Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 18 giugno 1993

A norma del comma terzo dell’art. 49 della Costituzione federale
spetta ai genitori il potere di disporre della formazione religiosa
dei figli fino al compimento del sedicesimo anno di età; pertanto
sussiste la legittimazione ad agire dei genitori in nome proprio o
quanto meno a nome del figlio minore per la tutela della libertà di
coscienza di quest’ultimo. Quando l’ordinamento confessionale
detta una disciplina in contrasto con quella statale, come, nel caso
di specie, il divieto imposto dall’Islam ai bambini di sesso diverso
di nuotare insieme, mentre ciò è disposto dalle norme dello stato a
livello di scuola dell’obbligo, il civis fidelis è tenuto a
sottomettersi in linea di principio alle norme statali; il rispetto
del valore della libertà di coscienza comporta tuttavia l’obbligo
per le istanze pubbliche di concedere una dispensa, ove questa non
pregiudichi un ordinato ed efficiente svolgimento del servizio
scolastico. In particolare, non è legittimo ritenere a priori che
tale pregiudizio si verifichi nel caso in cui la presenza di un alto
numero di membri di minoranze confessionali faccia intravedere il
rischio di una eccessiva dilatazione delle richieste di dispensa. Del
resto, il principio di integrazione degli stranieri nel contesto
svizzero non comporta come regola generale che nell’osservanza delle
loro convinzioni religiose essi debbano sottoporsi a limitazioni
sproporzionate.

Sentenza 12 maggio 1995

La Corte Suprema, incaricata di controllare un progetto di legge
regolante il diritto all’informazione per i servizi relativi
all’interruzione volontaria di gravidanza disponibili al di fuori
dello Stato (Regulation of Information Bill – Services outside the
State for Termination of Pregnancies), dopo aver rilevato che tale
progetto di legge persegue lo scopo esclusivo di tutelare la libertà
di ricevere o di fornire informazioni indipendentemente dall’uso che
ne verrà fatto, ha stabilito che lo stesso non è di per sé né
contiene disposizioni volte a fornire indicazioni obiettive che non
promuovono in alcun modo la pratica dell’interruzione volontaria della
gravidanza, realizza il diritto dei cittadini di ricevere e di fornire
informazioni e non può essere considerato lesivo dei principi
costituzionali.

Sentenza 28 ottobre 1993

L’Assembly Powers Act 1919, comunemente denominato Enabling Act, ha
avuto lo scopo di riconoscere alla Chiesa d’Inghilterra, e per essa
al Sinodo generale, il diritto di discutere in tutte le materie che la
riguardano, di deliberare su di esse e di proporre quanto deliberato
al Parlamento, perché lo approvi o lo rigetti se non lo ritiene
compatibile con i diritti costituzionali dei sudditi di Sua Maestà.
Non può accogliersi un’interpretazione dell’Enabling Act intesa a
restringerne tale chiaro dettato, limitando i poteri del Sinodo per
quanto riguarda modifiche in materie fondamentali per il costume, la
prassi o la dottrina, come in tema di sacerdozio femminile.
Un’interpretazione restrittiva nel senso proposto non è
giustificata né dal significato letterale delle singole norme, né
dal contesto dell’intera normativa, né dalla ratio che la ispira.

Sentenza 18 marzo 1994, n.3261

L’uso delle campane, regolamentato dagli organi diocesani locali,
deve svolgersi nei limiti dell’attività connessa al culto per
rientrare nell’attività tutelata dall’accordo tra Stato e Chiesa
cattolica. La stipula del Concordato non ha infatti comportato una
rinuncia tacita da parte dello Stato alla tutela di beni giuridici
primari, quali il diritto alla salute previsto dall’art. 32 Cost. Ne
consegue che on può invocarsi l’applicazione dell’art. 2 tra
Stato e Santa Sede approvato con L. n. 121/1985 né l’applicazione
di regolamenti ecclesiastici locali qualora le campane siano
utilizzate in tempi e con modalità non attinenti all’esercizio del
culto. (Nella specie è stato rigettato il ricorso avverso sentenza di
condanna di un parroco per la contravvenzione di cui all’art. 659
c.p. per aver fatto funzionare i rintocchi delle campane con orologio
elettrico, di giorno e di notte ogni quarto d’ora, con rumori
eccedenti i limiti di tolleranza acustica e conseguentemente disturbo
al riposo e alle occupazioni delle persone). Ricorrono gli estremi
della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. (disturbo delle
occupazioni o del riposo delle persone) ogni qualvolta si verifichi un
concreto pericolo di disturbo, che superi i limiti di normale
tollerabilità, la cui valutazione deve essere effettuata con criteri
oggettivi riferibili alla media sensibilità delle persone che vivono
nell’ambiente ove suoni e rumori vengono percepiti. Ne consegue che
non vi è necessità di ricorrere ad una perizia fonometrica per
accertare l’intensità del suono, allorché il giudice, basandosi su
altri elementi probatori acquisiti agli atti, si sia formato il
convincimento – esplicitato con motivazione indenne da vizi logici –
che per le sue modalità di uso la fonte sonora emetta suoni
fastidiosi di intensità tale da superare i limiti di normale
tollerabilità. (Nella fattispecie è stato rigettato il ricorso di un
parroco, condannato per aver fatto funzionare il suono delle campane
della chiesa, azionato da orologio elettrico, di giorno e di notte
ogni quarto d’ora, con rumori eccedenti i limiti di tolleranza
acustica e conseguente disturbo al riposo e alle occupazioni delle
persone).

Sentenza 27 aprile 1994

Il suono delle campane di una chiesa in orario diurno e per intervalli
di tempo ragionevolmente brevi non rientra nella previsione del
D.P.C.M. 1 marzo 1991, applicandosi tale decreto solo ai rumori, cioè
ai fenomeni acustici casuali, sgradevoli, fastidiosi, non musicali.
Pertanto, mancando, altresì, nella fattispecie l’attitudine a
produrre disturbo nei soggetti di media sensibilità, non sussistono
né il reato di cui all’art. 659 c.p., né conseguenzialmente il
reato di cui all’art. 650 c.p. essendo l’ordinanza sindacale
viziata da violazione di legge.

Pronuncia 07 novembre 1995, n.219

La volgarizzazione del dato religioso attuata attraverso
l’utilizzazione del lessico del mondo religioso, in un contesto
commerciale, non costituisce offesa delle convinzioni religiose dei
cittadini. Il parametro di valutazione di ciò che deve ritenersi
offensivo deve ricomprendere sia l’evoluzione del senso comune sia i
principi fondamentali della religione. La concezione liberale accolta
dal codice e ribadita nella giurisprudenza del Giurì consente di
considerare non offensiva la pubblicità che, pur utilizzando
riferimenti religiosi, non si appropria di elementi che sono
considerati dalla generalità dei cittadini avvolti dalla sacralità.

Sentenza 11 luglio 1996, n.1155

Il divieto permanente di uso e detenzione di armi o munizioni previsto
dall’art. 9 l. n. 772/1972 opera soltanto per gli ammessi al
servizio militare non armato o al servizio sostitutivo civile; mentre
non può estendersi ai casi di obiezione totale, in cui – diversamente
dalle fattispecie di obiezione parziale – il rifiuto è diretto contro
il servizio militare in quanto tale, e non è pertanto incompatibile
con l’appartenenza ad un corpo armato non militare quale la Polizia
di Stato. é, quindi, illegittima l’esclusione da concorso pubblico
nel ruolo dei commissari della Polizia di Stato di un obiettore totale
al servizio militare, in quanto costui non ha chiesto di – e quindi
non è mai stato ammesso a – prestare servizio militare non armato o
servizio civile sostitutivo.

Ordinanza 08 gennaio 1992, n.3

É inapplicabile nei confronti del Sovrano Militare Ordine di Malta la
normativa di cui all’art. unico r.d.l. 30 agosto 1925 n. 1621,
concernente atti esecutivi sopra beni di Stati esteri nel regno,
convertito nella l. 15 luglio 1926 n. 1623, poiché il semplice
scambio di note diplomatiche non appare sufficiente ad integrare la
condizione di reciprocità ivi richiesta. É fondato, a livello di
fumus boni iuris, il ricorso avverso il decreto del ministero di
grazia e giustizia 17 ottobre 1991, col quale è stata negata
l’autorizzazione a procedere esecutivamente su beni del Sovrano
militare ordine di Malta per ragioni di inopportunità, in quanto esso
non tiene in alcuna considerazione che il credito in oggetto concerne
retribuzioni di lavoro subordinato, attinenti ad un bene della vita
costituzionalmente protetto, non meno di quello dei rapporti di
convenienza fra Stato italiano ed organizzazioni internazionali.

Parere 25 gennaio 1995, n.24

Non è indispensabile, ai fini del riconoscimento civilistico e
dell’approvazione dello statuto di una congregazione, la previsione
statutaria di un revisore dei conti, poiché gli elementi relativi
alle attività strumentali da rendere pubblici in sede di iscrizione
sul registro delle persone giuridiche possono ritenersi sufficienti ad
assicurare la tutela dei terzi che intratterranno relazioni economiche
con l’ente interessato.

Parere 24 febbraio 1993, n.105

L’istanza di autorizzazione all’acquisto di un bene oggetto di
proposta di donazione che non è stata contestualmente accettata dal
legale rappresentante dell’ente ecclesiastico beneficiando, pur
potendo essere identificata con l’atto di accettazione, non
perfeziona il contratto di donazione se non combinandosi con la
proposta, giusta il disposto dell’art. 782 c.c.. Per il principio
desumibile a contrario dall’art. 1330 c.c., la proposta viene meno
con la morte del proponente, eliminando il presupposto
dell’accettazione. La “conferma” della donazione da parte del
coniuge superstite, nonché postulare la nullità della donazione
stessa, è inidonea a spiegare qualsiasi efficacia poiché difetta la
stessa fattispecie negoziale della liberalità. Il principio di
irrevocabilità illimitata delle proposte di donazione dirette ad enti
ecclesiastici posto dall’art. 11 l. 27 maggio 1929 n. 827, è stato
superato dall’art. 782, ultimo comma, c.c., in base al quale
l’irrevocabilità è limitata al periodo di un anno.
L’irrevocabilità temporanea della proposta non equivale a
irrevocabilità oltre il decesso dell’autore.