Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 01 marzo 2000, n.439

Cassazione. Quarta Sezione Penale. Sentenza 1 marzo 2000, n. 439. (Battisti; Bianchi) 1. – Marcello Montagnana veniva condannato dal pretore di Cuneo alla pena di lire 400.000 di multa per il reato di cui all’art.108 d.p.r. 30.3.1957, n. 361, perché, designato in occasione delle elezioni politiche del marzo 1994 all’ufficio di scrutatore del seggio elettorale […]

Sentenza 06 maggio 1985, n.164

Non è esatto che l’obbligo di prestare servizio militare armato sia
un dovere di solidarietà politica inderogabile per tutti i cittadini:
viceversa, inderogabile dovere per tutti i cittadini è la difesa
della Patria, cui il servizio militare obbligatorio si ricollega, pur
differenziandosene concettualmente ed istituzionalmente. Cosicché,
mentre nessuna legge potrebbe esentare dal dovere di difesa della
Patria previsto dall’art. 52, primo comma, Cost., in conformità del
secondo comma dello stesso articolo, il servizio militare è
obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge ordinaria,
purché non siano violati altri precetti costituzionali. E la
normativa di cui alla legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul
riconoscimento dell’obiezione di coscienza, prevedendo per gli
obbligati alla leva la possibilità di venire ammessi a prestare, in
luogo del servizio militare armato, servizio militare non armato o
servizio sostitutivo civile, non si traduce in una deroga al dovere di
difesa della Patria, poiché il servizio militare armato può essere
sostituito con altre prestazioni personali di portata equivalente,
riconducibili anch’esse all’idea di difesa della Patria. È
inammissibile la questione di legittimità costituzionale allorché la
prospettazione del thema decidendum appare incoerente, se non
addirittura contraddittoria, con inevitabili riverberi negativi sul
petitum, così da renderne i contorni incerti o, al limite, illogici.
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale che il
giudice a quo si limita a sollevare “nei medesimi termini” di altre
ordinanze dello stesso o di altro giudice, risultando indiscutibile la
carenza di motivazione, non bastando ad assolvere il relativo onere
una motivazione formulata esclusivamente per relationem.

Risposta a interrogazione 27 novembre 2001, n.E-1807/01

Consiglio dell’Unione europea. Risposta data all’interrogazione scritta E-1807/01, 27 novembre 2001. (da “Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee” C 81 E del 4 aprile 2002, pag. 64) Nel partenariato per l’adesione della Repubblica di Turchia il Consiglio ha individuato le seguenti priorità concernenti in particolare la libertà di culto e la diversità culturale: Garantire a tutti […]

Risposta a interrogazione 20 novembre 2001, n.E-1267/01

Consiglio dell’Unione europea. Risposta data all’interrogazione scritta E-1267/01, 20 novembre 2001. (da “Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee” C 81 E del 4 aprile 2002, pag. 17) Nel partenariato per l’adesione della Repubblica di Turchia(1) il Consiglio ha individuato le seguenti priorità concernenti in particolare la libertà religiosa e la diversità culturale: Garantire a tutti gli […]

Decreto Presidente Repubblica 16 dicembre 1985, n.751

D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751 Esecuzione dell'intesa tra l'autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche  (in Gazz. Uff. 20 dicembre 1985, n. 299) come moficata dal D.P.R. 23 giugno 1990, n. 202 IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visto l'art. 87 della Costituzione; Vista la legge 25 […]

Sentenza 21 maggio 1987, n.196

Il provvedimento con cui il giudice tutelare autorizza la gestante
minorenne a decidere l’interruzione della gravidanza – rientrando
negli schemi di integrazione della volonta` del soggetto legalmente
incapace, cui attribuisce facolta` di decidere – rimane estraneo alla
procedura di riscontro delle situazioni di “serio pericolo” al cui
verificarsi e` subordinata la possibilita` di interruzione della
gravidanza nei primi novanta giorni, ne` puo` discostarsi dai relativi
accertamenti compiuti dal personale sanitario ed ausiliario.
Conseguentemente, l’impossibilita`, per il giudice, di sollevare
obiezione di coscienza in relazione al previsto potere di
autorizzazione, non comporta disparita` di trattamento rispetto al
personale sanitario, stante il difetto di omogeneita` nei differenti
stadi della procedura di aborto, in cui il giudice ed i sanitari,
rispettivamente, intervengono.

Sentenza 30 settembre 1996, n.334

Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 2, 3 e
19 Cost., l’art. 238, comma 2, cod. proc. civ., limitatamente alle
parole “davanti a Dio e agli uomini” e l’art. 238, comma 1, seconda
proposizione, cod. proc. civ., limitatamente alle parole “religiosa
e”, in quanto – posto che gli artt. 2, 3 e 19 Cost. garantiscono come
diritto la liberta’ di coscienza in relazione all’esperienza
religiosa; che tale diritto, sotto il profilo
giuridico-costituzionale, rappresenta un aspetto della dignita’ della
persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’art. 2; che
esso spetta ugualmente tanto ai credenti quanto ai non credenti, siano
essi atei o agnostici, e comporta la conseguenza, valida nei confronti
degli uni e degli altri, che in nessun caso il compimento di atti
appartenenti, nella loro essenza, alla sfera della religione possa
essere l’oggetto di prescrizioni derivanti dall’ordinamento giuridico
dello Stato; che qualunque atto di significato religioso (anche il
piu’ doveroso dal punto di vista di una religione e delle sue
istituzioni) rappresenta sempre, per lo Stato, esercizio della
liberta’ dei propri cittadini, che, come tale non puo’ essere oggetto
di una sua prescrizione obbligante, indipendentemente dall’irrilevante
circostanza che il suo contenuto sia conforme, estraneo o contrastante
rispetto alla coscienza religiosa individuale; che alla configurazione
costituzionale del diritto individuale di liberta’ di coscienza
nell’ambito della religione e alla distinzione dell'”ordine” delle
questioni civili da quello dell’esperienza religiosa corrisponde,
rispetto all’ordinamento giuridico dello Stato e delle sue
istituzioni, il divieto di ricorrere a obbligazioni di ordine
religioso per rafforzare l’efficacia dei propri precetti; e che il
giuramento e’ certamente atto avente significato religioso – il
giuramento “decisorio”, cosi’ come disciplinato dall’art. 238 cod.
proc. civ., viola sia la liberta’ di coscienza in materia di religione
(laddove esso, pur non essendo propriamente imposto dalla legge, e’
comunque oggetto di una prescrizione legale alla quale la parte si
trova sottoposta con conseguenze negative), sia la distinzione,
imposta dal fondamentale principio costituzionale di laicita’ o non
confessionalita’ dello Stato, tra l'”ordine” delle questioni civili e
l'”ordine” delle questioni religiose (laddove dalle norme impugnate
deriva un’inammissibile commistione tra i due ordini, rappresentata
dal fatto che un’obbligazione di natura religiosa e il vincolo che ne
deriva nel relativo ambito sono imposti per un fine probatorio proprio
dell’ordinamento processuale dello Stato; con la conseguenza che,
siccome la liberta’ di coscienza di chi sia chiamato a prestare il
giuramento previsto dall’art. 238, comma 2, cod. proc. civ. comporta
che la determinazione del contenuto di valore che essa implica sia
lasciata alla coscienza, la dichiarazione di incostituzionalita’ del
riferimento alla responsabilita’ che si assume davanti a Dio deve
estendersi anche al riferimento alla responsabilita’ davanti agli
uomini, e con l’ulteriore conseguenza (ex art. 27 l. n. 87 del 1953)
che la dichiarazione di incostituzionalita’ deve estendersi al primo
comma del medesimo articolo – nella parte in cui prevede che il
giurante sia ammonito dal giudice circa l’importanza religiosa del
giuramento – avuto riguardo alla inscindibilita’ di tale previsione da
quella contenuta nel secondo comma.

Sentenza 04 maggio 1995, n.149

L’asimmetria sussistente nell’ordinamento quanto alla differente
tutela accordata alla liberta’ di coscienza del testimone nel processo
penale e in quello civile manifesta un’irragionevole disparita’ di
trattamento in relazione alla protezione di un diritto inviolabile
dell’uomo, la liberta’ di coscienza, che, come tale, esige una
garanzia uniforme o, almeno omogenea nei vari ambiti in cui si
esplica. Pertanto al fine di assicurare tale pari tutela al valore
della liberta’ di coscienza riguardo all’obbligo del testimone di
impegnarsi a dire la verita’, si impone l’estensione all’art. 251,
secondo comma, cod. proc. civ. della disciplina e della formula
previste dall’art. 497, secondo comma, cod. proc. pen., – assunte dal
giudice rimettente a ‘tertium comparationis’ – le quali sono scevre da
qualsiasi riferimento a prestazioni di giuramento. Del resto, anche se
il particolare profilo sottoposto al presente giudizio non consente di
oltrepassare i confini del giuramento del testimone e di affrontare il
problema del giuramento in generale (anche alla luce dell’art. 54
della Costituzione), non e’ senza significato sottolineare che la
soluzione prescelta dal legislatore per il processo penale rappresenta
un’attuazione del “principio supremo della laicita’ dello Stato, che
e’ uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta
costituzionale della Repubblica”: principio che – come la Corte ha
affermato – “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle
religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della liberta’
di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.