Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 08 ottobre 2012

Ai fini della sussistenza della responsabilità di cui all’art. 2049
c.c., deve rilevarsi come per costante giurisprudenza il preponente
sia responsabile allorché l’instaurarsi del rapporto di
preposizione si ponga in rapporto di occasionalità necessaria
rispetto al fatto di reato, nel senso che proprio il rapporto di
preposizione – con l’attribuzione al preposto di determinati
compiti e responsabilità (nel caso di specie, in qualità di Parroco)
– lo abbia messo nella condizione di potere compiere più
agevolmente il fatto dannoso (nel caso in oggetto, un fatto di reato),
che altrimenti sarebbe stato al di fuori della sua portata o avrebbe
potuto commettere solo con molta più difficoltà.

Sentenza 07 maggio 2003, n.8827

L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione
del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si
concreta nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è
ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell’area del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione e si distingue sia dall’interesse
al “bene salute” (protetto dall’art. 32 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità
morale (protetto dall’art. 2 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno morale soggettivo). Unica possibile forma di
liquidazione di ogni danno privo, come il danno biologico ed il danno
morale, delle caratteristiche della patrimonialità è quella
equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita
nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento
realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è
reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un
pregiudizio non economico. Di conseguenza non sussiste alcun ostacolo
alla risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei prossimi
congiunti del soggetto che sia sopravvissuto a lesioni seriamente
invalidanti; nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume
posizione preminente la Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale
deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi
in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso
nel danno morale soggettivo.
La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. va
tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento
generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di
duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto
come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della
persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale
e di quello non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo del danno
biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una
lesione dell’integrità psico – fisica secondo i canoni fissati dalla
scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente
inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera
sofferenza psichica e del patema d’animo) nonché dei pregiudizi,
diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di
un interesse costituzionalmente protetto. Ne deriva che, nella
liquidazione equitativa dei pregiudizi ulteriori, il giudice, in
relazione alla menzionata funzione unitaria del risarcimento del danno
alla persona, non può non tenere conto di quanto già eventualmente
riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, pure esso
risarcibile, quando vi sia la lesione di un tale tipo di interesse,
ancorché il fatto non sia configurabile come reato. Infine il
riconoscimento dei “diritti della famiglia” (art. 29, comma 1, cost.)
va inteso non già, restrittivamente, come tutela delle
estrinsecazioni della persona nell’ambito esclusivo di quel nucleo,
con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio
senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell’individuo
alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale
ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luogo a
gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché il
fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto,
provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed
una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che
dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente
nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione
all’esigenza di provvedere perennemente ai (niente affatto ordinari)
bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti,
deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore
apprestata dall’art. 2059 c.c. in caso di lesione di un interesse
della persona costituzionalmente protetto.