Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Costituzione 17 febbraio 1994

La Constitution belge, texte coordonné du 17 février 1994. (Omissis) TITRE II DES BELGES ET DE LEURS DROITS (Omissis) Art. 10 Il n’y a dans l’État aucune distinction d’ordres. Les Belges sont égaux devant la loi; seuls ils sont admissibles aux emplois civils et militaires, sauf les exceptions qui peuvent être établies par une loi […]

Sentenza 03 febbraio 2003, n.881

Il ricorso, volto ad ottenere la rimozione dei simboli religiosi dalle
scuole pubbliche, è inamissibile per nullità della
notificazione,laddove quest’ultima sia stata effettuta presso la sede
del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
anziché, come previsto dall’art. 144 c.p.c. e dalle relative leggi
speciali, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

Sentenza 18 aprile 2005, n.1762

L’Accordo di revisione del Concordato tra la Repubblica Italiana e la
Santa Sede ha disposto – all’articolo 10, n. 3 – che «le nomine dei
docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti
istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso,
della competente autorità ecclesiastica». In particolare, tale
gradimento – ai sensi di quanto disposto dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 195/1972 a cui il Protocollo addizionale si richiama
– costituisce un fatto estraneo all’ordinamento italiano, la cui
concreta sussistenza rappresenta un presupposto di legittimità della
nomina del docente, non sindacabile né dall’Università Cattolica,
né dal giudice amministrativo; l’assenza del gradimento obbliga
pertanto gli organi dell’Università Cattolica a prenderne atto, nel
senso che essi non possono attivare una fase del procedimento volta ad
accertare le ragioni di tale assenza, nè possono disporre la nomina,
in contrasto con le determinazioni dell’autorità ecclesiastica.

Ordinanza 26 marzo 2005

La rimozione del crocifisso dalle aule sedi dei seggi elettorali non
rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, posto che le
controversie sulla vigenza delle norme che prevedono, tra le altre
disposizioni di carattere generale ed organizzativo, la presenza del
crocifisso nelle aule scolastiche e, quindi, spiegano i loro effetti
verso una platea indifferenziata di soggetti, non attengono ad un
rapporto esclusivamente “individuale” di utenza, ai sensi dell’art.
33, 2° comma, lett. e), D. L.vo n. 80/98. Ciò premesso, anche a
volere ritenere configurabile la giurisdizione del giudice adito,
mancano in ogni caso le condizioni per accogliere tale domanda
cautelare, considerato che la mera esposizione di tale simbolo, nel
quale si identifica ancora oggi, sotto il profilo spirituale, la larga
maggioranza dei cittadini italiani, in assenza di qualsivoglia divieto
normativo, costituisce la testimonianza di tale diffuso sentimento,
senza alcuna valenza discriminatoria nei confronti delle altre
religioni, la cui libera professione è senza alcun dubbio consentita
e garantita dallo Stato. Né da tale presenza pare derivare alcuna
violazione e/o condizionamento quanto al libero esercizio del diritto
di voto, dovendosi in primo luogo ricondurre tale simbolo alla
radicata tradizione religiosa e culturale del Paese, senza
necessariamente dedurne un’interferenza, anche solo indiretta,
rispetto alle varie consultazioni (politiche, amministrative o
referendarie).

Ordinanza 31 marzo 2005

Il crocifisso non può essere considerato come simbolo esclusivamente
religioso. In una società come quella italiana, definita di “antica
cristianità”, non può infatti escludersi il carattere anche
culturale di quest’ultimo, in quanto espressione del patrimonio
storico di un popolo, alla cui identità tale simbolo va riferito. La
croce, dunque, oltre ad essere dotata di un particolare significato
per i credenti, rappresenta l’espressione della civiltà e della
cultura cristiana nella sua radice storica, come simbolo dotato di
valore universale. Pertanto, sotto tale profilo, e cioè considerando
il carattere culturale del crocifisso, è da escludere un contrasto
tra la sua mera presenza ed il principio di laicità dello Stato. Né
tale presenza contrasta comunque con il diritto, costituzionalmente
garantito, di libertà religiosa, posto che la stessa non appare
circostanza idonea a costringere ad atti di fede e ad atti contrari
alle proprie convinzioni religiose, e tale da essere, quindi, in
contrasto con il principio di libertà religiosa.

Ordinanza 24 marzo 2005

La presenza del crocifisso nelle aule scolastiche destinate a sedi di
seggio non rappresenta di per sé imposizione di un credo religioso o
di una forma di venerazione, né obbliga alcuno a tenere una
determinata condotta di adorazione o a dichiarare la propria posizione
in materia religiosa. Né, per il solo fatto di permanere durante lo
svolgimento delle operazioni di voto nelle consultazioni elettorali o
referendarie, tale presenza è idonea ad assumere una connotazione
particolare che in qualche modo condizioni, subordini o influenzi la
formazione dell’opinione politica o l’espressione del voto da parte
degli elettori. E’ inoltre dubitabile che sussista in astratto il
diritto soggettivo del privato di conseguire giudizialmente
l’adeguamento dell’ordinamento ad un principio costituzionale
(quale il principio di laicità dello Stato), in quanto ciò
significherebbe attribuire al singolo la possibilità di indirizzare
concretamente l’azione della P.A. al di fuori della normativa
(costituzionale, primaria, secondaria e regolamentare) che presiede
alla formazione ed alla attuazione della volontà della P.A., ed – in
secondo luogo – presupporrebbe che, a semplice richiesta di chiunque e
mancando lo specifico pregiudizio di cui appena sopra, l’Autorità
giudiziaria possa surrogarsi allo Stato nell’emanazione di
disposizioni normative dirette ad attuare nell’ordinamento i principi
costituzionali aventi carattere non precettivo, ma programmatico.

Risoluzione 07 settembre 2004, n.1390

Consiglio d’europa. Risoluzione 7 settembre 2004, n. 1390: “Nouvelle loi bulgare sur la religion (dite loi sur les cultes – 2002)” 1. La nouvelle loi bulgare sur la religion, dite loi sur les cultes de 2002, est entrée en vigueur le 1er janvier 2003, en remplacement de la loi sur les confessions de 1949, qui […]

Sentenza 28 giugno 1971

U.S. Supreme Court. Sentenza 28 giugno 1971: “Lemon v. Kurtzman: Finanziamenti statali in favore di scuole confessionali. Profili di incostituzionalità”. LEMON v. KURTZMAN, 403 U.S. 602 (1971) 403 U.S. 602 LEMON ET AL. v. KURTZMAN, SUPERINTENDENT OF PUBLIC INSTRUCTION OF PENNSYLVANIA, ET AL. APPEAL FROM THE UNITED STATES DISTRICT COURT FOR THE EASTERN DISTRICT OF […]

Sentenza 17 marzo 2005, n.1110

Nella attuale realtà sociale, si può sostenere che il crocifisso
debba essere considerato, oltre che come simbolo di un’evoluzione
storica e culturale, e quindi dell’identità del nostro popolo,
anche quale segno altresì di un sistema di valori di libertà,
eguaglianza, dignità umana, tolleranza religiosa e quindi anche
laicità dello Stato, che caratterizza la nostra Carta costituzionale.
In altri termini, i valori di libertà hanno molte radici; una di
queste è indubbiamente costituita dal cristianesimo. Sarebbe pertanto
sottilmente paradossale escludere un segno cristiano da una struttura
pubblica in nome di una laicità, che ha sicuramente una delle sue
fonti lontane proprio nella religione cattolica. Il segno della croce
quindi va considerato – nella sua collocazione scolastica – anche come
simbolo religioso del cristianesimo, non certo inteso nella sua
totalità, ma nella misura in cui i suoi valori fondanti di
accettazione e rispetto del prossimo – che ne costituiscono le
fondamenta e l’architrave – sono stati trasfusi nei principi
costituzionali di libertà dello Stato, sancendo la condivisione di
alcuni principi fondamentali della Repubblica con il patrimonio
cristiano. Pertanto, il crocifisso inteso sia come simbolo di una
particolare storia, cultura e identità nazionale – elemento questo
immediatamente percepibile – oltre che, per i motivi sopra esposti,
quale espressione di alcuni principi laici della comunità, può
essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in
quanto segno non solo non contrastante ma addirittura affermativo e
confermativo del principio della laicità dello Stato repubblicano.

Sentenza 17 febbraio 1993, n.174

Le disposizioni del decreto del Ministero dell’educazione e cultura
n. 333 del 1986 non comportano innovazioni fondamentali nei riguardi
delle norme del decreto-lei n. 323 del 1983, già dichiarate non
contrarie alla costituzione con la pronunzia n. 423 del 1987, e
pertanto non possono essere dichiarate incostituzionali dal punto di
vista formale, non eccedendo i limiti della potestà regolamentare
attribuita al governo e non invadendo la sfera di competenza
legislativa riservata al parlamento in materia di principi
costituzionali di uguaglianza e di laicità. Le disposizioni del
medesimo decreto non sono in contrasto, neppure dal punto di vista
sostanziale, con i principi costituzionali di libertà religiosa, di
separazione tra chiesa e stato, di non confessionalità
dell’insegnamento pubblico e di uguaglianza, perché nell’epoca
contemporanea la libertà religiosa non è da intendere solo in senso
negativo, venendo ad assumere anche un significato positivo, e cioè
quello di un potere cui vanno garantiti i mezzi per realizzare in
concreto i fini che ne costituiscono l’oggetto. Tale prospettazione
consente di precisare che i principi costituzionali della separazione
tra chiesa e stato e di non confessionalità dell’insegnamento
pubblico non comportano una assoluta separatezza tra le due
istituzioni, così da ostacolare una loro collaborazione finalizzata a
soddisfare le esigenze positive della libertà religiosa. Il principio
di uguaglianza, a sua volta, non impedisce di corrispondere in modo
proporzionato alle esigenze delle varie confessioni, purché le
differenze di trattamento non siano arbitrarie e concretamente
infondate o manifestamente irragionevoli. Alla luce di tali
considerazioni, non è contrario al principio di separazione e a
quello di non confessionalità inserire un insegnamento facoltativo
della religione tra le materie curriculari della scuola primaria, o
prevedere azioni di formazione dei titolari del suddetto insegnamento
presso le istituzioni pubbliche di istruzione superiore, se tale
insegnamento e tali azioni, pur svolgendosi nelle strutture pubbliche
e con il sussidio dello stato, si configurano come iniziative promosse
e gestite sotto la responsabilità della confessione. Del resto lo
stato ha il dovere di offrire alla chiesa cattolica queste
possibilità e, soprattutto, di cooperare (art. 67, n. 2, linea C,
Cost.) con i genitori cattolici nella educazione dei loro figli. In
particolare, non è contrario ai principi di separazione e di non
confessionalità la previsione che nella stessa persona
dell’insegnante di classe della scuola primaria si cumuli la doppia
rappresentanza della chiesa cattolica, in quanto docente della
disciplina di religione e morale cattolica, e dello stato, in quanto
docente delle altre discipline, perché nella qualità di docente
della disciplina di religione e morale cattolica egli non opera come
emanazione dello stato ma come emanazione della chiesa; per altro, il
timore reverenziale che potrebbe essere provocato nei genitori dalla
circostanza dell’insegnante di classe investito di entrambe le
qualifiche, inducendoli a scegliere per i figli la disciplina di
religione e morale cattolica, non attinge al nucleo essenziale della
libertà religiosa, che comporta sempre, in questo come in altri casi,
la necessità di “rischiare” per affermare la sovranità della persona
sulla sovranità dello stato. Non è in contrasto con il principio di
libertà religiosa l’affidamento degli alunni non frequentanti la
disciplina di religione e morale cattolica impartita dall’insegnante
di classe ad altri insegnanti di classe o ad altri soggetti incaricati
della loro educazione; nel caso di specie non è possibile una
acritica trasposizione del principio accolto dalla Corte
costituzionale italiana, secondo cui gli alunni che decidono di non
frequentare l’insegnamento della religione cattolica debbono godere,
in tutta la sua estensione, di uno “stato di non obbligo”: gli alunni
della scuola primaria non hanno, per la loro tenera età, la maturità
sufficiente per potere usufruire di uno “stato di non obbligo” e
pertanto sono costituzionalmente legittime le norme che stabiliscono
forme alternative obbligatorie di impegno educativo per gli alunni di
tale ordine di scuole; può anzi aggiungersi che la previsione e
organizzazione di “attività alternative”, costituisce un requisito
indispensabile di garanzia della libertà religiosa, al fine di
evitare che la loro mancanza rappresenti un elemento capace di
influire sulla decisione dei genitori di avvalersi o no per i loro
figli ell’insegnamento di religione e morale cattolica. Le
disposizioni oggetto del presente giudizio non possono essere
sottoposte al vaglio della Corte riguardo ad un preteso contrasto con
il principio di uguaglianza, a motivo del fatto che esse disciplinano
soltanto l’insegnamento di religione e morale cattolica nelle scuole
primarie e non regolamentano anche l’insegnamento confessionale non
cattolico nelle stesse scuole, perché la censura
d’incostituzionalità per omissione deve proporsi con uno strumento
processuale, di tipo diverso da quello utilizzato in questo giudizio,
previsto autonomamente dall’art. 283 Cost. Le disposizioni del
decreto del Ministero dell’educazione e cultura n. 831 del 1987 non
sono incostituzionali dal punto di vista formale, in quanto si
limitano ad “attualizzare” le norme precedenti relative
all’insegnamento di religione e morale cattolica impartito nelle
scuole di magistero primario e in quelle destinate a preparare e
formare i docenti delle scuole primarie, dopo la elevazione di questi
istituti al livello dell’insegnamento superiore e pertanto non
innovano in materia costituzionalmente riservata alla competenza
legislativa dell’Assemblea repubblicana. Le medesime disposizioni
non presentano profili di incostituzionalità sostanziale sulla base
degli stessi motivi per cui tali profili sono stati esclusi
nell’esame delle disposizioni del decreto n. 333 del 1986, rispetto
alle quali presentano un carattere meramente strumentale.