Riccardo Saccenti, Libertà religiosa e democrazia al tempo del Covid-19
La fase più dura e acuta della pandemia, fatta di forti limitazioni alla mobilità e alla possibilità di riunirsi, ha posto anche i diritti e i doveri individuali e sociali in una condizione imprevista. Come e in che misura imporre restrizioni che di fatto sospendevano l’esercizio di diritti e doveri? Un provvedimento certo dettato da un’imprescindibile esigenza sanitaria e dal dovere delle istituzioni repubblicane di tutelare la vita di cittadine e cittadini, il quale ha tuttavia imposto una riflessione sulla natura dei diritti/doveri, sul loro essere elemento vitale e imprescindibile per l’esistenza stessa di una società democratica e sulla necessità di garantire di essi il pieno esercizio. Una discussione, questa, che è emersa con particolare rilievo riguardo alla libertà religiosa, soprattutto a seguito di una dialettica, a tratti ruvida e dura, fra il governo italiano e la Conferenza Episcopale italiana.
Al di là delle polemiche che hanno accompagnato la trattativa per la ripresa delle celebrazioni religiose, l’emergere di un’esigenza riguardo al diritto alla libertà culto segnala come il valore di questa dimensione del vivere umano vada al di là della garanzia di un semplice diritto individuale.
Dentro una condizione che ha riguardato tutti i culti presenti in Italia, il fatto religioso è uscito dall’emergenza Covid-19 come un tratto essenziale del combinato di diritti/doveri su cui si fonda l’ordinamento repubblicano e democratico. Soprattutto, è apparso evidente come questa dimensione della vita non investa semplicemente le opinioni personali e individuali, o una semplice adesione di principio ad un certo complesso valoriale. Piuttosto il religioso si è rivelato come fatto comunitario, intrecciato alle dinamiche sociali e culturali, più in generale, storiche del tempo e del luogo in cui viene espresso.
Questo nuovo ruolo che l’esperienza religiosa assume dentro la vita del paese rende necessario rileggere il principio di laicità dello Stato in una forma che supera sia la rigida separazione fra religione e società, sia la netta affermazione dell’incompetenza dello Stato in materia religiosa. Piuttosto la Repubblica si è trovata a riconoscere il valore morale e sociale del religioso come realtà dotata di uno spessore politico perché dimensione essenziale della persona.
Si può allora dire che la condizione creata dalla pandemia ha permesso di comprendere meglio il senso che acquista oggi il principio costituzionale della libertà religiosa, aprendo una possibilità di sviluppo nella riflessione e nell’intelligenza di una realtà, quella delle fedi e delle comunità di credenti, che attraversa essa stessa un mutamento che la pandemia ha non solo accentuato ma certamente orientato. Infatti, la portata planetaria di un evento così lacerante e devastante, sul terreno dell’esperienza individuale come anche su quello delle relazioni sociali, incide in profondità anche su convinzioni e credenze e sul modo in cui queste informano pratiche individuali e comunitarie.
Dentro questo mutare del religioso emerge allora il bisogno di sviluppare un’intelligenza politica del valore di questa specifica dimensione dell’esistenza umana. Una forma di comprensione, questa, che non si limita alla sola conoscenza storica, sociologica o teologica, ma piuttosto, facendo tesoro di questi punti di vista, definisce il valore che la vita religiosa assume dentro le comunità umane. Il mutare delle forme del religioso, del suo spazio e del suo peso dentro la trama sociale e culturale del nostro tempo, è dunque un aspetto che occorrerà discernere dentro la cornice di questa cesura epocale. E tale sforzo di comprensione politica dovrà stimolare una risposta anche sul terreno giuridico della codificazione normativa di questa nuova intelligenza del diritto alla libertà religiosa, capace di renderla uno dei cardini di una socialità nuova e resa planetaria dall’esperienza della crisi e della sofferenza.
Riccardo Saccenti, Università degli Studi di Bergamo