Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 25 gennaio 1996, n.16

Poiché la disciplina normativa di cui alla legge 20 maggio 1982, n.
270 per la sua natura eccezionale è da ritenersi di stretta
interpretazione, gli insegnanti di religione non possono ritenersi
destinatari di tale disciplina e quindi sono esclusi dalla sessione
riservata degli esami di abilitazione per l’insegnamento nelle
scuole medie. Tale esclusione non è in contrasto con i principi
costituzionali di uguaglianza e di imparzialità di cui agli artt. 3 e
97 Cost.

Ordinanza 13 dicembre 1996

Tribunale Amministrativo Regionale per La Sicilia. Sezione staccata di Catania. Ordinanza 13 dicembre 1996. (da “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italina” n. 3, prima serie speciale, del 21 gennaio 1998) (Zingales; Campanella) IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza (omissis) Diritto 1. – I due ricorsi, attesa la connessione soggettiva ed oggettiva sussistente fra […]

Sentenza 05 gennaio 1994, n.5

In sede di esami e scrutini il voto del docente di religione, ove
determinante, deve essere espresso a mezzo di un giudizio motivato,
che ha però carattere decisionale e costitutivo della maggioranza.

Sentenza 17 giugno 1993, n.250

Lo svolgimento di riti o pratiche religiose e, in generale, il
compimento di atti di culto non rientrano fra le attività
extrascolastiche di cui all’art. 6, II comma, lett. D) e F) del
D.P.R. 416 del 1974. E’ pertanto illegittima per violazione e falsa
interpretazione ed applicazione della legge la delibera del Consiglio
di Circolo scolastico che consente lo svolgimento di tali attività
nelle aule scolastiche e negli orari destinati alle normali lezioni,
all’insegnamento cioè delle materie oggetto dei programmi della
scuola statale, nonché la partecipazione degli alunni a tali riti e
pratiche religiose.

Sentenza 27 febbraio 1997, n.1686

Cassazione. Sezioni Unite Civili. Sentenza 27 febbraio 1997, n. 1686. (Franco Bile, Carlo Bibolini) REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI riunita in camera di consiglio in persona dei sigg. magistrati FRANCO BILE PRESIDENTE DI SEZIONE f. f. di PRIMO PRESIDENTE ROMANO PANZARANI PRESIDENTE DI SEZIONE ANTONIO […]

Sentenza 10 novembre 1993, n.809

Gli insegnanti della religione cattolica costituiscono
nell’ordinamento scolastico una categoria a parte, disciplinata
dalle disposizioni della L. 5 giugno 1930 n. 834, che si configurano
indubbiamente come una normativa “speciale”, a base pattizia,
caratterizzata non soltanto dalla necessità di una previa intesa tra
l’autorità statale ed ecclesiastica ai fini della determinazione
dei programmi d’insegnamento e della scelta dei docenti, ma anche
della sostanziale precarietà del rapporto d’impiego del personale
preposto all’insegnamento religioso, dovendosi tale rapporto reggere
non soltanto nel momento genetico, ma anche nel suo continuo svolgersi
sull’assenso dell’autorità ecclesiastica; ne consegue che, al
personale in questione, non si applica la disciplina generale sulla
formazione delle graduatorie, bensì la cit. legge n. 834 del 1930
nonché le norme vigenti, nell’ordinamento interno, per gli
insegnanti incaricati a tempo indeterminato forniti di abilitazione,
tale essendo il valore dell’approvazione o dell’attestato
rilasciato dall’ordinario diocesano.

Sentenza 22 ottobre 1999, n.390

Non e’ fondata la questione di legittimita’ costituzionale – sollevata
in riferimento all’art. 3 Cost. – degli artt. 5, primo comma, e 6
della legge 5 giugno 1930, n. 824 (Insegnamento religioso negli
istituti medi d’istruzione classica, scientifica, magistrale, tecnica
ed artistica); della legge 25 marzo 1985, n. 121 (Ratifica ed
esecuzione dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il
18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense
dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede),
nella parte in cui da’ esecuzione all’art. 9, numero 2, di tale
Accordo; dell’art. 309, comma 2, del decreto legislativo 16 aprile
1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di
ogni ordine e grado), “laddove prevedono che la nomina degli
insegnanti di religione, su proposta dell’ordinario diocesano, ha
efficacia annuale, senza alcuna possibilita’ di essere inseriti
nell’organico dei docenti, e con possibilita’ di revoca ‘ad libitum’
dell’incarico”. Posto, infatti, che la lesione del principio di
eguaglianza viene denunciata comparando la condizione degli insegnati
di religione rispetto a quella dei docenti di altre discipline, sul
presupposto che solo per i primi, nell’ambito del personale docente
della scuola, sia prevista la annualita’ dell’incarico; tale premessa
e’ inesatta sia relativamente all’assenza di rapporti di lavoro a
tempo determinato per il personale docente, sia relativamente alla
configurazione dell’assoluta precarieta’ degli insegnati di religione.
Invero, sotto il primo aspetto, il conferimento dell’insegnamento per
incarico si inquadra nel sistema delle assunzioni a tempo determinato,
sempre previste dalla comune disciplina scolastica; sotto il secondo
aspetto, proprio tale disciplina (art. 47, commi 6 e 7, del contratto
collettivo nazionale di lavoro del comparto del personale della scuola
di cui al provv. P.C.M. 21 luglio 1995) prevede che l’incarico annuale
degli insegnanti di religione si intende confermato qualora permangano
le condizioni ed i requisiti prescritti, assimilando questo incarico,
con le specificita’ ad esso proprie, al rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, anche quanto alla progressione economica di carriera
(art. 53 della legge 11 luglio 1980, n. 312).

Sentenza 10 novembre 1997, n.329

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, comma
1, e 8, comma 1, Cost., l’art. 404, comma 1, cod. pen., nella parte in
cui prevede la pena della reclusione da uno a tre anni, anziche’ la
pena diminuita prevista dall’art. 406 cod. pen., sia perche’, nella
visione costituzionale attuale, la ‘ratio’ differenziatrice – che
ispiro’ il legislatore del 1930 con il riconoscimento alla Chiesa e
alle religioni cattoliche di un valore politico, quale fattore di
unita’ morale della nazione – non vale piu’ oggi, quando la
Costituzione esclude che la religione possa considerarsi
strumentalmente rispetto alle finalita’ dello Stato e viceversa; sia
perche’, in attuazione del principio costituzionale della laicita’ e
non confessionalita’ dello Stato – che non significa indifferenza di
fronte all’esperienza religiosa, ma comporta equidistanza e
imparzialita’ della legislazione rispetto a tutte le confessioni
religiose – la protezione del sentimento religioso e’ venuta ad
assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di
liberta’ di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare
allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono,
nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai
diversi contenuti di fede delle diverse confessioni; sia, infine,
perche’ il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale – quale criterio
di giustificazione di differenze fra confessioni religiose operate
dalla legge – se puo’ valere come argomento di apprezzamento delle
scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, e’
viceversa vietato laddove la Costituzione, nell’art. 3, comma 1,
stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in
base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l’appunto
la religione, e cioe’ che la protezione del sentimento religioso,
quale aspetto del diritto costituzionale di liberta’ religiosa, non e’
divisibile.

Sentenza 18 ottobre 1995, n.440

É costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 8,
primo comma, Cost., l’art. 724, primo comma, del codice penale – che
punisce con un’ammenda chiunque pubblicamente bestemmi, con invettive
o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone
venerati nella religione dello Stato – , limitatamente alle parole: “o
i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato”, in
quanto differenzia la tutela penale del sentimento religioso
individuale a seconda della fede professata. Infatti, mentre la
bestemmia contro la Divinità può considerarsi punita
indipendentemente dalla riconducibilità della Divinità stessa a
questa o a quella religione, di guisa che, già ora, risultano
protetti dalle invettive e dalle espressioni oltraggiose tutti i
credenti e tutte le fedi religiose, senza distinzioni o
discriminazioni, la bestemmia contro i Simboli o le Persone venerati,
di cui alla seconda parte della disposizione, si riferisce
testualmente soltanto alla “religione dello Stato”, e cioè alla
religione cattolica. Alla riconosciuta violazione del principio di
eguaglianza, in presenza del divieto di decisioni additive, in materia
penale, che preclude alla Corte l’estensione della norma alle fedi
religiose escluse, consegue il suo annullamento per difetto di
generalità.