Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 19 marzo 2013, n.537

Non è discriminatorio vietare di indossare simboli che mostrano
l’appartenenza religiosa, politica o ideologica in luoghi di lavoro
dove si fornisce un servizio pubblico. Nel caso di specie, è
legittimo il licenziamento di un’impiegata musulmana che aveva
indossato il velo, considerata la natura e il contesto delle mansioni
svolte. La ricorrente, infatti, era dipendente di un ente che, pur
essendo di diritto privato, offriva un servizio pubblico; di
conseguenza prevedeva, nel regolamento interno, un divieto di portare
simboli religiosi, al fine di garantire la neutralità del servizio
pubblico. La tutela della laicità dello Stato e della neutralità del
servizio pubblico giustifica, quindi, la restrizione della libertà
religiosa dei dipendenti, tutelata in termini generali dagli articoli
L. 1121-1 e L. 1321-3del Code du travail. (Cfr. anche la sentenza,
emessa lo stesso giorno, Mme Fatima X. c. Association Baby Loup
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6077]) (Stella
Coglievina).

Sentenza 21 maggio 2010

Il caso riguarda un’infermiera cristiana, licenziata per avere
indossato una catenina con la croce, contravvenendo alle regole
dell’ospedale che vietatavano al personale di indossare oggetti
di gioielleria, anche per i rischi per la sicurezza dei pazienti in
caso, ad es., di un contatto con ferite. Tali regole si applicano a
tutto il personale, indipendentemente dal credo religioso, ma non sono
indirettamente discriminatorie, poiché perseguono una
finalità legittima. Nel caso della ricorrente, inoltre,
è stato notato che portare un crocifisso era una manifestazione
della libertà religiosa, ma non una pratica obbligatoria per la
religione cristiana; inoltre, erano stati tentati alcuni
accomodamenti, tutti rifiutati dalla ricorrente. Non si è,
quindi, rilevata una violazione della libertà religiosa o delle
norme sulla discriminazione.

[La Redazione di OLIR.it
ringrazia per la segnalazione del documento Mattia Francesco Ferrero,
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano]

Decreto legislativo 01 settembre 2011, n.150

D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150: "Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69" (omissis) Articolo  31 Delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso 1. Le controversie aventi ad oggetto la […]

Sentenza 04 novembre 2009

Non costituisce provvedimento discriminatorio per motivi religiosi
quello che impedisce a un farmacista di religione ebraica, che intenda
osservare il giorno di riposo dello «Shabbath», l’apertura
domenicale dell’esercizio a compensazione della chiusura del sabato

Sentenza 10 maggio 2011

Il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, n. 1, lett. c), della
direttiva 2000/78 osta ad una norma nazionale, come quella di cui
all’art. 10, n. 6, della legge 30 maggio 1995 del Land di Amburgo,
ai sensi della quale un beneficiario partner di un’unione civile
percepisca una pensione complementare di vecchiaia di importo
inferiore rispetto a quella concessa ad un beneficiario coniugato non
stabilmente separato, qualora nello Stato membro interessato, il
matrimonio sia riservato a persone di sesso diverso e coesista con
un’unione civile quale quella prevista dalla legge 16 febbraio 2001,
sulle unioni civili registrate (Gesetz über die Eingetragene
Lebenspartnerschaft), che è riservata a persone dello stesso sesso, e
sussista una discriminazione diretta fondata sulle tendenze sessuali,
per il motivo che, nell’ordinamento nazionale, il suddetto partner
di un’unione civile si trova in una situazione di diritto e di fatto
paragonabile a quella di una persona coniugata per quanto riguarda la
pensione summenzionata.

Legge regionale 07 febbraio 2011, n.8

L.R. 7 febbraio 2011, n. 8: "Istituzione del Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza". Art. 1 Istituzione del Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza. 1. La Regione autonoma della Sardegna istituisce presso il Consiglio regionale il Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza, di seguito denominato Garante, al fine di assicurare sul territorio regionale la piena […]

Decisione 21 settembre 2010

L’associazione francese “Association Les Témoins
de Jéhovah” (Associazione cristiana dei Testimoni di Geova di
Francia) lamenta un trattamento discriminatorio riguardo al regime
fiscale francese applicabile agli enti di culto.
L’Associazione rifiuta di dichiarare l’entità delle donazioni
ricevute, chiedendo, invece, l’esenzione fiscale concessa
alle associazioni religiose; di conseguenza, il governo francese ha
imposto una tassa del 60 per cento su tutte le offerte religiose, con
effetto retroattivo relativo a un periodo di quattro anni, dal 1993
al 1996. Il governo ha inizialmente richiesto un pagamento
complessivo di circa 45 milioni di euro. Durante tutti i procedimenti
giudiziari in Francia, i ricorrenti hanno sostenuto che la
tassazione contestata fosse un attacco diretto alla loro libertà
religiosa. Infatti era stata loro imposta nell’ambito della “lotta”
del governo francese contro le cosiddette “sette”. I Testimoni di
Geova hanno sostenuto che da quando la tassa retroattiva del 60 per
cento è stata applicata a tutte le donazioni ricevute nel periodo
dei quattro anni, tale imposta sia impossibile da pagare in quanto le
donazioni sono già state utilizzate per le spese di gestione
correnti dell’associazione. La Corte Europea ha stabilito
all’unanimità che sotto il profilo dell’art. 9 l’istanza è
ammissibile: è necessario infatti l’esame del merito della causa,
per determinare se il regime fiscale del governo francese abbia
interferito oppure no con la libertà religiosa dei Testimoni di
Geova in Francia. Inammissibile, invece, la censura sotto il profilo
dell’art. 14 della CEDU, in quanto le vie di ricorso interne a questo
riguardo non sono state esaurite.

Sentenza 28 maggio 2010, n.187

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost., l’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n.
388, nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della
carta di soggiorno la concessione dell’assegno mensile di invalidità
di cui all’art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118 agli stranieri
legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato. Il suddetto
assegno costituisce una provvidenza destinata non già ad integrare il
minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire
alla persona un minimo di sostentamento, atto ad assicurarne la
sopravvivenza. Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo, ove si versi, come nel caso di specie, in tema di
provvidenza destinata a far fronte al sostentamento della persona,
qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente
soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi
dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con
il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, la norma in
esame, che interviene direttamente e restrittivamente sui presupposti
di legittimazione al conseguimento delle provvidenze assistenziali,
viola il limite del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali imposto dall’evocato parametro costituzionale, poiché
discrimina irragionevolmente gli stranieri regolarmente soggiornanti
nel territorio dello Stato nel godimento di diritti fondamentali della
persona riconosciuti ai cittadini.

Sentenza 23 settembre 2010, n.425/03

Nel caso di un dipendente di una confessione religiosa, licenziato per
motivi riguardanti la sfera privata (nel caso di specie: aver avuto
una relazione extra-coniugale), occorre operare un bilanciamento tra i
diritti delle parti: l’esigenza di lealtà all’organizzazione di
tendenza, da un lato, e il diritto alla vita privata e familiare,
dall’altro. Nel caso di specie, il licenziamento appare giustificato
se si considera la peculiarità delle mansioni esercitate dal
ricorrente, responsabile delle pubbliche relazioni in Europa per la
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Chiesa Mormone),
e la particolare importanza attribuita dalla Chiesa in questione alla
fedeltà matrimoniale. Si trattava, perciò, di un licenziamento reso
necessario dalla esigenza di preservare la credibilità della Chiesa
Mormone e il dovere di lealtà da parte dei dipendenti risultava
chiaramente dal contratto stipulato tra la Chiesa e il ricorrente; non
risulta violato l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata
e familiare).
Con questa sentenza (insieme alla “Schüth c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5491]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Sentenza 23 settembre 2010, n.1620/03

Nel rapporto di lavoro con un ente ecclesiastico (nella specie, una
parrocchia cattolica), il dipendente, firmando il suo contratto di
lavoro, accetta un dovere di lealtà verso la Chiesa e una
certa limitazione del proprio diritto al rispetto della vita privata
(sancito dall’art. 8 CEDU). Tale limitazione, tuttavia,
risulta consentita ai sensi della CEDU se liberamente accettata. Nel
caso di specie, la Corte ritiene che il dovere di lealtà non si
spinga fino al punto di obbligare il ricorrente (un organista in una
parrocchia di Essen) ad un impegno a vivere in astinenza in caso di
separazione o di divorzio; inoltre, a differenza del caso Obst c.
Germania (dove il dipendente licenziato aveva compiti di
rappresentanza e diffusione del credo della Chiesa Mormone), il
ricorrente non appare tenuto, in forza delle mansioni esercitate, a un
dovere di fedeltà particolarmente stringente. Risulta perciò violato
l’art. 8 della CEDU. Nelle sue conclusioni, la Corte ha tenuto conto
anche della difficoltà del ricorrente a trovare un nuovo impiego dopo
il licenziamento da parte della parrocchia cattolica, visto il
carattere specifico del suo lavoro. 
Con questa sentenza (insieme alla “Obst c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5492]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.