Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Risoluzione 01 gennaio 2013, n.134

Risoluzione 1 gennaio 2013, n. 134: "Condemning the Government of Iran for its state-sponsored persecution of its Baha’i minority and its continued violation of the International Covenants on Human Rights". H. Res. 134 In the House of Representatives, U. S., January 1, 2013. Whereas, in 1982, 1984, 1988, 1990, 1992, 1994, 1996, 2000, 2006, 2008, […]

Sentenza 05 settembre 2012

Per individuare in concreto quali siano gli atti che possono essere
considerati una persecuzione nell’accezione dell’articolo 9,
paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del
29 aprile 2004 (recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini
di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme
minime sul contenuto della protezione riconosciuta; di qui in poi
“direttiva”), non è pertinente distinguere tra gli atti che ledono un
«nucleo essenziale» («forum internum») del diritto fondamentale
alla libertà di religione, che non comprenderebbe le pratiche
religiose in pubblico («forum externum»), e quelli che non incidono
su tale presunto «nucleo essenziale».
Questa distinzione non è compatibile con la definizione estensiva
della nozione di «religione» che la direttiva fornisce
all’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), integrandovi il complesso
delle sue componenti, siano esse pubbliche o private, collettive o
individuali. Gli atti che possono costituire una «violazione grave»
ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva
comprendono atti gravi che colpiscono la libertà del richiedente non
solo di praticare il proprio credo privatamente, ma anche di viverlo
pubblicamente.
Questa interpretazione è idonea ad attribuire all’articolo 9,
paragrafo 1, della direttiva una sfera di applicazione entro la quale
le autorità competenti possono valutare qualsiasi tipo di atto lesivo
del diritto fondamentale alla libertà di religione onde determinare
se, alla luce della sua natura o reiterazione, esso risulti
sufficientemente grave da essere considerato una persecuzione.
Se ne evince che gli atti i quali, a causa della loro intrinseca
gravità unitamente alla gravità della loro conseguenza per la
persona interessata, possono essere considerati persecuzione devono
essere individuati non in funzione dell’elemento della libertà di
religione che viene leso, bensì della natura della repressione
esercitata sull’interessato e delle conseguenze di quest’ultima.
Pertanto, è la gravità delle misure e delle sanzioni adottate, o che
potrebbero essere adottate, nei confronti dell’interessato che
determinerà se una violazione del diritto garantito dall’articolo
10, paragrafo 1, della Carta costituisca una persecuzione ai sensi
dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva.
Di conseguenza, una violazione del diritto alla libertà di religione
può costituire una persecuzione a norma dell’articolo 9, paragrafo
1, lettera a), della direttiva quando il richiedente asilo, a causa
dell’esercizio di tale libertà nel paese d’origine, corre un
rischio effettivo, in particolare, di essere perseguitato, o di essere
sottoposto a trattamenti o a pene disumani o degradanti ad opera di
uno dei soggetti indicati all’articolo 6 della direttiva (nel caso
di specie, due cittadini pachistani, appartenenti alla comunità
Ahmadiyya, movimento riformatore dell’Islam, erano stati oggetto nel
loro Paese di atti di violenza durante lo svolgimento delle pratiche
religiose e denunciati alle autorità per avere insultato il nome di
Maometto. In particolare, il codice penale pakistano dispone che i
membri della comunità Ahmadiyya sono passibili di una pena fino a tre
anni di reclusione o di una pena pecuniaria se affermano di essere
musulmani, qualificano come Islam la loro fede, pregano o propagano la
loro religione o se cercano proseliti. A norma dell’articolo 295 C
di detto codice penale, chiunque oltraggia il nome del profeta
Maometto può essere punito con la pena di morte o l’ergastolo oltre
a una pena pecuniaria).

Nota 19 gennaio 2011, n.451

Nota ministeriale 19 gennaio 2011, n. 451: "Celebrazione del Giorno della Memoria – 27 gennaio 2011". Il 27 gennaio, come è noto, si celebra in Italia, come in tanti altri Paesi del mondo, il “ Giorno della Memoria”, in ricordo della liberazione dei sopravvissuti del campo di sterminio nazista di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio […]

Legge regionale 18 gennaio 2010, n.1

Legge regionale Lombardia 18 gennaio 2010, n. 1: "Sostegno alle attività di studio e memoria sui fondamenti e lo sviluppo dell’assetto democratico della Repubblica". ARTICOLO 1 (Finalità) 1. Con la presente legge la Regione Lombardia sostiene interventi finalizzati allo scopo di studiare, approfondire e mantenere viva la memoria dei fatti che hanno segnato la collettività […]

Sentenza 10 ottobre 2008, n.24906

Non integra il concreto rischio di trattamenti personali degradanti la
prospettazione della situazione generale di “sudditanza” delle
donne nel paese di provenienza; una condizione che, certamente
inaccettabile per ogni coscienza civile, è però priva della
necessaria individualità postulata anche dalla Convenzione di Ginevra
28.7.1951 (oltre che dalla CEDU) perché venga integrato il fumus
persecutionis od anche solo perché sia adottata la misura di
protezione temporanea del divieto di respingimento (nel caso di
specie, la ricorrente rileva in particolare di essere stata sottoposta
ad infibulazione nel paese di origine).

Sentenza 19 maggio 2008, n.1698

L’art. 5, comma 6, del T.U. n. 286/1998 vieta il rifiuto o la revoca
del permesso di soggiorno nel caso in cui ricorrano seri motivi di
carattere umanitario. Deve pertanto ritenersi illegittimo il rifiuto
di rinnovo del permesso di soggiorno nei confronti dello straniero,
che – nel caso di ritorno al proprio paese d’origine – potrebbe essere
vittima di atti di violenza e/o di torture (Nel caso di specie, il
ricorrente, originario della regione sudanese del Darfur, aveva subito
la perdita del fratello, vittima di violenze a causa della religione
professata).

Sentenza 18 gennaio 2008, n.2907

In caso di mancato ottemperamento dell’ordine di allontanamento di
cittadino straniero, il quale affermi la sussistenza di un
giustificato motivo per tale inosservanza nella condizione di
omosessualità dello stesso, occorre che il giudice del merito, ai
fini della disapplicazione di detto provvedimento, accerti che – nel
paese d’origine del ricorrente – sia penalmente sanzionata
l’omossesualità come pratica personale.

Sentenza 25 ottobre 2007, n.22367

Non è accoglibile il ricorso, per violazione di legge e vizio di
motivazione, avverso la pronuncia emessa dal Giudice di Pace che abbia
confermato il provvedimento di espulsione nei confronti di una
cittadina extracomunitaria, che si dichiari sfuggita a persecuzioni di
carattere religioso a seguito della sua adesione alla fede cristiana
nel paese di origine, qualora detto Giudice rilevi che dagli atti di
causa non risulti l’esistenza di alcun elemento di prova, nemmeno di
natura indiziaria, tale da far ritenere sussistente quantomeno un
fumus di fondatezza dei fatti menzionati.