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    Miriam Abu Salem, L’Islam italiano e le regole religiose di fronte all’emergenza del COVID-19: “L’avversità si accompagna alla buona sorte” (Cor 94, 5-6)

    13 Marzo 2020

    Le stringenti misure di contrasto alla diffusione del coronavirus hanno inciso anche sul godimento del diritto di libertà religiosa. L’assoggettamento dell’apertura dei luoghi di culto all’adozione di misure  organizzative  tali  da  evitare  assembramenti  di  persone e da garantire il rispetto della distanza di sicurezza tra i fedeli, e la sospensione di tutte le cerimonie religiose – incluso quelle funebri – ha spinto le religioni a ridefinire i tempi e le modalità di esercizio del culto.

    Anche l’Islam italiano, nel rispetto di quanto stabilito dalle autorità statali, ha indicato ai propri fedeli la via da seguire per tutelare la salute individuale e collettiva. In questo senso vanno la temporanea chiusura dei centri islamici, la sospensione di tutte le attività ordinarie e straordinarie, come le orazioni quotidiane, la preghiera del venerdì, le prediche, le conferenze, le lezioni e ogni altra attività culturale, conviviale o ludica. Tali divieti sono stati accompagnati da una serie di consigli igienico-sanitari come la sanificazione di tutti i locali e il divieto di stringersi la mano durante il saluto e di limitarsi al saluto verbale di pace. Così hanno disposto la fatwa recante Raccomandazioni e istruzioni alla luce degli aggiornamenti riguardo l’allerta “Coronavirus” dell’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose, nonché la Circolare dell’Unione delle Comunità Islamiche recante Disposizioni emergenza Coronavirus per le comunità islamiche d’Italia.

    Le regole appena richiamate, oltre a porsi in linea con la normativa statale, trovano piena legittimazione all’interno dei testi sacri. Ciò è chiaramente deducibile, in primo luogo, da uno dei principi fondamentali della religione islamica, quello della sacralità della vita (Cor 5, 32 “[…] chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia ucciso un’altra o portato la corruzione sulla terra, è come se avesse ucciso l’umanità intera. E chiunque avrà vivificato una persona sarà come se avesse dato vita all’umanità intera”), da cui deriva l’obbligo per l’essere umano di salvaguardare la propria integrità psicofisica. L’importanza dell’essere umano, vicario di Dio in terra, è dimostrata dall’elevato numero di disposizioni poste a tutela della salute e della cura del corpo e dello spirito. Secondo un detto del Profeta “La pulizia è parte della fede”. Per tale ragione il fedele musulmano è tenuto a lavarsi faccia e mani prima di ogni preghiera (Cor 5, 6 “O voi che credete! Quando vi levate per la preghiera, lavatevi il volto, le mani [e gli avambracci] fino ai gomiti, passate le mani bagnate sulla testa e lavate i piedi fino alle caviglie”) e a compiere un lavaggio dell’intero corpo in certe occasioni (tutti i venerdì prima di recarsi in moschea). La normativa igienica non riguarda soltanto gli atti di culto ma si applica anche alla quotidianità del vivere.

    Vanno lette in questo senso, ad esempio, la raccomandazione di tagliarsi le unghie delle mani e dei piedi, di pettinare barba e capelli, di lavare le mani prima e dopo i pasti e di pulire con cura i denti e le vesti (Cor 74, 4 “Purifica le tue vesti”).

    La normativa igienico-sanitaria deve essere letta in stretta correlazione con altri principi:

    • l’Islam intende ‘facilitare’ e non ‘ostruire’ la vita del fedele e della comunità (Cor 4, 28 “Dio vuole rendervi leggeri i pesi perché l’uomo è stato creato debole”);
    • in stato di necessità, qualora cioè la vita dell’individuo sia in estremo pericolo, è possibile infrangere la Legge (Cor 16, 115 “[…] Quanto a chi vi è costretto, senza desiderarlo e senza avere l’intenzione di peccare, ebbene Dio è indulgente e compassionevole”);
    • centralità del principio del beneficio pubblico (maṣlaḥa) secondo cui l’interesse della comunità è prioritario rispetto a quello del singolo individuo.

    Tali regole, di per sé, consentirebbero già di derogare agli obblighi religiosi, data l’attuale situazione di emergenza che mette a repentaglio la sopravvivenza degli individui. Questa ipotesi trova peraltro una ulteriore conferma in un suggerimento del Profeta secondo cui, in caso di epidemie, bisognerebbe evitare di fuggire dalla zona di contagio (“Se ne avete notizia [Muhammad faceva riferimento alla peste, e per estensione alle malattie infettive contagiose] in una qualche terra, non avvicinatevi ad essa. E se capitasse nella terra in cui siete, non allontanatevi”) al fine di contenerne quanto più possibile la diffusione.

    L’importanza che la visione islamica attribuisce alla tutela della salute individuale e collettiva finisce così per prevalere anche sul dovere di adempiere alla preghiera collettiva. Al fine di preservare la comunità e i musulmani da un male o da un indebolimento del corpo, la jumaat potrebbe essere sostituita dalla preghiera obbligatoria di mezzogiorno, da recitare a casa e con i familiari. D’altro canto nell’Islam assume rilevanza centrale non soltanto l’adempimento pratico/esteriore delle prescrizioni religiose quanto piuttosto la nyya – la reale intenzione -, la cui assenza vanifica le azioni compiute.

    Laddove però l’emergenza dovesse perdurare a lungo potrebbero porsi nuovi e ben più gravi problemi con riferimento al rispetto degli altri atti di culto. Si pensi ad esempio all’adempimento del pellegrinaggio rituale che, com’è noto, può essere compiuto solo nel mese di Dhū l-Ḥijja (l’Arabia Saudita ha vietato la ʿumra – il piccolo pellegrinaggio – e ha contestualmente compiuto opere di sanificazione dei siti sacri) o all’ifṭār, pasto serale con cui si interrompe il digiuno nel mese di Ramadan e che costituisce un momento di incontro e condivisione tra i fedeli.

    Miriam Abu Salem, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”

    miriam.abusalem@unicampania.it

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