Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 29 maggio 2009, n.22700

Il princìpio, sancito nell'art. 3 c.p.,
dell'obbligatorietà della legge penale, per cui tutti
coloro che, cittadini o stranieri, si trovino nel territorio dello
Stato, implica che le tradizioni etico-sociali di questi soggetti
possano essere osservate solo fuori dall'ambito di
opera­tività della norma penale. Ciò assume
particolare valore morale e sociale allorché la tutela penale
riguardi materie di rilevanza costituzionale. E' questo il caso
della famiglia, che la legge fondamenta­le dello Stato riconosce
quale società naturale, ordinata sull'uguaglianza morale e
giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.) e che deve essere garantita in
quanto inserita in un ordinamento incentrato sulla dignità
della persona umana (nel caso di specie, non veniva pertanto accolto
il rilievo, in ordine alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, dedotto sulla base del fatto che i coniugi fossero
portatori di cultura, religione e va­lori differenti da quelli
italiani)

Sentenza 06 febbraio 2009, n.1206

L’art. 14 del D.P.R. n. 394/1999, nell’indicare le attività
consentite in relazione ai permessi di soggiorno per motivi di lavoro
subordinato, di lavoro autonomo, familiari e di studio, espressamente
consente la conversione di tali permessi di soggiorno per
l’attività effettivamente svolta. La predetta disposizione,
tuttavia non può interpretarsi nel senso che soltanto le menzionate
tipologie di permesso di soggiorno possano essere oggetto di
conversione e, conseguentemente, che per quelle non espressamente ivi
richiamate tale conversione non sarebbe consentita. Ciò nella
considerazione che la norma suddetta non contiene alcuna espressa
esclusione dalla conversione di altre tipologie di permesso di
soggiorno diverse da quelle sopra menzionate ed in particolare, per
quanto qui interessa, con riferimento al permesso di soggiorno per
motivi religiosi (nel caso di specie, veniva accolto il ricorso di una
cittadina indiana che, in vigenza del permesso di soggiorno per motivi
religiosi, svolgeva attività lavorativa come infermiera
professionale, in base ad un regolare contratto di lavoro
subordinato).

Sentenza 04 marzo 2008

Rimuovere il velo, al fine di sottoporsi ad un controllo
d’identità, costituisce una restrizione ai sensi del secondo
paragrafo dell’articolo 9 CEDU. Occorre perciò stabilire se tale
ingerenza sia “necessaria in una società democratica” per
raggiungere tali finalità. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto,
in relazione ai controlli di sicurezza imposti per l’accesso a
locali consolari, la rimozione temporanea del velo come una misura
necessaria per la sicurezza pubblica. Inoltre, quanto alla proposta
della ricorrente di rimuovere il velo unicamente in presenza di una
donna, la Corte ha affermato che il mancato conferimento dell’incarico
di identificazione ad un agente di sesso femminile da parte delle
autorità consolari non oltrepassasse il margine di discrezionalità
dello Stato in materia. La Corte ha ritenuto, pertanto, che la
ricorrente non avesse subito alcuna restrizione sproporzionata
nell’esercizio del suo diritto alla libertà di religione.

Circolare ministeriale 28 ottobre 2008

D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5:
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4051] ” Attuazione
della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento
familiare”; D.Lgs. 3 ottobre 2008, n. 160:
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4809] “Modifiche
ed integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5,
attuazione direttiva relativa al diritto di ricongiungimento
familiare”.

Decreto legislativo 03 ottobre 2008, n.160

Decreto Legislativo 3 ottobre 2008, n. 160: “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, attuazione direttiva relativa al diritto di ricongiungimento familiare”. (G.U. n. 247 del 21 ottobre 2008) Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al […]

Ordinanza 11 febbraio 2008, n.2380

La circolare n. 20 del 17 dicembre 2007, nel regolare le modalità di
iscrizione alle scuole dell’infanzia, riservata “ai bambini nati
dal 1° gennaio 2003 al 30 aprile 2006 e appartenenti a nuclei
familiari residenti a Milano alla data di iscrizione”, prevede
espressamente la subordinazione della possibilità di accesso alla
scuola materna – da parte di minori stranieri – al requisito della
titolarità di regolare permesso di soggiorno delle rispettive
famiglie “entro la data del 29 febbraio 2008”. Sotto tale profilo,
tuttavia, occorre rilevare come la posizione del minore –
nell’ambito della regolamentazione del soggiorno dello straniero sul
territorio dello Stato – appaia del tutto peculiare ed autonoma
rispetto a quella dei suoi familiari. Al divieto di espulsione del
minore extracomunitario, previsto dall’art. 19 comma 2, lett. a),
D.Lgs 286/98, corrisponde infatti il diritto del minore stesso ad
ottenere un permesso di soggiorno fino al raggiungimento della
maggiore età (art. 28 comma i lett. a) Dpr. 394/99); e dunque –
indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori – non è
possibile ritenere un minore straniero in stato di irregolarità
quanto alla sua presenza sul territorio dello Stato. Nel caso di
specie, pertanto, la previsione circa l’esclusione della possibilità
di iscrizione alla scuola materna, subordinando alle condizioni di
regolarità del soggiorno dei genitori l’esercizio di diritti propri
del minore, appare in contrasto sia con l’obbligo di tenere in
primaria considerazione l’interesse superiore di quest’ultimo (art.
3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo), sia con le
previsioni contemplate dall’art. 43, del D.Lgs 286/98 rigurdanti il
divieto di trattamenti discriminatori, che abbiano l’effetto di
compromettere il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità,
dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico
economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita
pubblica.

Sentenza 20 marzo 2008, n.7472

Negli ordinamenti musulmani – mediante la “Kafalah” – il minore, per
il quale non sia possibile attribuire la custodia ed l’assistenza
(hadana) nell’ambito della propria famiglia legittima, può essere
accolto da due coniugi od anche da un singolo affidatario (kafil), che
si impegnino a mantenerlo, educarlo ed istruirlo, come se fosse un
figlio proprio, fino alla maggiore età, senza però che l’affidato
(makful) entri a far parte, giuridicamente, della famiglia che così
lo accoglie. Nei Paesi di area islamica (nel caso di specie, il
Marocco) la Kafalah viene generalmente disposta, ai sensi delle
rispettive legislazioni, con procedura giudiziaria o previo accordo,
tra affidanti e affidatari, autorizzato da un Giudice, Non può dunque
escludersi, agli effetti del ricongiungimento familiare,
l’equiparabilità della Kafalah islamica all’affidamento, posto che
tra quest’ultima e il modello dell’affidamento nazionale prevalgono,
sulle differenze, i punti in comune, non avendo entrambi tali istituti
effetti legittimanti e non incidendo, sia l’uno che l’altro, sullo
stato civile del minore; essendo anzi la Kafalah, più
dell’affidamento, vicina all’adozione in quanto, mentre l’affidamento
ha natura essenzialmente provvisoria, la Kafalah, ancorché ne sia
ammessa la revoca, si prolunga tendenzialmente a fino alla maggiore
età dell’affidato.

Ordinanza 12 febbraio 2008, n.6605

L’istituto dell’espulsione si colloca in un quadro sistematico che,
pur nella tendenziale indivisibilità dei diritti fondamentali, vede
regolati in modo diverso l’ingresso e la permanenza degli stranieri
nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo
o rifugiati, ovvero di c.d. «migranti economici». Ne consegue che,
mentre il pericolo di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di
lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche o di
condizioni personali o sociali preclude l’espulsione o il
respingimento dello straniero (art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 286 del
1998), analoga efficacia «paralizzante» è negata, in linea di
principio, alle esigenze che caratterizzano la seconda categoria.

Sentenza 18 gennaio 2008, n.2907

In caso di mancato ottemperamento dell’ordine di allontanamento di
cittadino straniero, il quale affermi la sussistenza di un
giustificato motivo per tale inosservanza nella condizione di
omosessualità dello stesso, occorre che il giudice del merito, ai
fini della disapplicazione di detto provvedimento, accerti che – nel
paese d’origine del ricorrente – sia penalmente sanzionata
l’omossesualità come pratica personale.