Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Gennaio 2007

Sentenza 10 luglio 1999, n.7276

Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 10 luglio 1999, n. 7276: “Matrimonio concordatario: improponibilità dell’azione volta a far conseguire effetti civili al provvedimento ecclesiastico di dispensa per matrimonio rato e non consumato”.

La Corte Suprema di Cassazione
Sezione Prima Civile

Composta dagli Ill.mi Signori Magistrati:

Dott. Vincenzo CARBONE Presidente
Dott. Vincenzo PROTO Relatore Consigliere
Dott. Mario CICALA Consigliere
Dott. Giuseppe MARZIALE Consigliere
Dott. Fabrizio FORTE Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore generale presso la Corte di Appello di Torino – ricorrente

contro

P.M., B.M., Ufficiale dello Stato civile del comune di Torino;

avverso la sentenza n. 1375-97 della Corte d’Appello di Torino,depositata il 07-11-97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20-04-99 dal Consigliere Dott. Vincenzo PROTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico NARDI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1. Con ricorso depositato il 14 maggio 1997 la sig.ra M.P. chiese alla Corte d’appello di Torino, ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218 del 1995, di dichiarare efficace il rescritto 27 ottobre 1996 del Tribunale ecclesiastico regionale piemontese, avente per oggetto la dispensa pontificia del matrimonio rato et non consummato, celebrato tra la ricorrente ed il sig. M.B. di Torino in data 9 luglio 1994. Precisò che l’ufficiale di stato civile di quel Comune aveva rifiutato la richiesta di trascrizione del provvedimento, a seguito del parere negativo espresso dal Procuratore della Repubblica di Torino.

2. Il 15 luglio 1997 il Collegio rilevò la necessità che il procedimento si svolgesse in via contenziosa, e, fissando l’udienza del 21 ottobre 1997, dispose la notifica del ricorso, nella forma dell’atto di citazione, al B. ed all’ufficiale di stato civile del Comune.
All’udienza comparve la sola parte attrice, che insistette nella richiesta di trascrizione del rescritto. Il Procuratore generale chiese il rigetto della domanda.

3. Con sentenza depositata il 7 novembre 1997 la Corte dichiarò efficace nella Repubblica italiana la bolla di scioglimento del matrimonio rato e non consumato data in Roma il 27 ottobre 1996, relativa al matrimonio contratto con rito concordatario dalla P. e dal B. in Torino il 9 luglio 1994 e trascritto nei registri degli atti di matrimonio del Comune di Torino al n. 67, parte II, serie A dell’anno 1994.
La Corte, affermata la propria competenza territoriale a decidere sulla domanda di delibazione proposta, osservò che, mentre per le sentenze ecclesiastiche vere e proprie era operante la disciplina concordataria, alla fattispecie era applicabile l’art. 79 c.p.c., in quanto il rescritto pontificio di dispensa da matrimonio rato et non consummato, quale atto di natura giudiziaria, era equiparabile ad una sentenza straniera. Rilevò, inoltre, che il problema del controllo relativo all’osservanza o meno del contraddittorio nel procedimento svoltosi davanti al Tribunale ecclesiastico regionale, era superabile con l’avvenuta integrazione del contraddittorio nel procedimento de quo, oltre che dell’ufficiale di stato civile, dell’altro coniuge. 4. Avverso questa sentenza, notificata in data 11 novembre 1997, il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione, con atto ritualmente notificato alle altre parti, basato su un unico, complesso motivo. Gli intimati non si sono costituiti.

Diritto

1. La Corte d’appello – muovendo dalla premessa che è necessario distinguere, nell’ambito dei provvedimenti ecclesiastici emanati in materia matrimoniale, le sentenze di cui all’art. 8, comma 8, della legge 25 marzo 1985 n. 121, tuttora assoggettate alla disciplina concordataria, dagli altri provvedimenti di carattere giurisdizionale assimilabili alle sentenze straniere – ha dichiarato efficace nella Repubblica italiana la bolla di scioglimento del matrimonio rato e non consumato, datata 27 ottobre 1996, relativa al matrimonio contratto dalle parti col rito concordatario, ritenendo il rescritto pontificio di dispensa, suscettibile di delibazione, a norma dell’art. 797 c.p.c.

2. Il ricorrente, con l’unico e articolato motivo del ricorso – denunciando la violazione dell’art. 2 l. 25 marzo 1985 n. 121, in relazione agli artt. 8 e 13 dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984; dell’art. 1 l. 27 maggio 1929 n. 810 e dell’art. 17 l. 27 maggio 1929 n. 847, in relazione alla parziale dichiarazione di incostituzionalità di queste norme pronunciata con sentenza n. 18-82 dalla Corte costituzionale; degli artt. 796 e seg. c.p.c. e degli artt. 64, 65, 66 e 67 l. 31 maggio 1995 n. 218 – oppone, anzitutto, che il principio secondo cui i provvedimenti di dispensa dal matrimonio rato e non consumato potevano essere delibati nello Stato, introdotto con i Patti lateranensi del 1929, già dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 18 del 1982, sarebbe stato abrogato col nuovo accordo tra la Repubblica italiana e la S. Sede, reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985. Deduce, quindi, la erroneità della tesi, sottesa alla sentenza impugnata, secondo cui le dispense ecclesiastiche dal matrimonio rato e non consumato, anche se non più delibabili in forza della norma con concordataria, dovrebbero essere considerate alla stregua di sentenze straniere di scioglimento del vincolo matrimoniale, e, quindi, assoggettate al regime previsto per la delibazione delle sentenze di divorzio pronunciate all’estero.
Sostiene, che in ogni caso, l’assunto della Corte d’appello, che ha attribuito natura sostanziale di sentenza alla dispensa ecclesiastica, sarebbe anche in contrasto con la natura attribuita dallo stesso diritto canonico a detti provvedimenti, e col principio, espresso dalla Corte costituzionale nel la sentenza 18 del 1982, che ha negato natura di sentenza alle dispense saper rato et non cosummato. Aggiunge che, se la Corte costituzionale ha sancito Ì incompatibilità tra i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale ed il principio di delibabilità di tali dispense, tale contrasto non potrebbe essere superato attraverso il procedimento ordinario previsto per la deliberazione delle sentenze straniere, e si porrebbe, in caso contrario, la questione della legittimità costituzionale delle norme del codice di rito (in quanto applicabili) e della legge di riforma del sistema internazionalprivatistico, nella parte in cui esse consentono di attribuire efficacia immediata nell’ordinamento alle dispense ecclesiastiche. Sostiene, ancora, che la tesi affermata dalla sentenza impugnata risulterebbe insostenibile, ove anche si ritenesse possibile ricorrere al procedimento di delibazione, in quanto in ogni caso mancherebbe la condizione imposta dal n. 1 dell’art. 797 c.p.c. (ed ora dall’art. 64, lett. a) l. 218-95 ai fini del riconoscimento immediato. Sarebbe, infine, erroneo anche sostenere la portata innovativa della l. 218-95 determinerebbe, comunque. l’immediato riconoscimento nello Stato delle dispense, non come sentenza straniere, ma come provvedimenti diversi, ai sensi dell’art. 65 o dell’art. 66 della l. cit., posto che si perverrebbe egualmente a risultati incompatibili coi principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza 218-82.

3. Il motivo è fondato.
Preliminarmente si deve osservare che è inesatto il riferimento, che si legge nella sentenza impugnata, al codice di rito, in quanto l’art. 797 c.p.c., sul quale la Corte d’appello fonda, sostanzialmente, la propria decisione, è stato abrogato, a far data dal 31 dicembre 1996 (e, quindi, ben prima del deposito della decisione stessa), dall’art. 73 l. 31 maggio 1995, n. 218, come sostituito dall’art. 10, d.l. 23 ottobre 1996, n. 542, conv. in l. 23 dicembre 1996, n. 649). Ma, anche alla stregua delle nuove disposizioni introdotte dalla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato per regolare l’efficacia delle sentenze straniere in Italia, la tesi censurata dal ricorrente, si rivela insostenibile, come risulta dalle seguenti considerazioni.

3.1. Essa è in contrasto anzitutto col dato normativo.
L’art. 2 della legge 31 maggio 1995, n. 218 stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni delle stessa legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia”.
L’entrata in vigore del sistema di diritto internazionale privato non ha, perciò, inciso nella materia concordataria. La giurisprudenza (App. Napoli, 15 aprile 1997) ha, infatti, chiarito che restano inapplicabili le disposizioni della nuova normativa, nella parte in cui esse consentirebbero l’efficacia immediata e diretta della decisione straniera, senza adottare lo speciale procedimento giurisdizionale previsto per le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate idi tribunali ecclesiastici (art. 8, comma 2, l. 25 marzo n. 121).

3.2. La tesi accolta dalla sentenza impugnata non è condivisibile pure nel quadro di una interpretazione sistematica delle disposizioni concordatarie, in quanto dalla ricognizione delle fonti, dalla loro evoluzione normativa, e dalla correlativa elaborazione giurisprudenziale, si evince che, al contrario, i provvedimenti di, dispensa dal matrimonio rato e non, consumato sono stati definitivamente espunti dall’ordinamento.
L’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (contenete disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio, che tali provvedimenti contemplava e consentiva alla Corte di appello di renderli immediatamente esecutivi, è stato, infatti, dichiarato incostituzionale con sentenza 2 febbraio 1932, n. 18, per violazione del supremo principio del diritto alla tutela giurisdizionale, desunto dagli artt. 2, 3, 7, 24, 25, 102 Cost. In questa stessa decisione il giudice delle leggi ha sottolineato che il provvedimento di dispensa si riflette sul rapporto, e non sull’atto; non ha carattere giurisdizionale; e che la relativa tutela, pur considerata nel suo nucleo più ristretto ed essenziale, non può dirsi realizzata nell’ambito della discrezionalità amministrativa che ne segna il procedimento.
In conseguenza della dichiarazione di illegittimità, questa Corte ha ripetutamente sancito che sono venute meno le norme che attribuivano rilevanza nell’ordinamento statale alla dispensa ecclesiastica, ed ha dichiarato improponibili, perché prive di tutela giudiziale, le domande dirette a far valere agli effetti civili questa causa di scioglimento del matrimonio (ex plurimis, Cass. 24 maggio 1984, n. 3186 e Cass. 3 di dicembre 1984, n. 6296).
Questo quadro non si è modificato con l’entrata in vigore della legge 25 marzo 1985, n. 121 (contenete ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che ha apportato modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede).
Pur ridisegnando, nel nuovo contesto storico, i principi fondamentali del matrimonio concordatario, essa, difatti, non contiene più alcun riferimento alla esecutività agli effetti civili dei provvedimenti di dispensa super rato et non consummato. L’art. 8, comma 2, limita la dichiarazione di efficacia nella Repubblica, mediante lo speciale procedimento di delibazione ivi previsto davanti alla corte d’appello, alle sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunale ecclesiastici. E l’art. 13, comma 1, dopo aver collocato la nuova disciplina in raccordo con la precedente, chiarendo che le relative disposizioni costituiscono modificazioni del Concordato lateranense, stabilisce che (salvo quanto previsto dall’art. 7 n. 6) “le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte del presente testo sono abrogate”.
Anche la Corte costituzionale ha avvertito che le modificazioni del concordato, espresse nell’accordo del 1984, disciplinando l’intera materia, impediscono di fare riferimenti a testi normativi precedenti (sent. 1 dicembre 1993, n. 421).
In ogni caso, non sarebbe coerente ritenere che si sia voluto sottrarre alla speciale, e ricondurre alla normativa generale relativa alla efficacia delle sentenze straniere, proprio quei provvedimenti che, per loro intrinseca natura e, comunque, anche per la forma e per il procedimento adottati, appaiono ben diversi dalle sentenze e dagli altri provvedimenti giurisdizionali stranieri.

3.3. Infine, non può non rilevarsi che l’accoglimento della tesi qui censurata comporterebbe, ex se, il dubbio della legittimità costituzionale (denunciato, in via subordinata, dal ricorrente) delle disposizioni degli artt. 64-67 l. 218-95, ove interpretate nel senso che sia consentito di delibare la dispensa ecclesiastica del matrimonio rato e non consumato.
Anche nella configurazione del nuovo codex juris canonici, con la costituzione Sacrae discipline leges, del 25 gennaio 1983, è, infatti, rimasta sostanzialmente immutata la natura “anfibia” ed eminentemente discretiva del rescritto pontificio di dispensa super rato et non consummato, che aveva già indotto il giudice delle leggi a considerare tale provvedimento insuscettibile di delibazione, perché non riconducibile ad un atto giurisdizionale (sent. 18-82).

4. Deve, dunque, concludersi, in linea con le argomentazioni del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Torino (ritenendo così assorbiti gli ulteriori rilievi svolti, in via logicamente subordinata nel ricorso), che ai matrimoni concordatari è applicabile la sola disciplina concordata dalle Parti contraenti, e che, correlativamente, il problema della delibabilità dei provvedimenti ecclesiastici nel la materia de qua, deve essere risolto nell’ambito della specifica ed autonoma disciplina adottata bilateralmente. 5. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso deve, dunque, essere accolto. Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, in quanto la causa non poteva essere proposta (dell’art. 382, comma terzo, ult. parte, c.p.c.).
Nessun provvedimento sulle spese di questo giudizio, in quanto le parti intimate non si sono costituite e non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M

La Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata.