Parere
Parere 17 gennaio 2007, n.10379
La legge n. 222 del 1985, nello stabilire che “gli enti
ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento
dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti” (art. 4), ha chiarito definitivamente che gli enti della
Chiesa Cattolica, una volta ottenuto dallo Stato il riconoscimento
della personalità giuridica, non sono enti né privati né pubblici,
ma bensì “Enti di un’autonoma organizzazione confessionale, ai
quali lo Stato si è limitato a riconoscere la personalità
giuridica” (cfr. parere del Consiglio di Stato n. 1338 del 14
febbraio 2001). Gli enti ecclesiastici non possono quindi qualificarsi
in via generale come “persone giuridiche private senza fini di
lucro”, con conseguente applicazione degli artt. 55 del D.L.gs. n.
490/1999 e 21 del D.P.R. n. 283/2000, concernenti espressamente
l’alienazione di immobili appartenenti a persone giuridiche private
senza scopo di lucro. Nè si può giungere a diversa conclusione
invocando l’art. 6 dell’Intesa relativa alla tutela dei beni
culturali di interesse religioso (cui è stata data esecuzione con il
D.P.R. n. 571/1996), che prevede che a norma dell’art. 8 della legge
n. 1089/1939 (poi art. 19 del D.Lgs. n. 490/1999) “i provvedimenti
amministrativi concernenti i beni culturali appartenenti ad enti e
istituzioni ecclesiastiche sono assunti dal competente organo del
Ministero per i beni culturali e ambientali, previa intesa, per quel
che concerne le esigenze di culto, con l’ordinario diocesano”. Se
da un lato, infatti, tale disposizione indica come gli enti
ecclesiastici siano soggetti ai vincoli imposti dalla normativa di
tutela dei beni culturali, dall’altro, tuttavia non pare utile a
dimostrare che tali enti siano destinatari delle disposizioni
contenute nei predetti artt. 55 del D.L.gs. n. 490/1999 e 21 del
D.P.R. n. 283/2000, applicabili alla specifica categoria delle
“persone giuridiche private senza fini di lucro”. Ciò rilevato,
va tuttavia tenuto presente che l’art. 12, comma 1, della L. n.
121/1985 ha affermato il principio secondo cui “La Santa Sede e la
Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela
del patrimonio storico e artistico” ed è indubbio che l’art. 55,
comma 3, del D.Lgs. n. 490/1990, nel prevedere che
“L’autorizzazione è concessa qualora non ne derivi un grave danno
alla conservazione o al pubblico godimento dei beni”, evidenzia le
particolari finalità di tutela per le quali l’alienazione dei beni
culturali è soggetta ad autorizzazione. Ciò implica che le due Parti
potrebbero indicare come applicabile l’onere suddetto, eliminando
così ogni perplessità derivante dalla formulazione letterale
dell’art. 55 del D.Lgs. n. 490/1990 nella parte in cui individua i
suoi destinatari.
Parere 06 marzo 2007
Ai fini della concessioni di finanziamenti regionali volti a
realizzare interventi di “recupero e fruizione del patrimonio
culturale e ambientale”, occorre rilevare come la casa canonica sia
collegata alla Chiesa parrocchiale da un vincolo pertinenziale (ex
artt. 817 e 818 cod. civ., quale pertinenza immobiliare: cfr. Cass. n.
974/1975), il che fornisce una generale indicazione di almeno
potenziale estendibilità alla canonica del trattamento giuridico
previsto per la cosa principale; inoltre, si deve rilevare come la
struttura parrocchiale nel suo insieme, cioè comprensiva anche della
canonica, assuma uno specifico rilievo sul piano “culturale”, anche
quale centro di aggregazione umana, di ritrovo, di incontro, di
formazione e, in generale, di sviluppo della persona umana (nel caso
di specie, il provvedimento impugnato escludeva dai finanziamenti
regionali il restauro e l’adeguamento degli impianti di una Chiesa
parrocchiale e dell’annessa Canonica, perché il progetto prevedeva
non soltanto “il restauro e la realizzazione di impianti nella
Chiesa”, ma includeva anche “interventi nella casa canonica”, ambito
ritenuto “non conforme alle previsioni del complemento di
programmazione”).
Parere 20 dicembre 2006
Consiglio Superiore di Sanità. Parere 20 dicembre 2006: “Trattamenti sanitari ed accanimento terapeutico”. CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITA’ – SESSIONE XLVI IL CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITA’ Assemblea Generale Vista la richiesta del Ministro della Salute relativa al quesito: ”se nel trattamento cui è sottoposto attualmente il Signor W. non possa ravvisarsi la fattispecie del c.d. accanimento […]
Parere 11 dicembre 2006
Nel caso di paziente affetto da un gravissimo stato morboso
degenerativo, per il quale non esistano trattamenti sanitari in grado
di arrestarne l’evoluzione, la richiesa di interrompere il trattamento
terapeutico non voluto è ammissibile e va accolta. Per quanto
riguarda, invece, la possibilità di ordinare ai medici di non
ripristinare la terapia, il ricorso è inammissibile, perché trattasi
di una scelta discrezionale affidata al medico, anche se tecnicamente
vincolata, in merito all’utilità e alla necessità di ripristinare in
un momento successivo la terapia, secondo quanto indicato
nell’articolo 37 del codice deontologico il quale prevede: “In caso di
malattia a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase
terminale, il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale
e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al
malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della
qualità di vita”.
Parere 15 febbraio 2006
Il principio di laicità non risulta compromesso dall’esposizione del
crocifisso nelle aule scolastiche. Il crocifisso consiste, infatti,
anzitutto un simbolo storico — culturale; esso rappresenta un segno
di identificazione nazionale e costituisce, insieme ad altre forme di
vita collettiva e di pensiero, uno dei percorsi di formazione dei
nostro Paese e in genere di gran parte dell’Europa. Non va infatti
sottaciuta l’influenza che la dottrina cristiana, incentrata sui
valori della dignità umana, ha avuto nella formazione degli Stati
moderni e laici. Si può, quindi, ritenere che, nell’attuale realtà
sociale, il crocifisso debba essere considerato non solo come simbolo
di un’evoluzione storica e culturale, e quindi dell’identità del
nostro popolo, ma come simbolo altresì di un sistema di valori di
libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi
anche di laicità dello Stato, che trovano espresso riconoscimento
nella nostra Carta costituzionale.
Parere 17 novembre 2005
Parere 17 novembre 2005: “Predisposizione di uno Schema tipo di regolamento per il trattamento dei dati sensibili e giudiziari nel sistema universitario”. IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI Nella riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vice presidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, […]
Parere 30 settembre 2005
Per giustificare bioeticamente il fondamento e i limiti del diritto
alla cura e all’accudimento nei confronti delle persone in stato
vegetativo permanente, va ricordato che ciò che va loro garantito è
il sostentamento ordinario di base: la nutrizione e l’idratazione,
sia che siano fornite per vie naturali che per vie non naturali o
artificiali. Nutrizione e idratazione vanno dunque considerati atti
dovuti eticamente – oltre che deontologicamente e giuridicamente – in
quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base
per vivere. Anche quando l’alimentazione e l’idratazione devono
essere forniti da altre persone ai pazienti in SVP per via
artificiale, sussistono pertanto ragionevoli dubbi sul considerare
tali atti come “atti medici” o “trattamenti medici” in senso proprio,
e non quali forme di assistenza ordinaria di base. Dunque, la
sospensione di tali pratiche va valutata non come la doverosa
interruzione di un accanimento terapeutico, ma piuttosto come una
forma da un punto di vista umano e simbolico particolarmente crudele
di “abbandono” del malato. Tuttavia, qualora l’alimentazione e
l’idratazione assumano “carattere straordinario” e la loro sospensione
sia stata validamente richiesta dal paziente nelle proprie
Dichiarazioni anticipate di trattamento, non pare in dubbio che il
medico possa accedere a tale richiesta, sebbene a questa soluzione
sembra che osti la grande difficoltà psicologica ed umana di lasciar
morire il paziente per inedia. Diversa è invece l’ipotesi tipica
sopra descritta, in cui alimentazione ed idratazione più che il
carattere di un atto medico, abbiano quello di una ordinaria
assistenza di base. In tale fattispecie, la richiesta nelle
Dichiarazioni anticipate di una sospensione di detto trattamento si
configura infatti come istanza di una vera e propria eutanasia
omissiva, omologabile sia eticamente che giuridicamente ad un
intervento eutanasico attivo, illecito sotto ogni profilo.
Parere 27 giugno 2000
Consiglio Universitario Nazionale. Parere 27 giugno 2000: “Equipollenza tra titoli accademici”. Verbale n. 61 Sessione di giugno 2000 (gg. 27 e 28). (Omissis) Sono presenti i Consiglieri: ALBISINNI PIERO, BRUNO PAOLO, BUSCARINI CRISTIANA, CAPUTO PAOLO, CAPUZZO DOLCETTA ROBERTO, CASTORANI ANTONIO, CORSANEGO ALFREDO,CRISCI CLEMENTE, DE NARDIS PAOLO, DE SIMONE SORRENTINO MARIO, DE ZANCHE VITTORIO, FEBBRAJO ALBERTO, […]
Parere 06 luglio 2005
L’art. 10 della Costituzione stabilisce che “la condizione giuridica
dello straniero”, cioè il suo status civile e politico, “è regolata
dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali ”
che, ai sensi dell’art. 80, se “sono di natura politica” o
“importano modificazioni di leggi” sono ratificati previa
autorizzazione legislativa dalle Camere. L’art. 117, inoltre,
riserva alla legislazione esclusiva dello Stato le materie, tra le
altre, della “condizione giuridica dei cittadini di Stati non
appartenenti all’Unione Europea”, dell'”immigrazione “, della
“legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane”. Tali norme dunque sono
univocamente coordinate tra loro e di contenuto tale da far ritenere
che la condizione giuridica degli stranieri e, in particolare, una
loro eventuale ammissione al voto, anche a livello comunale,
costituiscono materia riservata alla legislazione esclusiva dello
Stato, il quale può tuttavia delegare alle Regioni l’eventuale
relativa regolamentazione subordinata. In tema di attribuzione
dell’elettorato attivo e passivo agli stranieri non è pertanto
sufficiente richiamarsi genericamente alla natura “autonoma” degli
enti comunali, posto che – così nel vigente Titolo V come nelle
precedenti stesure – l’autonomia è in ogni caso coniugata e da
coniugarsi con gli altri principi fissati dalla Costituzione sopra
ricordati, i quali concorrono a definirne i contenuti.