Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 30 Luglio 2007

Sentenza 24 ottobre 2006, n.1725

Tribunale di Latina, Sez. Penale, Sentenza 24 ottobre 2006


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Latina Sez. penale – in composizione
Monocratica
Dott.ssa Paola Di Nicola


ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo alla pubblica udienza del 24-10-2006 la seguente


SENTENZA

Nella causa penale


CONTRO


P. M., nato a Sora l' (Omissis) res. a Latina in Via XXX
Libero presente
difeso di fiducia dagli Avv. ti Angelo Calmieri e Orlando Mariani,con studio in Latina in viale Petrarca 39, Latina presenti


IMPUTATO

del reato di cui all'art. 403 comma II C.P. perchè mediante l'attivazione del sito Internet denominato www.eretico.com riproducente vignette, foto e filmati dal contenuto blasfemo in quanto riproducenti il sommo Pontefice ed altri Ministri di culto nell'atto di compiere e subire atti sessuali o sodomizzazioni o raffiguranti gli stessi in modo mostruoso con corpo di animale e testa di uomo offendeva la religione dello Stato mediante il vilipendio dei Ministri del culto cattolico; in Latina nell'ottobre del 2000, competenza determinata ex art. 9 comma II C.P.P.".
Con l'intervento del P.M. dott. Sterzi
Le parti hanno concluso come segue:
Il P.M.: chiede la condanna dell'imputato alla pena di euro 1500 di multa previa concessione delle attenuanti generiche;
Gli avv.ti difensori dell'imputato: chiedono l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce o quella ritenuta più opportuna


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso il 16/7/2003 P. M. era citato avanti a questo Giudice per rispondere del reato ascrittogli. Alla sua presenza all'udienza dell'8/7/2004, con ordinanze che si hanno qui per trascritte, veniva da un lato disposto lo stralcio del capo di imputazione limitatamente alla condotta vilipendiosa posta in essere nei confronti di Padre Pio ed emessa sentenza di assoluzione, ai sensi dell'art. 129 cpp, previa qualificazione giuridica del fatto ex art. 402 cpp (dichiarato costituzionalmente illegittimo con sent. 508/2000); dall'altro lato veniva richiesto al Pm di precisare le condotte contestate. A seguito dell'ordinanza la Pubblica Accusa provvedeva a quanto richiesto e contestualmente contestava un fatto nuovo ai sensi dell'art. 518 cpp per il quale venivano concessi termini a difesa. All'udienza del 22/6/2004 erano ammesse le prove ed esaminati i testi presenti C. e S. ed acquisita la consulenza tecnica da questi elaborata. Il 15/2/2005 il Got rinviava il processo al giudice togato che l'aveva già istruito, il 7/7/2005 i difensori aderivano all'astensione proclamata dal locale Consiglio dell'ordine e il 24/10/2006, esaminato l'imputato, le parti concludevano come in epigrafe.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Il fatto

A seguito della precisazione del capo di imputazione da parte del PM e dello stralcio operato in relazione alla contestazione del delitto di vilipendio concernente la figura di Padre Pio, si evince che il presente giudizio ha ad oggetto solo alcune vignette, apparse sul sito www.eretico.com attivato e gestito dall'imputato, riproducenti il Papa e altri ministri del culto cattolico nell'atto di compiere o subire atti sessuali.
Si tratta in realtà di tre vignette animate che di seguito si illustrano:
A) "perché al clero fa paura il gay pride ?": vignetta in cui si vede un alto prelato che subisce un atto di sodomizzazione e che all'inizio resta indifferente, ma al momento della completa penetrazione da parte del partner ne trae piacere;
B) "La pagina dei fans di pope'n'poppe " in cui si vede un'immagine animata di una ragazza bionda dal cui seno esce la testa del Papa. La spiegazione del gioco – consistente nel combattere contro il Pontefice per toccare la giovane donna – è la seguente: "Il sogno di tutti è agguantare degli splendidi seni, ma spesso risalgono in superficie pudori inconsci radicati in noi da anni di bombardamento pseudo-spirituale cattolico. Così ecco il papa, simbolo di tutto questo, che ci si avventa contro per impedirci un sano piacere materiale";
C) "Il cursore animato del papa che si masturba" inserito nella sezione gadgets del 19/7/2000.
La questione che si pone è quella di qualificare il contenuto di queste vignette nella consapevolezza della difficoltà dell'intreccio tra l'ambito giuridico e quello etico-religioso che connota i reati di vilipendio contro le confessioni religiose di cui al capo I del Titolo IV del codice penale.

La qualificazione giuridica delle vignette satiriche sub a) e b) come esercizio del diritto di manifestazione del pensiero

Dalla descrizione data al paragrafo precedente emerge che quelle oggetto del processo sono rappresentazioni satiriche volte a criticare, anche in modo dissacrante, la posizione assunta dalle gerarchie ecclesiastiche nei confronti dell'omosessualità e, più in generale, del desiderio sessuale.
La conclusione cui si è giunti è che si tratti di modalità di manifestazioni del pensiero la cui presunta natura vilipendiosa non le rende, per ciò solo, illecite perché garantite dall'art. 21 comma 1 della Costituzione ("Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione").
Non si ritiene accoglibile la posizione di una parte autorevole della dottrina costituzionalistica secondo la quale le uniche forme di pensiero coperte dalla tutela della Carta fondamentale sarebbero quelle in estrinsecazione di un pensiero puro e astratto che si traducono in espressioni motivate e consapevoli, con esclusione, dunque, di quelle forme o segni che hanno un contenuto emozionale o passionale. Invero, il difetto di questa impostazione, il cui accoglimento renderebbe illecite perché vilipendiose le vignette oggetto di esame, risiede nel fatto che, in modo del tutto arbitrario, qualifica come "pensiero" solo l'enunciazione motivata colta, pura, distaccata e teorica corrispondente ai dettami della logica, senza cogliere che anche le espressioni grossolane, volgari, emotive, sono rappresentazioni del pensiero, specie quando abbiano, come nel caso in esame, il preciso significato critico sopra indicato. D'altra parte sarebbe irragionevole ritenere che il vilipendio, l'offesa, il dileggio, il disprezzo non possano essere esplicitati con raffinatezza, distacco e rigore logico visto che ciò che rileva non sono i connotati estrinseci dell'espressione in sé, ma l'atteggiamento di disprezzo verso i valori etico/sociali/politici/religiosi protetti dalla norma penale.
Anche sotto questo profilo deve dirsi che nessun pensiero può, a priori, qualificarsi come non meritevole di tutela perché l'art. 21 della Costituzione non riconosce un diritto funzionale dell'individuo, ma un diritto attribuito al singolo in quanto tale anche per "l'appagamento egoistico dei suoi bisogni e desideri individuali" (Esposito La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, 1958, p. 8). Si tratta, in sostanza, di un diritto immanente alla persona, ontologicamente ad essa connesso perché costituisce il modo in cui la stessa esplica la propria natura di essere pensante, capace di produrre e rappresentare idee e convinzioni, a prescindere dalla loro modalità argomentativa. In questa prospettiva, come sostenuto dalla migliore dottrina penalistica e costituzionalistica, la libertà di manifestazione del pensiero costituisce una particolare situazione soggettiva che può specificarsi come diritto personale assoluto. I suoi limiti, dunque, non possono essere limiti penalistici ma solo costituzionali: il buon costume (art. 21 Cost.) e l'onore della persona (art. 2 Cost.)

Il limite oggettivo della libertà di manifestazione del pensiero: il buon costume

In base al comma sesto dell'art. 21 Cost. sono vietate le manifestazioni del pensiero contrarie al buon costume.
La I Sottocommissione dell'Assemblea Costituente propose di vietare le manifestazioni contrarie alle supreme norme morali, ma poi, dato lo spirito liberale che animava la Costituzione, si sostenne che il limite andasse ristretto alle manifestazioni "oscene",concernenti la sola sfera sessuale nel quadro dell'insieme di regole di comportamento in materia sessuale socialmente approvate o tutelate.
Infatti, il mancato accoglimento della citata originaria proposta da parte della Costituente era motivato dalla eccessiva apertura della clausola tale da creare confusione tra diritto penale e morale e di definire, in modo arbitrario, l'unico limite oggettivo posto alla libertà di manifestazione del pensiero.
Solo un'interpretazione restrittiva della dizione dell'ultimo comma dell'art. 21 Cost. poteva garantire la libertà in essa rappresentata sia dalla potestà della legge ordinaria sia dalla soggettività dell'interpretazione giurisdizionale.
Nel caso in esame, a prescindere dall'ambito di operatività del limite costituzionale, non può in concreto ritenersi che le vignette del P. M. abbiano un carattere osceno poiché la rappresentazione degli atti e degli istinti sessuali in esse contenuti non è fine a se stesso, ma è strumentale all' espressione, in modo satirico, di un pensiero critico, anche diffuso nel comune sentire, nei confronti di atteggiamenti e posizioni assunte dai vertici ecclesiastici sul tema della sessualità (vedi infra).
Perché le vignette potessero qualificarsi come oscene, e dunque tali da offendere il buon costume, sarebbe stato necessario che fossero state tali da suscitare nell'osservatore desideri erotici e forme di eccitamento (ex plurimis recentemente Sez. 3, Sentenza n. 37395 del 02/07/2004) il che è escluso in termini assoluti dalla approssimativa raffigurazione grafica e dal contenuto solo satirico degli atti rappresentati.

Le vignette in esame non violano il buon costume

Pertanto, nella condotta qualificata dal Pm come vilipendio al ministro di culto e descritta ai punti a) e b) del primo paragrafo detto limite non è stato violato poiché manca un'offesa al pudore sessuale, ravvisandosi, al più, l'offesa alla pubblica decenza – che non costituisce un limite costituzionale – intesa come complesso di regole di compostezza, correttezza, decoro, convenienza che, in un contesto storico determinato, informano il comune sentire di una collettività.
In particolare nella vignetta dal titolo "perché al clero fa paura il gay pride? " la sodomizzazione dell'alto prelato non è altro che la cruda e provocatoria rappresentazione della ritenuta posizione oppositiva nei confronti dell'omosessualità delle gerarchie ecclesiastiche, gi à oggetto di ampio dibattito tra gli stessi cattolici.
In detta forma satirica la raffigurazione dell'istinto sessuale del ministro di culto non vuole corrompere il pudore della collettività dei fedeli, ma è finalizzata a manifestare il pensiero critico dell'imputato circa la contraddizione, a suo modo di vedere, tra le proclamazioni astratte della Chiesa come istituzione e i comportamenti in concreto praticati da alcuni suoi membri; tra anatemi pubblici contro gli omosessuali e scandali a sfondo sessuale che hanno recentemente coinvolto alcuni sacerdoti tanto da scuotere l'intero popolo dei fedeli.
Anche "La pagina dei fans di pope'n'poppe", in cui si vede un'immagine animata di una formosa ragazza dal cui seno esce la testa del Papa che combatte contro coloro che vogliono toccarla, esemplifica ironicamente, con un gioco, la feroce critica del P. M. nei confronti di quello che egli ritiene essere l'atteggiamento sessuofobico dell'istituzione ecclesiale.

L'offesa alla dignità personale ex artt. 2 e 3 Cost.

C'è un altro limite al diritto di libera manifestazione del pensiero evincibile dalla Carta fondamentale: "i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" (art. 2 Cost); "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge" (art. 3 Cost.). Tra i diritti inviolabili rientrano quello all'onore e alla reputazione ovverosia interessi che nell'ambito dei valori costituzionali assumono una valenza pari a quella del diritto così limitato, con un contemperamento che spetta al Giudice compiere nel caso concreto.
La dignità e l'onore della persona, intese come l'insieme delle doti morali, intellettuali, fisiche e delle altre qualità che concorrono a determinarne il suo valore intrinseco, sia in assoluto che nell'ambiente in cui vive,costituiscono un bene protetto nella duplice nozione soggettiva e oggettiva: in senso soggettivo si "designa quella somma di valori morali che l'individuo attribuisce a se stesso"; "in senso oggettivo è la stima o l'opinione che gli altri hanno di noi; rappresenta cioè il patrimonio morale che deriva dall'altrui considerazione e che, con termine chiaramente comprensivo, si definisce reputazione" (così la Relazione ministeriale al Progetto definitivo di un nuovo codice in Lavori Preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, parte II, pag. 402) .
Attraverso le dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie non si fa altro che attribuire a un soggetto qualità o fatti disonoranti, in grado di ledere tanto il sentimento personale del proprio valore sociale, quanto la sua reputazione tenuto conto anche della posizione religiosa,politica, sociale, istituzionale ricoperta.
Pertanto, dal momento che l'onore e la reputazione, per alcuni aspetti, sono concetti da ritenere elastici perché soggetti a una continua evoluzione a seconda della fase storico-culturale in cui si esprimono, non si può non tenere in considerazione anche questo per valutare l'idoneità offensiva della comunicazione che si reputa ingiuriosa o
diffamante specie se compiuta in relazione alla sola posizione dell'offeso come soggetto rappresentativo di uno specifico centro di interessi o di valori (sociali, politici, ideologici, religiosi, istituzionali).
Le vignette del P. M. – a prescindere dal fatto che nel caso sub a) non individuino alcuna persona determinata – riguardando un personaggio universalmente conosciuto e riconosciuto anche per il proprio indiscusso spessore etico e religioso come il Papa e stante il nesso causale tra la dimensione pubblica di questi e il contenuto chiaramente ironico e satirico dei comportamenti raffigurati, non sono, obbiettivamente e concretamente, idonee a ritenere superato e violato il limite della dignità personale del Pontefice così da non potere prevalere sul diritto di manifestazione del pensiero nella particolare modalità espressiva della satira.

L'offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio al ministro di culto (art. 403 cp)

Definiti i termini fattuali della condotta contestata e stabilito che non vi è violazione né del limite del buon costume né di quello della dignità personale è necessario accertare se sia stato offeso, nella specie, l'oggetto giuridico del reato di cui all'art. 403/2 cp contestato, la cui storia è piuttosto complessa, in ragione dell'inevitabile interferenza avvenuta per questo tipo di fattispecie penali tra la sfera morale-religiosa e quella giuridica.
Nella Relazione ministeriale sul Progetto del Codice penale del 1929 era affermato che il Capo I del Titolo IV tutelava il sentimento religioso "non soltanto nelle sue estrinsecazioni esteriori, come esercizio di un culto e manifestazione individuale o collettiva della fede religiosa, ma anche in ciò che è l'origine, il fondamento della fede, ossia nella religione in sé e per sé ", rappresentando quest'ultima "un fenomeno della pi ù alta importanza anche per il raggiungimento dei fini etici dello Stato". Successivamente la Corte Costituzionale aveva confermato questa impostazione funzionale del sentimento religioso affermando che la tutela penale era accordata "in considerazione dell'importanza dell'idea religiosa che trascende l'esercizio di un diritto individuale e costituisce uno dei valori morali e sociali attinenti all'interesse, oltre che del singolo, della collettività" (sent. 30/11/1957, n. 1213) così differenziandosi dalla disciplina del Codice Zanardelli del 1889 che tendeva a tutelare la libertà religiosa individuale. Solo nel 1997 il giudice delle leggi riformula l'oggettività giuridica dei reati di vilipendio individuandola nella protezione del sentimento religioso inteso come "corollario del diritto costituzionale di libertà religiosa, corollario che, naturalmente, deve abbracciare allo stesso modo l'esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono, nella sua dimensione individuale e collettiva, indipendentemente dai diversi contenuti di fede delle diverse confessioni" (sent. 329/1997). Dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale del delitto di vilipendio generico alla religione dello Stato (art. 402 cp: sent. 508/2000) questa, in quanto tale, non compare più come bene giuridico tutelato dal legislatore penale, per lasciare posto, invece, all'antigiuridicità come concreta lesione della sfera soggettiva del singolo credente e del ministro di culto, vittime del reato, mediante l'incriminazione di comportamenti offensivi direttamente attuati nei loro confronti ma finalizzati ad offendere, attraverso essi, il sentimento religioso dei credenti.
Da ultimo si pensi che lo stesso legislatore, con la L. 85/2006, ha riformulato le disposizioni penali in tema di vilipendio del sentimento religioso da un lato
adeguandosi a questo percorso evolutivo della giurisprudenza costituzionale, nel senso di equiparare le sanzioni senza più distinguere a seconda di quale confessione religiosa venisse offesa; dall'altro lato ha ridimensionato fortemente le pene rendendole solo pecuniarie in ciò dimostrando il minore disvalore sociale riconnesso alle relative condotte
La condotta materiale del delitto di vilipendio è quella di manifestare un atteggiamento fortemente spregiativo, di dileggio e disistima, nei confronti di qualcosa o qualcuno che si trovi in un rapporto privilegiato o simbolico con un soggetto riconosciuto meritevole di prestigio dalla Costituzione (un'istituzione o una confessione religiosa).
La tutela penale è finalizzata, dunque, a fare salva una determinata entità ideale, necessaria al mantenimento di un'ordinata convivenza e per ciò solo sacralizzata dall'ordinamento, di cui la persona o l'oggetto colpito dal comportamento lesivo sono portatori.
Perché si integri il reato, però, in adesione alla teoria della cd "dannosità sociale" – che circoscrive l'area della tutela penale conformemente ai principi dello Stato laico e secolarizzato – è necessario accertare che la condotta vilipendiosa, legittimamente punibile, abbia determinato un pregiudizio sociale effettivo, previa valutazione degli altri interessi coinvolti, non bastando la mera indignazione sociale.
Nel caso in esame il P. M. pur avendo preso di mira simboli e persone rappresentative della religione cattolica non ha offeso il sentimento religioso, inteso come l'insieme dei valori etico-spirituali qualificanti la confessione, ma ha criticato, attraverso la satira, la posizione della Chiesa-istituzione nei confronti dell'omosessualità e della sessualità. Inoltre, la circostanza che il sito si chiamasse www.eretico.com, è un motivo per ritenere che vi si collegassero solo coloro che erano effettivamente interessati o incuriositi da vignette, testi, giochi elettronici satirici nei confronti della religione cattolica e delle sue personalità maggiormente rappresentative, cioè soggetti che difficilmente potevano sentirsene feriti o offesi.

Nozione di satira

Per comprendere a pieno la qualificazione giuridica data alle vignette apparse sul sito dell'imputato come esercizio del diritto di manifestazione del pensiero è necessario approfondire il contenuto, la ragione storica e sociale della satira attraverso cui la stessa si è esplicata.
La satira è un genere letterario, una forma libera del teatro, attraverso la quale si critica la vita sociale, la politica, la religione, la morale comune, utilizzando il paradosso e così seminando dubbi, smascherando ipocrisie, attaccando i pregiudizi e mettendo in discussione le convinzioni consolidate. La satira è, dunque, un punto di vista che si distingue dal dileggio, dal vilipendio, dall'offesa, perch è fornisce una lettura diversa della realtà e manifesta un giudizio di valore.
Per fare questo ricerca nel ridicolo la descrizione di fatti e persone, denuncia impunemente in modo corrosivo, destruttura le convinzioni, mette in discussione con modalità amare e scanzonate il potere. La satira è dunque un'arma sociale che rivendica a sé un'estrema serietà di intenti e un ruolo essenziale per la formazione della collettività, anche grazie allo stile non aulico che la caratterizza. Si pone,dunque, come coscienza alternativa del mondo: alimenta un pensiero divergente e non si adagia sulle mode correnti.
Nella storia sono i giullari, diretti discendenti degli histriones latini a dare spettacolo nel XII secolo irridendo le Autorità comunali ed ecclesiali. Ma i giullari non ridicolizzano la religione, smascherano le azioni dei potenti che utilizzano il sacro per mantenere i propri privilegi.
Ciò che ha animato la satira nella storia del pensiero, della letteratura e delle tradizioni è, dunque, il rifiuto della logica della convenzione, la ribellione alla morale contingente che distingue in modo manicheo tra bene e male, tra Autorità e libertà; è il gusto di scompaginare le regole del sentire comune che alimenta e stabilizza il Potere; è la volontà di dissacrare il monumento intoccabile della sacra tradizione: "A noi piace lo sghignazzo, che ci faccia riflettere, che ci apra il cranio, che ci abitui a razionalizzare e a riscoprire da angoli diversi i fatti e le cose" (così il Premio Nobel per la letteratura Dario Fo).
Da questo excursus consegue anche la definizione giuridica della satira – ammesso che essa, data la sua stessa natura, possa essere racchiusa in categorie codificate – recentemente proposta dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza 9246/2006: "è quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi siè addossata il compito di 'castigare ridendo mores', ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene."
Si ritiene di aggiungere un'integrazione a detta calzante definizione nel senso che, qualora oggetto della satira non siano "persone" che presentano aspetti criticabili da indicare alla pubblica opinione per suscitare il riso castigatore, ma, come nel caso di specie, siano atteggiamenti "politico-ideologici" e non dogmi religiosi, attribuiti alla Chiesa come istituzione che attraverso essi esprime convinzioni latu sensu politiche e non religiose, sul tema laico della sessualità, l'obbiettivo che la satira persegue può essere non quello di realizzare "il bene" ma semplicemente quello di esprimere propri legittimi obbiettivi sociali e politici che trovano la loro ragion d'essere nei principi costituzionali (ad esempio, oltre all'art. 21, anche gli artt. 2,3, 18 e 49 Cost.).

I limiti penali all'esercizio del diritto di satira

La dottrina e la giurisprudenza si sono lungamente soffermate a determinare i confini di liceità del diritto di satira che, in particolare con le vignette, opera una rappresentazione simbolica e caricaturale del pensiero. È proprio la sua natura metaforica a consentirle un più ampio raggio di azione che non la assoggetta agli schemi razionali della verifica critica. Pertanto può offrire una rappresentazione surreale, purché rilevante in relazione alla notorietà della persona, con connotati che sfuggono all'analisi convenzionale ed alla stessa realtà degli accadimenti, con l'unico limite di non attribuire cose o fatti non veri.
Sul piano della continenza, inoltre, il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira, in particolare grafica, è svincolato da forme convenzionali, onde non si può applicare il metro consueto di correttezza dell'espressione. Ma, al pari di ogni altra manifestazione di pensiero, essa non può giungere sino al limite del disprezzo della persona (Cass. sez. V, Carrubba, 16.3.92, in Cass. pen. 1993, pone il limite nella contumelia e nella denigrazione; Così Cass. Sez. V, Sentenza n. 13563 del 1998).
La satira, per potere essere qualificata tale, deve essere volta a sferzare i vizi, le abitudini e le convinzioni delle persone, in quanto manifestazioni di ricorrenti
debolezze umane, ovvero a disvelare l'incongruenza o il ridicolo dei valori della cultura ufficiale (Cass, Sez. V Sentenza n. 42643 del 2004).
In altri termini, ad assumere rilievo, nel caso di specie, non deve essere tanto la forma grossolana con cui si esprime il pensiero del P. M., quanto il contenuto del messaggio complessivo che questi ha inteso trasmettere ai navigatori del sito. Un messaggio che proprio attraverso la ridicolizzazione dei personaggi interessati, esprime una valutazione marcatamente critica della posizione, ad avviso dell'imputato, proibizionista assunta dalla Chiesa nei confronti dell'esperienza dell'omosessualità e, pi ù in generale, del piacere sessuale. Per suscitare ilarità o derisione nel pubblico il P. M. ha accentuato e alterato i tratti comportamentali del ministro di culto e del Papa attraverso il paradosso costituito dalla rappresentazione del piacere provato da chi condanna come peccaminosi e immorali comportamenti da altri ritenuti naturali (la sodomizzazione di cui alla vignetta sub a), e dall'atteggiamento di combattimento tenuto dal Pontefice nei confronti di coloro che cercano di toccare il seno di una donna (vignetta sub b), il tutto al fine di sferzare l'atteggiamento della Chiesa ad assumere posizioni più aperte nei confronti della sfera della vita sessuale delle persone.
Può dunque affermarsi, in via di principio, che la scoperta inverosimiglianza dei fatti espressi in forma satirica porta ed escludere la loro capacità di offendere la reputazione visto che offrono, icasticamente, un'interpretazione esasperata della realtà al fine di renderla più agevolmente intelligibile (Cass Sez. V, Sentenza n. 2128 del 2000, Cass. sez. V, 22.12.98, n. 13563, Senesi).
In conclusione per le vignette di cui ai punti a) e b) del primo paragrafo l'imputato va assolto ai sensi dell'art. 51 cp perché il fatto non sussiste avendo esercitato il diritto di libera manifestazione del pensiero nella forma della satira. Si ritiene che tale conclusione sia coerente rispetto a una interpretazione secundum costitutionem del precetto penale in questione.
La formula assolutoria prescelta si fonda sulla natura attribuita alla scriminante il cui fondamento logico-giuridico è il principio di non contraddizione dell'ordinamento. Inoltre sotto il profilo tecnico-dommatico l'esercizio del diritto costituisce un elemento idoneo a far venire meno l'illiceità della condotta in quanto qualifica il fatto umano come lecito ab origine privandolo del suo disvalore oggettivo. In questa logica, dunque,sia che si accolga la teoria tedesca della tripartizione del reato in fatto tipico, antigiuridicità obbiettiva e colpevolezza, sia che si accolga quella della bipartizione del reato in elemento oggettivo ed elemento soggettivo – in cui l'antigiuridicità nonè un elemento ma qualifica l'intero fatto perché ne costituisce l'essenza -, la presenza della causa di giustificazione fa venire meno l'antigiuridicità del comportamento. Invero nel fatto tipico rientra anche l'elemento negativo dell'assenza delle cause di giustificazione oltre che, come sostiene autorevole dottrina, l'offensività dello stesso.

Il gadget sul Papa: manca l'elemento psicologico del reato di vilipendio

Diversamente è a dirsi per la raffigurazione nel sito del cursore animato del Papa che si masturba, inserito nella sezione gadgets del 19/7/2000, in relazione al quale non si ritiene di ravvisare alcun elemento di irrisione costruttiva, direttamente o indirettamente riconducibile nell'alveo della libera manifestazione del pensiero, perché finalizzato alla gratuita mostra di un aspetto della vita sessuale del Pontefice.
Al riguardo, però, soccorre la motivazione offerta dal P. M. in sede di esame dibattimentale, circa la chiara esclusione della volontà di ridicolizzare il Papa o ferire il sentimento religioso, e del mero intento ludico e irridente della rappresentazione. D'altra parte la circostanza di fatto che nel sito, connotato ed intriso in tutto il suo progetto grafico e contenutistico da esclusivo spirito satirico, come sopra detto, sia stato rinvenuto solo questo "game" raffigurante il comportamento sessuale sopra descritto, conferma la mancanza di una volontà lesiva del sentimento religioso attraverso l'irrisione del suo più eminente esponente.
La questione concernente l'elemento soggettivo nei reati di vilipendio ha visto la dottrina e la giurisprudenza di merito particolarmente divise.
Da un lato, infatti, si è sostenuto che il dolo consisterebbe nella consapevolezza e volontà di realizzare il fatto obbiettivamente vilipendioso, essendo irrilevante lo scopo personale che anima l'agente; dall'altro invece si è ritenuto che la pregnanza soggettiva imporrebbe l'accertamento del fine di vilipendere da anteporre addirittura all'analisi della componente obbiettiva.
Per risolvere la questione si è dell'avviso che ciò che rileva, nel tipo di delitti in esame, non è tanto la genuinità dello stato d'animo esternato, ma la consapevolezza nell'autore del significato che la sua condotta assume e del modo in cui la stessaè destinata ad essere percepita, avuto riguardo alle concrete circostanze in cui si svolge. È, dunque, significativo in questo tipo di apprezzamento accertare anche l'impatto che la condotta ha avuto sulla comunità dei fedeli.
Poiché il P.M. sapeva di gestire un sito internet con un nome immediatamente evocativo di un atteggiamento ironico e critico nei confronti delle autorità ecclesiali e della Chiesa come istituzione, aveva anche la consapevolezza che lo stesso difficilmente sarebbe stato visitato da soggetti che avrebbero potuto sentirsi lesi nel loro sentimento religioso dai gadgets proposti.
Invece l'intendimento dell'imputato, come desumibile oggettivamente anche dal contenuto generale del sito, era quello di fare satira e caricare, anche in modo gratuito e grossolano – come nel caso di specie -, una personalità di spicco come il Papa nei confronti non dei fedeli ma degli utenti abituali del sito, verosimilmente carenti di questa particolare sensibilità. Tanto ciò è vero che la denuncia compiuta nei confronti del P. M. è stata frutto di un'indagine avviata autonomamente dalla Polizia postale.
Da ciò consegue, in relazione alla vignetta sub c), l'assoluzione dell'imputato per l'assenza dell'elemento psicologico non avendo egli inteso vilipendere né la confessione religiosa né la persona rappresentativa della stessa.
La pronuncia assolutoria impone la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto.
La complessità della motivazione ha determinato la fissazione in 90 giorni del termine per il deposito della sentenza.


P.Q.M.

Visto l'art. 530 cpp


assolve

P.M. dal reato ascrittogli, con riferimento alla condotta relativa al gadget che raffigura il Papa, apparso sul sito il 19/7/2000, perché il fatto non costituisce reato;


assolve

il P.M. dal reato ascrittogli con riferimento a tutte le residue condotte contestate perché il fatto non sussiste.
Dispone la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto.

Motivi in 90 giorni.
Latina, 24/10/2006
IL GIUDICE
Paola Di Nicola

Autore: Tribunale Penale
Dossier: Tutela penale
Nazione: Italia
Natura: Sentenza