Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza interlocutoria 14 gennaio 2013, n.712

Afferma la Sezione I Civile della Cassazione, nella sentenza n.
1343/2011 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5571], che
la prolungata convivenza tra i coniugi rappresenta condizione ostativa
alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del
matrimonio concordatario laddove si sia tradotta in un rapporto
corrispondente alla durata del matrimonio o comunque ad un periodo di
tempo considerevole dopo la celebrazione del matrimonio e la scadenza
del termine per l’impugnativa del matrimonio-atto. La costruzione
esegetica, che assume a dato dirimente la durata del matrimonio intesa
quale convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla
celebrazione del matrimonio, richiamando espressamente il dettato
delle S.U. n. 19809 del 18 luglio 2008
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=4915], rileva che
l’ordine pubblico interno matrimoniale manifesta il “favor” per la
validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare incidente
sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali. A questo
orientamento si è sostanzialmente uniformata la sentenza n. 9844/2012
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5898], in un caso in
cui la sentenza del tribunale ecclesiastico aveva dichiarato la
nullità del matrimonio concordatario per difetto di consenso,
assumendo tale vizio psichico a condizione d’inettitudine del
soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento
della manifestazione del consenso, sostanzialmente conforme
all’ipotesi di invalidità contemplata dall’art. 120 c.c.,
sostenendo all’esito che la durata ventennale del matrimonio
prospettata dalla ricorrente come impeditiva della delibazione non
rilevava nella specie, essendosi la medesima ricorrente limitata a
porre in evidenza solo detto elemento temporale, e non l’effettiva
convivenza dei coniugi nello stesso periodo, che in ogni caso avrebbe
dovuto essere dedotta e provata in sede di delibazione. Anche la
sentenza della Cass. n. 1780 del 2012
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5784] ha aderito al
richiamato arresto, con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra
matrimonio atto e matrimonio rapporto, pur escludendo nella specie
l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato. Si
è invece consapevolmente discostata da tale orientamento la sentenza
della Cassazione n. 8926 del 2012
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5897] che, in un
caso in cui era accertato il vizio simulatorio di uno degli sposi, ha
escluso che la convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del
matrimonio, che pur nella specie considerata si era protratta per
oltre trent’anni, “esprima norme fondamentali che disciplinano
l’istituto del matrimonio e, pertanto, non è ostativa, sotto il
profilo dell’ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza
ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico” (nel solco
tracciato dal precedente delle S.U. n. 4700/1988
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=4023]). Ed invero,
prosegue nella motivazione la sentenza n. 8926/2012, “considerata la
natura dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica,
disciplinati da accordi il cui valore, nell’ambito del principio di
bilateralità, è consacrato nell’art. 7 Cost., comma 2, che fornisce
copertura costituzionale anche agli accordi successivi ai Patti
Lateranensi, ivi espressamente indicati”, e pur nel vigore della L. 25
marzo 1985 n. 121 che ha dato esecuzione all’accordo di modificazioni
ed al protocollo addizionale del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e
l’Italia, “restando attribuita in via esclusiva al tribunale
ecclesiastico la cognizione sull’invalidità del matrimonio
concordatario, siccome disciplinato nel suo momento genetico dalla
legge canonica”, la Corte d’appello, chiamata in sede di delibazione
ad attribuirne efficacia nel nostro territorio, è tenuta a trovare un
punto di equilibrio nelle non poche ipotesi di divergenza tra il
diritto canonico e quello civile. Di qui la necessità di delimitare
il concetto di “ordine pubblico interno” circoscrivendolo al caso
in cui si ravvisi una contrarietà ai canoni essenziali cui secondo
l’ordinamento interno è improntata la struttura dell’istituto
matrimoniale, tra i quali non si annovera l’instaurazione del
“matrimonio-rapporto” e la stabilità ad esso attribuita dalla
previsione dell’art. 123 comma 2 c.c. La tesi ivi propugnata si
colloca, dunque, in una cornice interpretativa del tutto contrastante
con quella fondante la sentenza n. 1343/2011 e la composizione del
rilevato contrasto, ad avviso della Suprema Corte adita, deve pertanto
essere rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione, così come la
definizione delle ulteriori questioni originate dalle riferite opzioni
interpretative allo stato irrisolte.

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La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento
Settimio Carmignani Caridi, Università degli Studi di Roma “Tor
Vergata”, Segretario generale della Consociatio Internationalis
Studio Iuris Canonici Promovendo

Sentenza 08 febbraio 2012, n.1780

Pur meritando adesione l’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la
successiva convivenza prolungata è da considerarsi espressiva della
volonta di accettazione del matrimonio-rapporto con conseguente
incompatibilità dell’esercizio postumo dell’azione di nullità (cfr.
Cass., Sez. I, 20 gennaio 2011, n. 1343
[https://www.olir.it/documenti/?documento=5571]; e Cass., S.U., 18
luglio 2008, n. 19809 [https://www.olir.it/documenti/?documento=4915]),
si deve ritenere che esso trovi applicazione nei casi in cui, dopo il
matrimonio nullo, tra i coniugi si sia instaurato un vero consorzio
familiare e affettivo, con superamento implicito della causa
originaria di invalidità. In tale ricostruzione interpretativa, il
limite di ordine pubblico postula, pertanto, che non di mera
coabitazione materiale sotto lo stesso tetto si sia trattato, – che
nulla aggiungerebbe ad una situazione di mera apparenza del vincolo –
bensì di vera e propria convivenza significativa di un’instaurata
affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi
reciproci tale da dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto
duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto.

Sentenza 05 marzo 2012, n.3378

Se, da un lato, il giudice italiano è tenuto ad accertare la
conoscenza o l’oggettiva conoscibilità dell’esclusione di uno dei
bona matrimonii da parte dell’altro coniuge con piena autonomia,
trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo
canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronuncia
ecclesiastica di nullità, dall’altro, la relativa indagine deve
essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare
ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti,
opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi luogo, in fase di
delibazione, ad alcuna integrazione di attività istruttoria.

Sentenza 15 marzo 2012, n.4184

La diversità di sesso dei nubendi è — unitamente alla
manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in
presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante – secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, requisito minimo
indispensabile per la stessa esistenza del matrimonio civile come atto
giuridicamente rilevante (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1808 del
1976, 1304 del 1990 cit., 1739 del 1999, 7877 del 2000).
Questo requisito – pur non previsto in modo espresso né dalla
Costituzione, né dal codice civile vigente (a differenza di quello
previgente del 1865 che, nell’art. 55 ad esempio, stabiliva, quanto
al requisito dell’età: «Non possono contrarre matrimonio l’uomo
prima che abbia compiuto gli anni diciotto, la donna prima che abbia
compiuto gli anni quindici»), né dalle numerose leggi che,
direttamente o indirettamente, si riferiscono all’istituto
matrimoniale — sta tuttavia, quale ‘postulato’ implicito, a
fondamento di tale istituto, come emerge inequivocabilmente da
molteplici disposizioni di tali fonti e, in primo luogo, dall’art.
107, primo comma, cod. civ. che, nel disciplinare la forma della
celebrazione del matrimonio, prevede tra l’altro che l’ufficiale
dello stato civile celebrante «riceve da ciascuna delle parti
personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si
vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie» (si veda
anche l’art. 108, primo comma).
— Pertanto — sul piano delle norme, di rango primario o
sub-primario, applicabili alla fattispecie in prima approssimazione
—, alla specifica questione, consistente nello stabilire se due
cittadini italiani dello stesso sesso, i quali abbiano contratto
matrimonio all’estero, siano, o no, titolari del diritto alla
trascrizione del relativo atto nel corrispondente registro dello stato
civile italiano, deve darsi, in conformità con i su menzionati
precedenti di questa Corte, risposta negativa.
Al riguardo, deve essere infine precisato che, nella specie,
l’intrascrivibilità di tale atto dipende non già dalla sua
contrarietà all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R.
n. 396 del 2000, ma dalla previa e più radicale ragione,
riscontrabile anche dall’ufficiale dello stato civile in forza delle
attribuzioni conferitegli, della sua non riconoscibilità come atto di
matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano. Ciò che,
conseguentemente, esime il Collegio dall’affrontare la diversa e
delicata questione dell’eventuale intrascrivibilità di questo
genere di atti per la loro contrarietà con l’ordine pubblico.
 

Sentenza 23 settembre 2011, n.19450

La L. n. 218 del 1995, nell’abrogare (ex art. 73) gli artt. 796 ss.
c.p.c., dettati in tema di delibazione di sentenze straniere, ha fatto
salve, all’art. 41, le disposizioni delle leggi speciali in tema di
adozioni di minori, così predicando il perdurante vigore (e la
prevalenza) della disciplina speciale dell’adozione internazionale di
minori rispetto alle previsioni di carattere generale di cui alla
riforma del diritto internazionale privato. Ne consegue
l’applicabilità, “in “subiecta materia”, della L. 31 dicembre 1998,
n. 476 (recante ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela
dei minori adottata all’Aja il 29 maggio 1993), che ha radicalmente
modificato la disciplina dell’adozione internazionale, sostituendo al
procedimento di delibazione del provvedimento straniero dettato dalla
L. n. 184 del 1983, art. 32, una complessa procedura che si snoda in
più fasi, analiticamente disciplinate dai novellati artt. 29 e ss.,
ed affida al tribunale dei minorenni i poteri in dette norme previste,
tra l’altro disponendo, all’art. 36, comma 1, che l’adozione
internazionale dei minori provenienti da Stati che hanno ratificato la
Convenzione può avvenire “soltanto con le procedure e gli effetti
previsti dalla presente legge” (Nel caso di specie, la Suprema Corte
ha cassato senza rinvio il provvedimento impugnato, perchè la domanda
di delibazione, ex art. 67, comma 2 della L. n. 218 del 1995, non
poteva essere proposta per la specialità del ritoinderogabilmente
disciplinato dalla L. n. 183 del 1984 come modificata dalla L. n. 476
del 1998).

Sentenza 22 agosto 2011, n.17465

La sentenza ecclesiastica che abbia pronunciato la nullità del
matrimonio per esclusione, da parte di uno dei coniugi, dei bona
matrimonii è delibabile purchè tale divergenza tra volontà e
dichiarazione sia stata manifestata all’altro coniuge o da questo
conosciuta o comunque conoscibile con ordinaria diligenza. Nel caso di
specie, il fidanzamento interrotto da una relazione con altra donna, i
tratti caratteriali del coniuge sensibile al fascino di altre donne e
alieno da legami stabili e duraturi, l’induzione al matrimonio per
intervenuta gravidanza e la convinzione, espressa in varie sedi, che
vi sarebbe stata comunque la possibilità di divorzio, sono apparsi
elementi idonei a ritere insussistente la violazione del principio
dell’affidamento incolpevole.

Decreto 05 maggio 2011

L’ufficiale dello stato civile può procedere alle pubblicazioni anche
in assenza del nulla osta previsto dall’art. 116 c.c. per il
matrimonio dello straniero, qualora il mancato rilascio risulti
ingiustificato o sia determinato da motivi religiosi (mancata adesione
di un nubendo alla religione dell’altro: nel caso di specie, mancata
conversione alla fede musulmana del nubendo cittadino italiano) e
costituisca perciò un’arbitraria o discriminatoria preclusione del
diritto di contrarre matrimonio.

Sentenza 10 giugno 2011, n.12738

La tutela di interessi riguardanti la costituzione di un rapporto –
quello matrimoniale – oggetto di rilievo e tutela costituzionale, in
quanto incidente in maniera particolare sulla vita della persona e su
istituti e rapporti costituzionalmente rilevanti” (Cass. n.
3339/2003), impongono alla Corte d’appello di verificare, rendendone
conto con adeguata motivazione, se il coniuge che abbia apposto la
condizione al matrimonio, abbia anche reso partecipe l’altro coniuge
del suo contenuto effettivo, se cioè – nel caso di specie – egli
volendo effettivamente subordinare il vincolo matrimoniale ed il suo
mantenimento alla fissazione della residenza coniugale nel luogo da
lui prescelto, abbia espresso questa sua precisa volontà alla moglie,
o quanto meno le abbia consentito la percezione di tale riserva con
fatti concludenti, dai quali fosse univocamente desumibile con
ordinaria diligenza.

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Per approfondire in OLIR.it
Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile, Sentenza 6 marzo 2003, n.
3339 [https://www.olir.it/documenti/?documento=1331]

Circolare 02 marzo 2011

Circulaire du 2 mars 2011 relative à la mise en œuvre de la loi n° 2010-1192 du 11 octobre 2010 interdisant la dissimulation du visage dans l'espace public. NOR: PRMC1106214C Le Premier ministre à Monsieur le ministre d'Etat, Mesdames et Messieurs les ministres, Mesdames et Messieurs les secrétaires d'Etat, Monsieur le préfet de police, Mesdames […]