Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Accordo 09 maggio 2014

Con questo accordo transattivo (“settlement agreement”) il
Dipartimento della Giustizia statunitense ed il Distretto Scolastico
di Filadelfia hanno risolto il procedimento, avanti alla District
Court for the Eastern District of Pennsylvania, col quale il Governo
aveva contestato la violazione del titolo VII del Civil Rights Act del
1964, lamentando che il Distretto Scolastico non aveva provveduto a
trovare un accomodamento con il credo e le osservanze religiose di
alcuni suoi dipendenti. Nel 2010 il Distretto Scolastico di Filadelfia
ha adottato un regolamento relativo all’igiene personale che
vieta ai funzionari di polizia addetti alla scuola – quali sono
i dipendenti in questione – di portare la barba più lunga
di un quarto di pollice (6,35 millimetri) ed aveva rifiutato di
trovare un accomodamento tra questa prescrizione e le esigenze
religiose espresse dai dipendenti, di fede musulmana, i quali
portavano una barba più lunga di quanto prescritto, senza che
ciò avesse dato luogo ad una diminuzione della prestazione
lavorativa.Con l’accordo transattivo il Distretto Scolastico di
Filadelfia si è impegnato a rivedere il proprio regolamento,
includendo una procedura con la quale sia possibile richiedere un
accomodamento delle esigenze religiose, nonché a comunicare a
tutti i funzionari di polizia addetti alla scuola che le domande di
accomodamento saranno valutate su base individuale e personalizzata e
che in relazione a ciascuna di esse sarà avviato un processo
interattivo. Il Distretto Scolastico, inoltre, sottoporrà tutti
i dirigenti e funzionari addetti alla risorse umane, chiamati a
valutare tali domande di accomodamento, ad una specifica formazione e
si è obbligato a corrispondere un risarcimento ai dipendenti
cui era stato negato l’accomodamento e non considerare la
vicenda ai fini disciplinari [Si ringrazia per la segnalazione del
documento ed il relativo Abstract Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano].

Sentenza 30 giugno 2014

La Corte Suprema degli Stati Uniti, con una maggioranza di 5 a
4, ha deciso che l’obbligo per il datore di lavoro, previsto
dall’Obamacare, di stipulare un’assicurazione sanitaria
per i propri dipendenti che copra anche le spese per certe forme di
contraccezione e l’aborto può violare la libertà
religiosa di società commerciali a ristretta compagine sociale
(“closely held for-profit corporations”), ai sensi del
Religious Freedom Restoration Act.

Ritenuto che tale obbligo
limiti la libertà religiosa, la Corte ha rilevato come sussiste
un convincente interesse governativo a garantire l’accesso
gratuito ai metodi contraccettivi oggetto di causa, eccependo
però che il Governo ha mancato di provare che la disciplina
dell’Obamacare sia il mezzo meno restrittivo per perseguire tale
interesse governativo.
In particolare, con specifico
riferimento alla tutela della libertà religiosa di una
società for-profit, i Giudici hanno osservato come tale
libertà sia assicurata agli imprenditori individuali, per cui
non vi sarebbe ragione di non garantirla ai medesimi soggetti qualora
decidano di esercitare l’attività d’impresa in
forma societaria, tenuto conto che la tutela dei diritti
costituzionali riconosciuta alle società ha lo scopo ultimo di
proteggere i diritti costituzionali dei soci della medesima
società.
La Corte ha, poi, ritenuto che la
libertà religiosa vada riconosciuta alle società
for-profit, al pari degli enti non profit, dato che esse, oltre a
finalità lucrative, ne possono perseguire altre, anche di
carattere ideale ed altruistico [Si ringrazia per la segnalazione del
documento e la stesura del relativo abstract M.F. Ferrero,
Università Cattolica del Sacro Cuore]


Sul tema si
veda in OLIR.it: il Focus "Libertà
religiosa e attività imprenditoriale for profit. Alcuni recenti
casi di obiezione di coscienza negli Stati Uniti"
, di M. F.
Ferrero (Newsletter OLIR.it n. 3/2014)

Sentenza 19 marzo 2013, n.537

Non è discriminatorio vietare di indossare simboli che mostrano
l’appartenenza religiosa, politica o ideologica in luoghi di lavoro
dove si fornisce un servizio pubblico. Nel caso di specie, è
legittimo il licenziamento di un’impiegata musulmana che aveva
indossato il velo, considerata la natura e il contesto delle mansioni
svolte. La ricorrente, infatti, era dipendente di un ente che, pur
essendo di diritto privato, offriva un servizio pubblico; di
conseguenza prevedeva, nel regolamento interno, un divieto di portare
simboli religiosi, al fine di garantire la neutralità del servizio
pubblico. La tutela della laicità dello Stato e della neutralità del
servizio pubblico giustifica, quindi, la restrizione della libertà
religiosa dei dipendenti, tutelata in termini generali dagli articoli
L. 1121-1 e L. 1321-3del Code du travail. (Cfr. anche la sentenza,
emessa lo stesso giorno, Mme Fatima X. c. Association Baby Loup
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6077]) (Stella
Coglievina).

Sentenza 23 settembre 2010, n.425/03

Nel caso di un dipendente di una confessione religiosa, licenziato per
motivi riguardanti la sfera privata (nel caso di specie: aver avuto
una relazione extra-coniugale), occorre operare un bilanciamento tra i
diritti delle parti: l’esigenza di lealtà all’organizzazione di
tendenza, da un lato, e il diritto alla vita privata e familiare,
dall’altro. Nel caso di specie, il licenziamento appare giustificato
se si considera la peculiarità delle mansioni esercitate dal
ricorrente, responsabile delle pubbliche relazioni in Europa per la
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Chiesa Mormone),
e la particolare importanza attribuita dalla Chiesa in questione alla
fedeltà matrimoniale. Si trattava, perciò, di un licenziamento reso
necessario dalla esigenza di preservare la credibilità della Chiesa
Mormone e il dovere di lealtà da parte dei dipendenti risultava
chiaramente dal contratto stipulato tra la Chiesa e il ricorrente; non
risulta violato l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata
e familiare).
Con questa sentenza (insieme alla “Schüth c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5491]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Sentenza 23 settembre 2010, n.1620/03

Nel rapporto di lavoro con un ente ecclesiastico (nella specie, una
parrocchia cattolica), il dipendente, firmando il suo contratto di
lavoro, accetta un dovere di lealtà verso la Chiesa e una
certa limitazione del proprio diritto al rispetto della vita privata
(sancito dall’art. 8 CEDU). Tale limitazione, tuttavia,
risulta consentita ai sensi della CEDU se liberamente accettata. Nel
caso di specie, la Corte ritiene che il dovere di lealtà non si
spinga fino al punto di obbligare il ricorrente (un organista in una
parrocchia di Essen) ad un impegno a vivere in astinenza in caso di
separazione o di divorzio; inoltre, a differenza del caso Obst c.
Germania (dove il dipendente licenziato aveva compiti di
rappresentanza e diffusione del credo della Chiesa Mormone), il
ricorrente non appare tenuto, in forza delle mansioni esercitate, a un
dovere di fedeltà particolarmente stringente. Risulta perciò violato
l’art. 8 della CEDU. Nelle sue conclusioni, la Corte ha tenuto conto
anche della difficoltà del ricorrente a trovare un nuovo impiego dopo
il licenziamento da parte della parrocchia cattolica, visto il
carattere specifico del suo lavoro. 
Con questa sentenza (insieme alla “Obst c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5492]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Circolare 01 agosto 2002, n.30

Circolare 1 agosto 2002, n. 30: “Trattamento di fine rapporto” (in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 203 del 30 agosto 2002) Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Al Consiglio di Stato Alla Corte dei conti All’Avvocatura dello Stato Al Ministero del lavoro e politiche sociali Al Ministero dell’economia e delle finanze A tutti i […]

Legge 10 luglio 2003

Act 2003, Chapter 18, 10 luglio 2003: “Sunday Working (Scotland)”. An Act to make provision as to the rights of shop workers and betting workers under the law of Scotland in relation to Sunday working; and for connected purposes. BE IT ENACTED by the Queen’s most Excellent Majesty, by and with the advice and consent […]

Sentenza 16 maggio 2002, n.13666

In relazione alla natura giuridica degli enti di assistenza e
beneficenza, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.
396 del 1988 – dichiarativa dell’illegittimità costituzionale
dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, nella parte in cui
non prevede che le Ipab regionali e infraregionali possano continuare
a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato,
qualora abbiano tuttora i requisiti di una istituzione privata – la
natura pubblica o privata di tali istituzioni deve essere accertata di
volta in volta, dall’autorità giudiziaria ordinaria,
indipendentemente dall’esito delle procedure amministrative
eventualmente esperite, facendo ricorso ai criteri indicati dal
D.P.C.M. 16 febbraio 1990; peraltro, affinchè possa essere
riconosciuta l’ispirazione religiosa di un ente di assistenza, che
costituisce – secondo quanto indicato dalla lettera c), dell’art. 1
terzo comma, di detto D.P.C.M. – una delle condizioni alternativamente
necessarie (accanto al carattere associativo e al carattere di
istituzione promossa ed amministrata da privati) perchè possa
riconoscersi natura di ente privato alla detta istituzione, occorre
che ricorrano l’elemento teleologico dell’azione amministrativa
dell’ente e il collegamento di esso con organismi confessionali,
mentre non hanno rilievo ostativo nè la circostanza che
l’istituzione operi con risorse prevalentemente comunali (essendo
l’origine laica dei finanziamenti pienamente compatibile con una
utilizzazione dei medesimi in modo corente con l’ispirazione
religiosa), nè il fatto che il consiglio di amministrazione
dell’Ente sia designato dal Consiglio comunale, nulla impedendo che
un organismo amministrativo non formato da religiosi obbedisca, nelle
sue determinazioni, ad un indirizzo religioso. (In applicazione di
tali principi, le Sezioni unite, all’esito dell’esame del relativo
statuto e delle circostanze valorizzate al riguardo dal giudice di
merito, hanno riconosciuto natura di ente privato alla Casa di
ospitalità per indigenti di San Cataldo, operante nella Regione
siciliana, ed hanno perciò dichiarato la giurisdizione del giudice
ordinario in ordine alle controversie concernenti rapporti di lavoro
con detto Ente).

Sentenza 12 giugno 1996, n.106/1996

L’attività lavorativa sanitaria prestata in un Centro ospedaliero non
ha una diretta relazione con l’ideologia dell’ente ecclesiastico che
lo gestisce, in quanto trattasi di attività esclusivamente di
carattere tecnico, ideologicamente neutra. Quindi, se nella
fattispecie in cui l’insegnante di una scuola privata muove un attacco
aperto alla ideologia della scuola sono messi a confronto due diritti
fondamentali, quali la libertà di cattedra (art. 20, co. 1 Cost.) e
la libertà della scuola (art. 27, co. 1 Cost.), nella fattispecie in
oggetto le libertà costituzionali della lavoratrice, in particolare
la libertà di manifestazione del pensiero (art. 20 Cost.), non sono
suscettibili di limitazione. Inoltre, per la stessa ragione, il
titolare dell’impresa non può esigere dal lavoratore al di là del
compimento delle obbligazioni che derivano dal contratto di lavoro
che, peraltro, risulta stipulato con il Centro ospedaliero (Orden
Hospitalero de San Juan de Dios), avente fine assistenziale-sanitario,
e non con l’ente religioso da cui dipende, la cui ideologia non si
estende direttamente a quello poiché ha una distinta funzione
sociale. Ne deriva che è illegittimo il licenziamento della
lavoratrice a seguito di una reazione verbale, ma non gravemente
offensiva, nei confronti del cappellano dell’ospedale allorché
questi, per ovviare alla mancata assistenza prestata ai malati alla
celebrazione domenicale nella Cappella, per lo sciopero del personale
sanitario, si recò per le corsie ad impartire l’eucarestia in
processione e intonando canti religiosi, attività che poteva essere
intesa come perturbatrice della tranquillità e del benestare degli
infermi, nonché come reazione di censura dinanzi alla negata
collaborazione del personale sanitario.