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    Miriam Abu Salem – Ludovica Decimo, La libertà religiosa in Italia ai tempi del Covid-19. Una ricostruzione ragionata a partire dal webinar del 30 aprile

    25 Maggio 2020

    In assenza (e in attesa) di una cura efficace nella lotta al Covid-19, il contenimento dell’epidemia è stato realizzato perlopiù attraverso un drastico contingentamento dei diritti di libertà, individuali e collettivi. Tali limitazioni hanno inevitabilmente inciso anche sul diritto di libertà religiosa e, in particolare sull’esercizio del culto pubblico. Le questioni appena richiamate hanno generato un ampio dibattito in dottrina, come dimostrato dal webinar “La libertà religiosa in Italia ai tempi del Covid-19”, organizzato dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, con la partecipazione dell’Università degli Studi di Salerno e dell’Università della Campania. L’evento, coordinato da Vincenzo Pacillo, oltre ad approfondire gli aspetti maggiormente problematici legati alla compressione dei diritti ha provato ad ipotizzare soluzioni per un ritorno alla normalità.

    Antonio Fuccillo ha evidenziato come sotto il profilo del dibattito giuridico, la fase emergenziale ha manifestato tre step fondamentali: il primo, “emozionale”, durante il quale anche i giuristi non si sono interrogati molto sulla congruità dei DPCM; il secondo contrassegnato dalla rassegnazione che ha indotto gli interpreti a ragionare sui provvedimenti; l’ultimo è stato quello che ancora oggi viviamo della riflessione accademica.

    Tale situazione di emergenza, come ben sottolineato da Angelo Licastro, rappresenta uno “stress test” della Carta costituzionale, dal momento che la normativa emergenziale in vigore consente di verificare la capacità di tenuta delle norme costituzionali (anche) in materia religiosa. Sebbene la dottrina ritenga, in maniera pressoché unanime, che allo stato attuale non si possa parlare di violazione delle regole della democrazia, esistono posizioni assai divergenti circa la legittimità dei DPCM di apportare limitazioni alle libertà fondamentali.

    Secondo Pierluigi Consorti, posto che la situazione attuale è qualitativamente eccezionale e, come tale, neppure ipotizzabile al momento della stesura della Carta Costituzionale – è stato a tal proposito auspicato un ripensamento dell’art. 78 della Costituzione, nel senso di introdurre una definizione di stato di emergenza che sia inclusivo delle improvvise avversità sanitarie ed ambientali cui corrisponde il conferimento dei necessari poteri al Governo (Prisco, Consorti) -, la legittimità della limitazione della libertà di culto potrebbe essere rintracciata per un verso nei doveri inderogabili al cui adempimento è chiamato ciascun individuo (art. 2 Cost.) e per un altro nella legislazione della protezione civile che pone la base giuridica dei poteri di ordinanza.

    Al contrario, Fuccillo ha evidenziato un problema con riferimento alla gerarchia delle fonti: lo strumento utilizzato – l’ordinanza contingibile – produce diritto emergenziale rendendo permeabile ciò che invece non dovrebbe esserlo. Secondo l’Autore tale strumento dovrebbe essere utilizzato solo quando non esista nessun’altra alternativa. In caso contrario, rischierebbe di passare l’idea che le libertà siano potenzialmente limitabili in caso di una non meglio specificata emergenza.

    Autorevole dottrina ha sottolineato come tale momento storico abbia reso viepiù evidente l’assenza e la necessità di una legge generale sulla libertà religiosa (Alicino).

    Tuttavia, con specifico riferimento alla libertà di culto permangono alcuni punti critici che sono stati ampiamente affrontati durante la discussione.

    Com’è noto, il nostro testo costituzionale è caratterizzato dal principio di bilateralità pattizia e dall’assenza di ulteriori limitazioni alla libertà religiosa rispetto al buon costume e al necessario bilanciamento con i diritti di pari rango. Ciò ha indotto gli studiosi ad interrogarsi su come debba essere inteso il bilanciamento tra diritto alla salute, individuale e collettiva, e la libertà religiosa.

    Seguendo il ragionamento di Valditara, i recenti provvedimenti manifestano delle criticità in relazione alla compressione della libertà religiosa. Gli artt. 7 e 19 della Costituzione, com’è noto, non prevedono limitazioni della libertà di culto per ragioni legate alla salute. Sebbene l’art. 19 Cost. non possa essere inteso come una illimitata forma di protezione della libertà religiosa è altresì vero che il diritto alla salute, pur essendo un bene primario, non prevale sempre sugli altri diritti costituzionalmente garantiti. E ciò trova conferma anche nei più recenti pronunciamenti della giurisprudenza costituzionale secondo cui in determinati casi, la dignità della persona merita una più intensa applicazione del bene vita (Licastro). Pertanto, anche in situazioni di emergenza, l’indubbia cedevolezza della libertà religiosa deve essere contemperata con i criteri di proporzionalità e adeguatezza, a cui eventualmente aggiungere una differenziazione su base territoriale (Licastro).

    Seguendo tale ragionamento, l’ordinamento giuridico può indubbiamente prevedere misure volte alla limitazione della diffusione del Covid-19, ma non può impedire unilateralmente la celebrazione dei riti.

    È stato da più parti rilevato che le libertà fondamentali non possono essere compresse a tempo indeterminato (Valdittara, Fuccillo). A tal proposito giova soffermarsi sulla soluzione adottata da altri ordinamenti. In Germania, la Corte Costituzionale ha precisato che il diritto alla vita prevale sulla libertà religiosa ma che gravi limitazioni di quest’ultima sono tollerabili solo se contenute entro precisi limiti temporali. Tale precisazione garantisce che il provvedimento sia aggiornato e tenga in considerazione l’evoluzione della pandemia. In un pronunciamento successivo, gli stessi giudici hanno precisato che il divieto posto alle attività cultuali deve poter ammettere alcune eccezioni. In particolare, nel caso in cui la valutazione delle circostanze consentono di escludere la diffusione del virus deve essere consentita l’apertura dei luoghi culto (Licastro). Un tentativo di dialogo tra Stato e confessioni religiose è stato sottolineato da Mariacristina Ivaldi con riferimento al caso francese.

    Una questione assai spinosa riguarda la recente prassi da parte della forza pubblica di intervenire per interrompere le celebrazioni religiose.  Sul punto Raffaele Santoro ha osservato che salvo casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica, a norma dell’art. 5, c. 2, della l. 25 marzo 1985, n. 121. In merito a queste ultime norme è stato rilevato come esse abbiano una efficacia passiva rinforzata in quanto norme di derivazione pattizia. Da ciò deriva l’impossibilità di una modifica unilaterale con una legge ordinaria o con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

    Il rispetto della disciplina pattizia si impone anche alle Forze dell’ordine, le quali, in assenza di una “urgente necessità” e senza darne “previo avviso” all’autorità ecclesiastica, non possono fare ingresso in un edificio aperto al culto e soprattutto non possono impedire o turbare la celebrazione della Santa Messa, disposta senza Popolo da parte delle competenti autorità ecclesiastiche, sia pure nel caso in cui ciò avvenga in presenza di un numero esiguo di fedeli ma nel pieno rispetto delle norme di distanziamento.

    Quest’ultimo aspetto, nel rappresentare la ratio centrale delle norme statuali finalizzate al contrasto della diffusione del Covid-19, deve costituire il parametro di valutazione della “urgente necessità” che consentirebbe l’ingresso delle Forze dell’ordine in un edificio aperto al culto senza il “previo avviso”. Ciò tuttavia deve sempre e necessariamente avvenire nel pieno rispetto delle funzioni religiose in atto, salvo incorrere nella fattispecie di reato di cui all’art. 405 c.p..

    Che fare dunque?

    Secondo Licastro è fuori luogo ipotizzare che le scelte degli organi governativi siano volutamente lesive dell’autonomia della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose. Si coglie tuttavia una chiara marginalizzazione delle attività religiosa nella vita sociale, la quale stata immediatamente messa da parte come attività sospendibile e, dunque, non indispensabile. Nella vicenda in esame non è stata valorizzata la cooperazione tra stato e confessioni religiose. Una consultazione informale era assolutamente necessaria con le confessioni religiose dal momento che il rischio di un saldo negativo delle libertà fondamentali è alto.

    Come osservato da Gianfranco Macrì, sul fronte dei rapporti tra Stato e religioni, è prevalso il senso di responsabilità di una buona e proficua collaborazione. Per il futuro appare ammissibile e quantomai auspicabile una  soluzione negoziata, purché coinvolga tutti i movimenti religiosi, nel rispetto del principio di uguaglianza.

    Questa esperienza, continua Macrì, ci insegna che il virus non riguarda solo il corpo fisico ma anche il corpo sociale. I comportamenti di ciascuno possono incidono positivamente o negativamente sul benessere dell’intera collettività.

    Su tale questione è intervenuto Antonio Fuccillo. Per l’Autore, il tema in esame investe più in generale la questione del benessere della persona umana e della collettività, chiaramente delineato dalla Carta costituzionale. Com’è noto, infatti, tutti i diritti di libertà sono riferiti non solo all’individuo ma anche alla collettività.

    Fuccillo ha suggerito l’utilizzo, in modo atecnico, del principio di bilateralità pattizia per governare le differenze durante l’emergenza Covid-19. È infatti necessario un profilo concordato che tenga in considerazione le esigenze cultuali e la tutela della salute pubblica. Le ragioni che suggeriscono l’utilizzo di tale strumento sono sostanzialmente le seguenti:

    1. Qualora non ci fosse una soluzione concordata, bisognerebbe richiamare la chiara distinzione di ordine di cui agli artt. 7.2 e 8.2 Cost. La Costituzione italiana non è separatista ma pattizia. La Repubblica italiana arretra davanti agli atti di culto.
    2. Il valore della persona e la salute. L’individuo sopravvive al Covid-19 ma non può essere sé stesso, non può praticare atti di culto collettivi. Ciò può chiaramente provocare un dolore psichico. Per il credente, infatti, il conforto religioso fa parte del benessere psichico.
    3. L’art. 19 Cost. prevede il limite del buon costume e non l’ordine pubblico. La libertà religiosa non può essere compressa per volontà del potere politico.
    4. La gerarchia delle fonti. L’ordinanza contingibile e urgente non può essere uno strumento per il diritto emergenziale. Non è ammissibile che il DPCM sia reiteratile. Una volta eliminata l’emergenza che giustifica l’adozione dell’ordinanza, bisogna tornare agli strumenti ordinari.
    5. La Costituzione italiana conosce lo stato di guerra ma non lo stato di emergenze, i quali non possono essere equiparati. Il diritto emergenziale sospende le garanzie costituzionali.

    Lo statuto ontologico dell’essere umano ricomprende il fattore religioso. La religione è un importante fenomeno umano che merita tutela. La società laica deve porre attenzione al fenomeno religioso. La religione infatti per il credente è fondamentale per lo sviluppo della persona umana

    Fuccillo ha auspicato la conclusione negoziata che comporti il rigoroso rispetto dei valori in gioco. Il diritto di libertà religiosa non è concesso da nessuno ma è il frutto di uno statuto personale derivante da conquiste storiche, giuridiche, morali.

    Tale conclusione è stata sposata anche da Giuseppe Casuscelli secondo cui il principio di bilateralità pattizia, in senso formale, è un modello molto complesso da usare in situazioni di emergenza. Il principio di cooperazione tra Stato e religioni indicato nell’accordo di Villa Madama e nelle intese può dar vita ad un protocollo con tutte le confessioni religiose.

    Casuscelli ha poi evidenziato il rischio che allo stato attuale si riapra il discorso sulla gerarchia delle libertà, ricordando che le libertà sono una trama connessa: vivono l’una dell’altra. La discussione dovrebbe essere invece orientata sull’accomodamento delle libertà che ha subito un “salto generazionale”. Oggi l’accomodamento deve essere adeguato non più ad un caso specifico ma ad una generalità di casi in un periodo di tempo determinato.

    Nel corso del dibattito sono emerse alcune criticità concernenti i diritti confessionali. In particolare, Fabio Franceschi ha evidenziato le preoccupazioni della Chiesa derivanti da un eventuale consolidamento delle modalità ‘alternative’ della fruizione del religioso. La normalizzazione delle pratiche cultuali in via telematica comporta infatti il serio rischio  di  allentare o recidere del tutto la dimensione comunitaria, da sempre ritenuto elemento essenziale per ogni confessione. A ciò farebbe inevitabilmente seguito una individualizzare la fede con l’inevitabile rischio della nascita di una religione fai da te, svincolata o svincolabile dalla materialità del rituale e dai luoghi di culto.

    Al di là di questioni strettamente tecniche, l’auspicio è che l’attuale situazione di pandemia sia l’avvio per una riflessione da parte di ciascuno sui fondamenti dell’umanità. In questo scenario apocalittico il diritto ad una casa dignitosa, al cibo, all’istruzione assumono un rilievo ancora più pregnante se letti alla luce delle misure restrittive imposte alla libertà di circolazione (Prisco). Appare dunque quanto mai urgente attivarsi per costruire una nuova responsabilità sociale in cui ciascuno viva nella consapevolezza di essere parte di un corpo più ampia (Macrì).

    Miriam Abu Salem, Università della Campania Luigi Vanvitelli – Ludovica Decimo, Università della Campania Luigi Vanvitelli

     

    miriam.abusalem@unicampania.it

    ludovica.decimo@unicampania.it

     

     

     

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