivo, avrà il compito di vigilare sul rispetto del distanziamento sociale e di limitare eventualmente l’accesso al luogo di culto. Tali linee guida sono chiaramente provvisorie in quanto il Dipartimento ha invitato le confessioni religiose a far pervenire, nel più breve tempo possibile, riflessioni e eventualmente proposte di modifica.
La prassi apparentemente adottata dagli organi ministeriali è stata quella di definire un unico “accordo quadro” con tutte le confessioni religiose acattoliche, indipendentemente dal fatto che abbiano stipulato o meno un’intesa ai sensi dell’art. 8, comma 3 Cost. È evidente che tale scelta, pur sollevando alcune perplessità, è dettata dall’esigenza di definire nel più breve tempo possibile le modalità di ripresa di tutte le attività di culto collettive. Occorre, tuttavia, tener presente delle differenti ritualità religiose che caratterizzano i singoli ordinamenti confessionali. L’attuazione in concreto delle misure concordate deve inevitabilmente essere demandata alle confessioni religiose, non potendo lo Stato in alcun modo intereferire con le materie di loro esclusiva competenza. Le religioni dovranno temporaneamente adeguare le proprie ritualità alle misure di sicurezza concordate. Resta in ogni caso salva la possibilità, come prospettata anche dall’emendamento sopra citato, di successivi e maggiormente ponderati protocolli operativi con le singole confessioni religiose per le altre fasi dell’emergenza.
La Confederazione Islamica Italiana, dopo tale incontro, ha pubblicato un comunicato con il quale invita le comunità locali a valutare le reali possibilità di riprendere le attività di culto, nel rispetto delle misure di sicurezza previste dal Governo. Tale richiesta ha lo scopo di evidenziare eventuali criticità che potrebbero sorgere nell’applicazione in concreto del protocollo. Il documento manifesta altresì opportune perplessità in relazione alla sostenibilità economica delle misure ipotizzate.
I provvedimenti restrittivi della libertà religiosa hanno ridotto l’afflusso dei fedeli ai luoghi di culto e inibito la loro partecipazione alle funzioni, determinando così un calo del flusso finanziario delle comunità religiose. Gli enti religiosi, in particolare quelli afferenti alle confessioni prive di intesa, fronteggiano le spese di ordinaria gestione dei luoghi di culto (canoni di locazione, manutenzione, ecc…) attraverso le sole oblazioni volontarie dei fedeli. Ad oggi, alcune comunità religiose si trovano nella quasi totale impossibilità di far fronte ai costi di gestione degli edifici di culto. Tali costi, dopo l’adozione del protocollo sanitario, sono inevitabilmente destinati ad aumentare per effetto delle misure di sicurezza concordate (si pensi, ad esempio, ai costi della sanificazione tra una funzione religiosa ed un’altra).
Sembrerebbe opportuno, dunque, che unitamente alla definizione di protocolli sanitari per l’esercizio delle attività di culto si elaborino anche misure di sostegno economico a favore delle comunità religiose. Ciò è assolutamente necessario per evitare che tanti enti religiosi si trovino nella condizione di non poter aprire le porte dei luoghi di culto ai propri fedeli e celebrare le funzioni religiose.
Dalla lettura combinata degli artt. 2, 7, 8, 19 e 20 della Carta Costituzionale discende, infatti, in capo al legislatore un chiaro dovere di tutelare e promuovere in concreto la libertà religiosa. Tale dovere, in questo caso, può concretizzarsi nella previsione di norme che favoriscano le condizioni fattuali necessarie per l’esercizio della libertà di culto.
La Costituzione delinea un chiaro favor religionis[3], il quale ha lo scopo «di rimarcare il valore promozionale della libertà religiosa, come “prima” libertà, non in funzione di privilegio, ma di anticipo e sostegno di tutte le libertà»[4]. La libertà religiosa concorre, insieme ad altri fattori, al «pieno sviluppo della persona umana» (obiettivo dell’art. 3, 2° comma Cost.) e al «progresso spirituale della società» (obiettivo indicato, insieme al progresso materiale, all’art. 4, 2° comma Cost.)[5].
Ludovica Decimo, Università della Campania Luigi Vanvitelli
ludovica.decimo@unicampania.it
__________________________________________________
[1] Comunicato dell’Università degli Studi della Campania – Luigi Vanvitelli dal titolo “In difesa della bilateralità pattizia nell’equilibrio tra diritto emergenziale e libertà religiosa” del 29 aprile 2020.
[2] A. Fuccillo, M. Abu Salem, L. Decimo, Fede interdetta? L’esercizio della libertà religiosa collettiva durante l’emergenza COVID-19: attualità e prospettive, in Calumet – intercultural law and humanities review, Rivista Telematica (www.calumet-review.it), 4 aprile 2020; V. Pacillo, Il diritto di ricevere i sacramenti di fronte alla pandemia. Ovvero, l’emergenza da COVID-19 e la struttura teologico-giuridica della relazione tra il fedele e la rivelazione della Grazia, disponile al sito web www.olir.it, 6 Aprile 2020; A. Fuccillo, La religione “contagiata” dal virus? La libertà religiosa nella collaborazione Stato-Chiesa nell’emergenza covid-19, disponibile al sito web www.olir.it, 21 aprile 2020.
[3] Giuseppe Dalla Torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2014, p. 40, il quale fa riferimento al «fatto che il Costituente ha voluto riservare una peculiare attenzione al fatto religioso, sia esso considerato sotto il profilo individuale che sotto quello collettivo, sia esso visto nella dimensione positiva che in quella negativa. Insomma, il fatto religioso ha una particolare rilevanza sul piano costituzionale perché il Costituente […] ha discrezionalmente ritenuto quelle qualificate nel senso religioso meritevoli di specifica tutela».
[4] La citazione è di Salvatore Berlingò, Enti e beni religiosi in Italia, Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 12-13.
[5] Così M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2010, p. 87.