Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 21 Marzo 2008

Ordinanza 10 marzo 2008, n.10

TAR Emilia-Romagna. Ordinanza 10 marzo 2008, n. 10: “Realizzazione di un sistema integrato di scuole dell’infanzia e finanziamenti comunali”.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L’EMILIA-ROMAGNA
BOLOGNA – SEZIONE II

nelle persone dei Signori:
GIANCARLO MOZZARELLI Presidente
BRUNO LELLI Cons.
UGO DI BENEDETTO Cons. , relatore

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nell’Udienza Pubblica del 18 Ottobre 2007

Visto il ricorso 239/1996 proposto da:
COMITATO BOLOGNESE SCUOLA E COSTITUZIONE ED ALTRI, CHIESA CRISTIANA AVVENTISTA DEL 7 GIORNO DI BOLOGNA, COMUNITA’ EBRAICA DI BOLOGNA, CHIESA EVANGELISTA METODISTA DI BOLOGNA, rappresentato e difeso da: SORRENTINO AVV. FEDERICO MAUCERI, AVV. CORRADO LUCIANI, AVV. MASSIMO GIULIANO, AVV. GUGLIELMO con domicilio eletto in BOLOGNA VIA NAZARIO SAURO, 24 presso GIULIANO AVV. GUGLIELMO

contro

REGIONE EMILIA ROMAGNA rappresentato e difeso da: PENNESI AVV. ANDREA con domicilio eletto in BOLOGNA, STRADA MAGGIORE 47 presso la sua sede;

per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna del 28 settembre 1995 n.97 recante l’intitolazione “L.R. 24 aprile 1995 n.52 – Approvazione dei criteri per l’assegnazione dei contributi ai Comuni per l’anno 1995 per l’attivazione di convenzioni per la qualificazione e il sostegno delle scuole dell’infanzia private senza fini di lucro o gestite da I.P.A.B. “ e degli atti connessi e presupposti, in particolare della circolare dell’Assessore Regionale agli affari sociali e familiari, associazionismo, qualità urbana, prot. N.20783 del 17 agosto 1995.
Uditi all’udienza pubblica del 18/10/2007 gli avvocati presenti come risulta da verbale d’udienza.
Considerato quanto segue:

FATTO

La parte ricorrente impugna, chiedendone l’annullamento, gli atti meglio indicati dianzi.
A sostegno del ricorso, essa presenta le censure seguenti:
1) Violazione di legge, in riferimento agli artt.2 comma 1 lettera B), quinto alinea e 10, comma 1, lett. E bis); 10, penultimo comma, l.r. Emilia Romagna 25 gennaio 1983 n.6, nel testo modificato della L.r. Emilia Romagna 24 aprile 1985 n.52.
Si rileva come “l’art.4, comma 1, L.R. n.52 del 1995 ha istituito un fondo per la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole dell’infanzia private. A sua volta, l’art.5, comma 1, ha disposto che tale fondo “è ripartito fra i Comuni che abbiano stipulato convenzioni con scuole dell’infanzia private nelle quali siano previsti oneri a carico dei Comuni per contributi di spesa corrente e di investimento”.
Si aggiunge che “il fondo ha la funzione di promuovere la stipulazione di convenzioni fra Comuni e scuole dell’infanzia private, e solo fra i Comuni che tali convenzioni abbiano stipulato il fondo deve essere ripartito. In totale spregio della legge, la deliberazione impugnata, invece, prevede che al riparto del fondo accedono anche i Comuni che sono privi delle menzionate convenzioni”.
Si rileva, infine, che “anche a volersi rifare allo spirito della legge, tuttavia, le conclusioni non muterebbero.Intenzione del legislatore era infatti garantire un sostegno finanziario ai Comuni che avessero effettivamente stipulato convenzioni con istituti scolastici privati (…).
Soltanto limitando il sostegno finanziario ai Comuni dotati di convenzione, del resto, era possibile incentivare i Comuni a dotarsi dello strumento convenzionale. Ritenere, come si fa nelle Premesse alla proposta della Giunta Regionale (integralmente recepita dalla deliberazione impugnata), che la stipula di ulteriori convenzioni si possa promuovere e sollecitare attraverso il grazioso finanziamento anche e proprio dei Comuni che non hanno stipulato convenzioni è un controsenso che non abbisogna di commenti”.
2) Violazione di legge in riferimento agli artt. 3, 33, commi 1 e 3, e 128 della Costituzione e agli artt. 2, comma 1, lettera B), quinto alinea, e 10, penultimo comma, della L. reg. Emilia Romagna 25 gennaio 1983 n.6, nel testo modificato dalla L. reg. Emilia Romagna 24 aprile 1995 n.52.
Si osserva come “la deliberazione impugnata dispone che, per i Comuni della fascia A), ai fini della determinazione dei contributi, verrà considerata, fra l’altro (punto 1.2.) “la congruenza dei contenuti delle convenzioni adottate a livello locale rispetto al Protocollo d’intesa tra Regione e FISM regionale (…), in particolare rispetto ai seguenti elementi: accesso degli utenti, modalità di partecipazione delle famiglie, equità di trattamento economico, orientamenti educativi (con riferimento al D.M. 3 giugno 1991) organizzazione del servizio, personale e coordinamento tecnico, raccordo con altre agenzie educative, adeguamento strutturale, servizi per l’accesso, criteri di valutazione/verifica.”
Ne discende che “il computo della misura dei contributi da erogarsi in favore dei Comuni viene effettuato assumendo quale criterio determinante, accanto a quelli del numero delle sezioni delle scuole materne convenzionate (punto 1.1) e dell’ampiezza demografica dei Comuni (punto 1.3) la congruenza rispetto al (e quindi il rispetto del) Protocollo d’intesa tra Regione e FISM regionale.
In questo modo (…) la fruibilità concreta dei contributi regionali è rigidamente subordinata al rispetto di un protocollo d’intesa fra l’Amministrazione regionale e una comune associazione privata. Per quanto rappresentativa questa possa essere, un simile trattamento è del tutto ingiustificato. Invero, non esiste nella legislazione regionale alcun elemento che la isoli e la differenzi rispetto alle altre associazioni private operanti nel mondo della scuola. Aver assunto un accordo stipulato con detta associazione quale stregua cui commisurare le convenzioni stipulate dai vari comuni è dunque scelta che non trova alcun supporto normativo.”
Si aggiunge che “manifestamente violate, poi, sono le predette disposizioni della L.R. n.6 del 1983 (nel testo modificato dalla L.R. n.52 del 1995).
Esse, infatti, si limitano a prevedere che le risorse del “fondo per la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole dell’infanzia private” siano ripartite tra i Comuni che abbiano stipulato convenzioni con istituzioni scolastiche private, senza differenziare affatto all’interno di tale categoria.
Spettava dunque alla Giunta Regionale determinare i criteri per la concreta ripartizione delle risorse, ma è evidente che ciò avrebbe dovuto avvenire sulla base di parametri il più possibile oggettivi e in riferimento alle effettive esigenze dei comuni in ordine alla prestazione del servizio scolastico.
Ancorando l’erogazione delle risorse al rispetto di un accordo tra la Regione e un’associazione privata, la deliberazione impugnata stravolge il senso della previsione legislativa, sostituendo la volontà soggettiva dei firmatari del Protocollo all’oggettività dei fatti e dei bisogni.
E’ chiaro, altresì, che per questo aspetto il provvedimento impugnato viola il principio di eguaglianza.
La FISM, infatti, è stata arbitrariamente preferita ad ogni altra associazione privata operante nel mondo scolastico, senza alcuna apertura pluralistica alle altre realtà del settore. Questo, oltretutto, in un ambito, come quello dell’istruzione, nel quale le esigenze dell’uguaglianza fra i cittadini sono al centro dell’attenzione della Carta Costituzionale.
Per giunta, la FISM è stata addirittura investita di una funzione condizionante nei confronti dei Comuni, nel momento in cui la si è chiamata a stipulare con la Regione un Protocollo al quale è stato conferito valore paradigmatico in sede di assegnazione delle risorse gestite nell’ambito del “fondo per la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole dell’infanzia private”. In questo modo, subordinando l’autonomia comunale all’autonomia privata, si è arrecato un gravissimo vulnus all’autonomia degli enti locali garantita dall’art.128 Cost., a tenor del quale i Comuni “sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica”. Il riconoscimento costituzionale dell’autonomia dei Comuni ha l’evidente funzione di garantire, da un lato, l’autogoverno e la partecipazione delle popolazioni locali (in questo stesso senso, del resto, proprio l’art. 53 dello Statuto della Regione Emilia-Romagna); dall’altro, di assicurare un apprezzamento del pubblico interesse in ragione dell’adeguata considerazione delle esigenze locali, di volta in volta diverse. L’una e l’altra funzione della garanzia costituzionale sono frustrate dalla deliberazione impugnata, che subordina l’autonomia degli enti locali (che possono accedere ai finanziamenti solo nella misura in cui si conformano al Protocollo) all’autonomia privata di un soggetto particolare come la FISM. Il tutto, in una materia in cui le funzioni amministrative, ai sensi dell’art.45, comma 1, del D.P.R. n.616 del 1977, “sono attribuite ai Comuni”.
Gravemente vulnerate, poi, sono la libertà di insegnamento e la libertà di istituire scuole che sono garantite dall’art.33, commi 1 e 3, Cost.. E’ infatti evidente che qualunque istituzione scolastica privata, se vorrà accedere al sostegno previsto dalla L. reg. n.52 del 1995, dovrà necessariamente conformarsi alle previsioni dettate dal menzionato Protocollo. Esso, però, incide profondamente sull’autonomia didattica, sull’organizzazione dei servizi, sullo stesso rapporto di impiego dei dipendenti, condizionando così in modo inaccettabile le libere scelte di chi voglia operare nel settore scolastico per l’infanzia. Per soprammercato, tale condizionamento è determinato da un atto (il Protocollo) che recepisce, oltre alla volontà dell’Ente Regionale, la privata volontà della FISM, e cioè di una associazione privata, che possiede una specifica connotazione ideale e culturale. Come nell’orwelliana fattoria degli animali, dunque, anche se formalmente tutti sono eguali, sostanzialmente alcuni operatori scolastici finiscono per essere più eguali degli altri”.
3) Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt 3 e 128 della Costituzione.
Si rileva come “nella denegata ipotesi che la prima parte della ricostruzione prospettata al paragrafo precedente venisse respinta, ritenendosi che la deliberazione impugnata non sia violativa della menzionata normativa regionale, i vizi di illegittimità lamentati nei confronti della deliberazione dovrebbero pienamente trasferirsi su quest’ultima, nella parte in cui consente all’Amministrazione Regionale di assumere provvedimenti così clamorosamente contrastanti con il principio di eguaglianza fra i privati e con il principio dell’autonomia degli enti locali.”
4) Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt.33, e 117 comma 1 della Costituzione.
Si rileva che “un vizio ancor più radicale affligge, però, il provvedimento impugnato. Esso risulta infatti (ancorché legittimamente (…) ) attuativo di una legge regionale (la l. reg. n.52 del 1995) della quale è evidente l’illegittimità costituzionale.
Fra le materie di competenza regionale di cui all’art.117 Cost., infatti, sono ricomprese l’istruzione artigiana e professionale e l’assistenza scolastica.
La materia “istruzione” in generale, invece, non è menzionata. A sua volta, il d.lgs. n.616/1997 non consente che si faccia confusione tra istruzione e assistenza scolastica”.
Si osserva come “appare chiaro che il legislatore regionale ha inteso, in violazione del dettato costituzionale, disciplinare proprio la materia istruzione, fuoriuscendo dai limiti ad esso assegnati, ed in particolare andando ben al di là della semplice “assistenza scolastica”.
Già la modificazione del titolo originario della l. reg. n.6 del 1983 è rivelatrice. Mentre (…) tale legge si intitolava semplicemente “Diritto allo studio”, il nuovo titolo è “Diritto allo studio e qualificazione del sistema integrato pubblico-privato delle scuole dell’infanzia”. Come risulta da tale formulazione letterale, il legislatore regionale ha inteso andare ben oltre il campo (…) della garanzia del diritto allo studio, invadendo quello della disciplina generale dell’istruzione. Tanto, oltretutto, con ambizioni di altissimo profilo: l’obiettivo è (…) la realizzazione di un sistema integrato delle scuole dell’infanzia basato sul progressivo coordinamento e sulla collaborazione fra le diverse offerte educative”, e il legislatore regionale mira alla “qualificazione di tali offerte, per “valorizzare competenze, risorse e soggetti pubblici e privati” (art.1, comma2, punto 2 bis, della l. reg. n.6 del 1989, nel testo introdotto dalla l. reg. n.52 del 1995). Le enormi ambizioni del legislatore regionale sono, comunque, ulteriormente (…) disvelate proprio dalle Premesse della proposta della Giunta Regionale recepita dall’atto di Protocollo d’intesa con la FISM e della risoluzione n.5172/5362, adottata dal Consiglio regionale in data 6 ottobre 1994. In quest’ultima, in particolare, il Consiglio regionale valuta “indifferibile un riordino strutturale e culturale che, ragionando in termini di “sistema”, abbia come obiettivi l’aumento dell’efficacia formativa e della scolarità come risorsa individuale e sociale”, e impegna la Giunta ad adottare interventi di qualificazione dell’intero sistema delle scuole dell’infanzia”, etc.. Cosa tutto questo abbia a che vedere con la materia “assistenza scolastica” non è dato comprendere.
Tutto l’impianto della legge n.52 del 1995, comunque, è radicalmente illegittimo, perché tutti gli interventi ivi previsti sono funzionalizzati al raggiungimento di tali obiettivi. E’ dunque questo un caso di illegittimità costituzionale di un intero testo legislativo, ipotesi che (…) secondo la giurisprudenza costituzionale, ricorre tutte le volte in cui il legame della legge sia tanto stretto che le singole norme risultano non autonome le une rispetto alle altre.”
5) Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale, in riferimento all’art.33, commi 1 e 3, della Costituzione.
Si rileva come “ulteriormente viziata da illegittimità costituzionale risulta peraltro la l.r. n.52 del 1995, e con essa la deliberazione impugnata, per violazione dell’art.33, c.3, della Costituzione, a tenor del quale “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato”, in combinato disposto con il comma 1 del medesimo art.33.
(…) è attualmente assai accesa la discussione sulle modalità di un possibile sostegno pubblico che favorisca la frequenza della scuola privata, senza modificare l’art.33, comma 4, Cost. (…) comunque, non si è andati oltre la proposta di un sostegno indiretto per le famiglie che indirizzino i propri figli alla scuola privata attraverso la detassazione delle loro spese scolastiche (cfr. ad es. l’art.9 del p.d.l. Camera, n.142), oppure quella di agevolazioni fiscali per il settore scolastico (cfr. ad es. l’art.8 p.d.l. del Senato, n.1339 o l’art.8 del p.d.l. Camera, n.2404).
Per la sua evidente contrarietà all’art.33, comma 3, Cost., invece, la proposta di finanziamenti diretti alla scuola privata non è stata avanzata in sede parlamentare.
In effetti, il dettato costituzionale non si presta ad equivoci. Come ha osservato la più autorevole dottrina costituzionalistica, l’art.33, comma 3, Cost., esclude “nei termini più larghi” che l’esercizio della (pur indiscutibile) libertà di istituire e gestire scuole private possa gravare sul bilancio dello Stato (…). Il divieto, peraltro, non riguarda solo lo Stato ma anche gli altri enti pubblici (…) fra i quali ovviamente le Regioni.
La logica della disposizione costituzionale è infatti quella che l’iniziativa privata nel settore scolastico non debba (…) essere compressa, ma non possa neppure essere sostentata da pubbliche risorse, chè altrimenti si stornerebbero fondi da impiegarsi per il necessario e imprescindibile intervento pubblico in materia, che è così vasto che lo Stato è tenuto ad istituire proprie scuole “per ogni ordine e grado” (artt.33, comma 2, Cost.).
Questo regime, del resto, è coerente con il principio di libertà che ispira tutta la normativa costituzionale in materia di scuola. Tale principio illumina tutto il settore: libertà di istituire scuole private; libertà di insegnamento; libertà degli studenti di formarsi i propri autonomi convincimenti, etc..
La preclusione del finanziamento pubblico non comprime, ma addirittura esalta la libertà, che (…) è inevitabilmente assoggettata a limiti e controlli quando la mano pubblica interviene per sostenerla finanziariamente (e la cosa, qui, si è puntualmente verificata, con il sistema degli “impegni” che le scuole private debbono assumere in sede di convenzione per poter poi godere del pubblico sostegno). Il divieto di finanziamento con pubblico danaro delle scuole private non è un limite, ma una vera e propria garanzia per la libertà (fondamentale) di istituirle.
Tutto questo è stato completamente dimenticato dal legislatore regionale, che ha tranquillamente previsto che i Comuni possano contribuire alla gestione delle scuole private, addossandosi “oneri per contributi di spesa corrente e di investimento” (art.10, penultimo comma, della l. reg. n.6 del 1983, nel testo introdotto dalla l. reg. n.52 del 1995), e che essi possano attivarsi per il “sostegno” delle scuole private (art.2, comma 1, lett. B), della l. reg. n.6 del 1983, nel testo introdotto dalla l. reg. n.52 del 1995).
Come si riconosce espressamente nel provvedimento impugnato (v. la parte dell’All. A nella quale si definisce la fascia dei Comuni “B”), gli oneri finanziari che la legge regionale consente ai Comuni di assumere in materia scolastica sono diretti in favore delle scuole private. In questo modo, e in considerazione dell’enorme vastità degli obiettivi degli interventi di sostegno (ciò che si evince dall’ampiezza dei temi oggetto della convenzione-tipo), si chiarisce che il finanziamento pubblico non riguarda i soli studenti (o le loro famiglie) per consentire che tutti, anche coloro che si rivolgono alla scuola privata siano posti in condizioni di godere effettivamente del diritto allo studio. Esso si rivolge invece (addirittura primariamente) agli istituiti privati, e vale a sostenere direttamente la loro “gestione.”
La parte ricorrente ha conclusivamente richiesto l’annullamento degli atti impugnati, “eventualmente sollevando in via pregiudiziale questione incidentale di legittimità costituzionale della l. reg. Emilia Romagna n.6 del 1983, per come modificata dalla l. reg. n. 52 del 1995, in riferimento agli artt.3, 33, commi 1 e 3; 34; 117, comma 1, e 128 della Costituzione.”
L’Amministrazione regionale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili (mancata notifica alla controinteressata Federazione Italiana Scuole Materne – Emilia Romagna; carenza di interesse).
Con sentenza parziale 1.4.1997 n.191, questa Sezione ha in parte accolto il ricorso (con riferimento alla prima censura), in parte dichiarato inammissibile il medesimo, con riferimento alla seconda e terza censura, per mancata notifica alla FISM Emilia Romagna quale controinteressata unicamente in relazione a tali specifici profili di gravame) ed infine rinviato alla Corte Costituzionale, con separata ordinanza, la questione di legittimità costituzionale della L. R. 28.9.95 n.52 in relazione agli artt. 33, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, della costituzione (quarta e quinta censura).
Con ordinanza 17.3.1998 n.67, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dianzi indicata, sotto il profilo della carenza di motivazione sulla rilevanza della questione medesima.
Con successive memorie in data 3 e 9.10.1998 le parti hanno ulteriormente delineato le rispettive argomentazioni.
La Sezione ha nuovamente rinviato alla Corte Costituzionale, con ordinanza n.1 del 21.4.2000 la questione di legittimità costituzionale della legge regionale n.52 del 1995 per contrasto con gli artt.33, primo, secondo e terzo comma e 117, primo comma della Costituzione, sospendendo nelle more del giudizio incidentale di costituzionalità ogni definitiva decisione nel merito.
La Corte Costituzionale, con ordinanza n.346 del 5.11.2001, ha dichiarato nuovamente la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale rimessa al suo esame.
Successivamente il Consiglio di Stato con sentenza n.880 del 14.2.2002 ha accolto l’appello proposto dalla Regione Emilia Romagna ed ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado con riferimento alla prima censura dedotta che era stata accolta dal T.A.R. con la sentenza di primo grado n.191 del 1997 appellata, rilevando che rimane impregiudicato l’ulteriore corso del giudizio avuto riguardo al quarto e quinto motivo del ricorso originario.
La causa è stata nuovamente trattenuta in decisione all’odierna udienza del 18.10.2007.

DIRITTO

La complessa vicenda processuale assume una nuova configurazione a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n.880 del 14.2.2002.
Per effetto di detta decisione risultano definiti, con la forza e gli effetti del giudicato, alcuni aspetti del contendere.
In primo luogo va osservato che permane un concreto interesse alla decisione finale. Come rilevato dal Consiglio di Stato con la citata sentenza n.880 del 14.2.2002 “anche se l’erogazione dei contributi in contestazione si riferisce all’anno scolastico 1995, l’amministrazione ha interesse a che si riconosca la legittimità del proprio operato onde evitare, da un lato il recupero delle somme indebitamente erogate ed il connesso contenzioso, dall’altro di dover mutare, per il futuro, i propri indirizzi di politica legislativa”.
Il T.A.R. con la sentenza n.191 del 1.7.1997, aveva dichiarato inammissibile la seconda e terza censura ed il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza per questo aspetto.
Il T.A.R. con la sentenza n.191 del 1.7.1997 aveva accolto la prima censura dedotta, rivolta contro la deliberazione regionale n.97 del 1995, ravvisandone il contrasto con l’art.5 della legge regionale n.52 del 1995 e sollevato, con separata ordinanza, la questione di legittimità costituzionale sulle norme di legge regionale che prevedono la possibilità di erogare finanziamenti alle scuole private, rilevante con riferimento al quarto e quinto motivo di ricorso.
Per quanto concerne la prima censura il Consiglio di Stato con la citata decisione n.880/2002, in riforma della sentenza del T.A.R. 19.1.1997, ha rilevato l’inammissibilità dell’impugnativa proposta. Il Consiglio di Stato ha rilevato che l’interesse principale dei ricorrenti è quello di paralizzare ab imis la possibilità di finanziamento alle scuole private e, pertanto, i ricorrenti, costituiti da alcune confessioni religiose e da un comitato cittadino, si trovano in una situazione di indifferenza per quanto concerne la prima censura che riguarda la contestazione sulle concrete modalità di riparto dei fondi.
Per quanto concerne, invece, la quarta e quinta censura dedotta, con le quali si prospetta l’illegittimità costituzionale della legge regionale applicata con gli atti impugnati, il Consiglio di Stato con la sentenza n.880 del 2002, ha definitivamente accertato la legittimazione ad agire dei ricorrenti “in quanto gli atti impugnati ledono in via immediata e diretta la loro sfera giuridica”.
In definitiva, come precisato anche dalla sentenza del Consiglio di Stato n.880/2002, il presente giudizio va definito avuto riguardo al quarto e quinto motivo del ricorso originario, essendo preclusa ogni ulteriore questione con riferimento ai primi tre motivi di ricorso.
Ciò premesso va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge regionale dell’Emilia Romagna n.52 del 24.4.1995.
Vero è che per due volte la Corte Costituzionale con ordinanza n.67 del 17.3.1998 e con ordinanza n.346 del 2001 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale già sollevata sotto il profilo esclusivo della carenza di motivazione in ordine alla rilevanza della questione medesima ai fini della decisione della presente controversia.
Tuttavia, le predette pronunce della Corte Costituzionale hanno entrambe una valenza meramente processuale e non di merito e, pertanto, non precludono, per la loro natura non specificamente decisoria, la riproposizione della suindicata questione di legittimità costituzionale (in tal senso vedi, per tutte, Corte Cost. dec. 19-27 luglio 1989, n.451).
Del resto proprio l’ordinanza n.346 del 2001 avendo dichiarato manifestamente inammissibile la questione per difetto di motivazione dell’ordinanza di rimessione per quanto concerne la rilevanza della stessa nel giudizio a quo, ne ha logicamente presupposto la sua astratta riproponibilità.
Nel concreto, poi, la questione di legittimità costituzionale della citata legge regionale n.52 del 24.4.1995 è divenuta rilevante al fine di decidere la presente controversia, per effetto della citata sentenza del Consiglio di Stato n.880/2002.
Infatti, come sopra evidenziato il ricorso introduttivo era costituito da cinque censure.
La seconda e la terza sono state dichiarate inammissibili con la sentenza di questo TAR n.191 del 1997, confermata sul punto dal Consiglio di Stato, mentre la prima censura dedotta, accolta in primo grado, è stata dichiarata inammissibile in sede di appello dal Consiglio di Stato. Quindi, le prime tre censure, per effetto delle citate sentenze sono state dichiarate inammissibili con decisioni passate in giudicato.
Come evidenziato anche dal Consiglio di Stato al punto 6 della citata sentenza n.880/2002 “rimane impregiudicato l’ulteriore corso del giudizio di primo grado avuto riguardo al quarto e quinto motivo di ricorso”.
In definitiva il ricorso in parola è oggi pendente soltanto con riferimento alla quarta e quinta censura dedotte con il ricorso originario ed in entrambe si prospettano soltanto, sia pure per profili diversi, questioni di legittimità costituzionale della legge regionale n.52 del 1995.
Pertanto, o la legge regionale suddetta è conforme alla Costituzione ed allora il ricorso dovrà essere automaticamente respinto o la questione di legittimità costituzionale è fondata ad allora il ricorso sarà automaticamente accolto.
Vero è che la Corte Costituzionale con l’ordinanza n.346 del 5-6 novembre 2001 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge regionale 52 del 1995, già sollevata nel presente giudizio, tuttavia detta pronuncia di puro rito si basava sulla circostanza che il ricorso di primo grado era già stato accolto con riferimento alla prima censura dedotta e che il giudice a quo “avrebbe dovuto dar conto del fatto che non si fosse ormai esaurito il suo potere decisorio, rimanendo come unico oggetto del giudizio le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti”.
Orbene, avendo il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n.880 del 2002, in riforma della sentenza di questo T.A.R. n.191 del 1997, dichiarato inammissibile anche l’impugnativa della prima censura si è ora processualmente verificato proprio quanto rilevato dalla stessa ordinanza della Corte Costituzionale n.346 del 2001.
Infatti, il presente giudizio non può che essere definito sulla base della questione di legittimità costituzionale prospettata nella quarta e quinta censura del ricorso introduttivo.
Ciò è confermato, in via definitiva, dalla stessa sentenza del Consiglio di Stato n.880 del 2002 la quale al punto 6 ha precisato che “rimane impregiudicato l’ulteriore corso del giudizio di primo grado avuto riguardo al quarto e quinto motivo di ricorso originario” statuendo, pertanto che non si è esaurito il potere decisorio di questo giudice il cui concreto esercizio, in senso favorevole o sfavorevole ai ricorrenti, dipenderà esclusivamente dalla fondatezza o meno della questione di legittimità costituzionale prospettata con la quarta e quinta censura.
Pertanto la questione di legittimità costituzionale della legge regionale n.52 del 1995 è rilevante al fine di decidere definitivamente la presente controversia.
Quanto alla non manifesta infondatezza va osservato che la parte ricorrente delinea, con la quarta e quinta censura, la illegittimità derivata dell’impugnata delibera per l’asserita incostituzionalità della L.R. n.52 del 1995 nel suo complesso a causa dello stretto legame intercorrente tra le norme della stessa, per violazione degli artt. 33 e 117 primo comma della Costituzione, nel testo vigente prima della riforma del titolo V della Costituzione.
Si afferma, in particolare, che il legislatore regionale – fuoriuscendo dall’ambito della competenza assegnatagli dalla Costituzionale, che limita il suo intervento all’assistenza scolastica ed all’istruzione artigiana e professionale – ha inteso disciplinare la materia dell’istruzione. Di ciò si avrebbe conferma dallo stesso titolo della legge in esame (“diritto allo studio e qualificazione del sistema integrato pubblico – privato delle scuole dell’infanzia”) sostitutivo del precedente titolo della L.R. n.6/1983 (“diritto allo studio”) di cui la prima costituisce integrazione ed ampliamento.
Il legislatore regionale inoltre – mediante il riconoscimento di contributi di spesa corrente e di investimento a sostegno diretto delle scuole private d’infanzia e della loro gestione – avrebbe manifestamente violato la disposizione di cui all’art.33, terzo comma, della Costituzione che riconosce bensì ad enti e privati il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, purchè senza oneri per lo Stato.
Il Collegio ritiene che tale questione di legittimità costituzionale non sia manifestamente infondata in entrambi i profili dianzi indicati, per le considerazioni che seguono.
Quanto al profilo relativo all’asserita illegittimità costituzionale della legislazione regionale di riferimento per violazione dell’art.117, primo comma, della Costituzione, va preliminarmente rilevato che quest’ultima norma include fra le materie di competenza legislativa regionale, tra le altre, l’istruzione artigiana e professionale e l’assistenza scolastica. Ciò posto, appare evidente come la materia in esame non riguardi né l’uno nè l’altro comparto. In particolare, per quanto attiene al comparto dell’assistenza scolastica, il D.P.R. 24 luglio 1977 n.616 – all’art.42 – stabilisce che “le funzioni amministrative relative alla materia (…) concernono tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private, (…) l’assolvimento dell’obbligo scolastico nonché, per gli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi, la prosecuzione degli studi”. Ne discende che l’assistenza scolastica è materia distinta, ancorché collegata strettamente a quella dell’istruzione, poiché essa attiene all’insieme di misure e provvidenze dirette a facilitare, per poterlo rendere effettivo, il diritto allo studio nel suo fondamento materiale (Corte Costituzionale, dec. 22 gennaio 1982 n.36, in motivazione; Id., dec 1 febbraio 1967 n.7; Id. dec. 2 luglio 1968 n.106). Essa, pertanto, riguarda esclusivamente l’erogazione di sussidi e provvidenze direttamente a favore degli alunni, mentre invece nel caso in esame la Legge Regionale n.52/1995 prevede l’erogazione di un sostegno finanziario, mediante contributi di spesa corrente e di investimento, direttamente a favore delle scuole private d’infanzia (art.3 e 5 L. cit.).
Né le provvidenze ed i sussidi previsti dalla Legge Regionale in esame potrebbero rientrare – diversamente da quel che opina l’Amministrazione resistente (v.allegato n.2 alla memoria 3.10.1998) – nell’ambito della materia della beneficenza pubblica, anch’essa ricompresa dall’art.117, primo comma, tra le materie di competenza legislativa regionale. Il D.P.R. 24 luglio 1997 n.616 – all’art.22 – stabilisce infatti che “le funzioni amministrative relative alla materia (…) concernono tutte le attività che attengono, nel quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione ed erogazione dei servizi gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche, sia in denaro che in natura, a favore dei singoli, o di gruppi, qualunque sia il titolo in base al quale sono individuati i destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza a categorie determinate “e – nel successivo art.23 (“specificazione”) – precisa che “sono comprese nelle funzioni amministrative di cui all’articolo precedente le attività relative: a) all’assistenza economica in favore delle famiglie bisognose dei defunti e delle vittime del delitto; b) all’assistenza post-penitenziaria; c) agli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell’ambito della competenza amministrativa e civile; d) agli interventi di protezione speciale di cui agli artt. 8 e ss. della legge 20 febbraio 1958 n.75”.
Ne discende che la materia predetta ha direttamente per destinatari persone fische – come singoli o per gruppi e categorie – in condizioni di rilevante disagio sociale ed ha conseguentemente caratteri costitutivi fortemente differenziati rispetto ad un intervento legislativo regionale – quale quello in esame – diretto ad assicurare invece sostegno finanziario in via continuativa sotto forma di contributi di spesa corrente e di investimento a favore delle scuole private d’infanzia e comunque indipendentemente dalle condizioni di bilancio di queste ultime.
Va anche aggiunto che lo stesso Statuto della Regione Emilia Romagna, vigente al momento di emanazione della legge n.52 del 1995, collegava le residuali competenze regionali in materia scolastica alla finalità esclusiva di “rendere effettivo il diritto allo studio ed alla cultura fino ai livelli più alti (art.2, comma 3, lett.e).
Il Collegio rileva, pertanto, che l’intervento legislativo regionale in oggetto non appare rientrare in alcuna delle materie riservate alla competenza regionale dall’art.117, primo comma, della Costituzione, nel testo vigente prima della riforma del titolo V della stessa.
Ma vi è di più. Tale intervento legislativo – nel perseguire espressamente “l’obiettivo di realizzare un sistema integrato delle scuole dell’infanzia basato sul progressivo coordinamento e sulla collaborazione fra le diverse offerte educative, in una logica di qualificazione delle stesse che sappia valorizzare competenze, risorse e soggetti pubblici e privati” (art.2 L. R. 52/1995) – attiene specificamente alla materia dell’istruzione che era preclusa alla competenza regionale (ad eccezione dell’istruzione artigiana e professionale) dall’art.117, primo comma, della Costituzione ed era invece riservata allo Stato (a cui spetta dettare le norme generali sull’istruzione) dall’art.33, secondo comma, della Costituzione.
Che la disciplina concernente le scuole dell’infanzia attenga specificamente alla materia dell’istruzione, appare discendere – ad avviso del Collegio – da una molteplicità univoca di elementi di valutazione.
Sin dalla L. 24 luglio 1962 n.1073 (avente ad oggetto “provvedimenti per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962 al 1965”) si fa espressamente menzione – al titolo II, artt.31 e ss. – “di provvidenze per lo sviluppo di particolari istituzioni scolastiche”, includendovi il complesso delle scuole materne statali e non (art.31) oltre che altri istituti scolastici come le scuole speciali per minorati psicofisici e per la rieducazione sociale e le classi differenziali presso le scuole comuni (art. 32,) i corsi della scuola popolare contro l’analfabetismo e per l’educazione degli adulti (art.36), ecc..
Successivamente, la L. 18 marzo 1968 n.444 (in tema di “ordinamento della scuola materna statale”) prescrive che tale scuola “si propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione alla frequenza della scuola dell’obbligo, integrando l’opera della famiglia” (art.1, secondo comma) e che “gli orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali sono emanati (…) su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, sentita la terza sezione del Consiglio superiore della pubblica istruzione” (art. 2 cpv); inoltre “è garantita ad ogni insegnante piena libertà didattica nell’ambito degli orientamenti educativi previsti dal precedente comma” (art.2, secondo comma).
Ed ancora il D.lgs. 16 aprile 1994 n.297 (in tema di “approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni grado”) nel confermare le disposizioni generali dianzi indicate, include espressamente il titolo relativo alla scuola materna (artt. 99 e ss.) nell’ambito della parte II relativa all’ordinamento scolastico, su proposta del Ministero della Pubblica Istruzione ed acquisito il parere delle competenti Commissioni permanenti della Camera dei Deputati e del Senato.
Infine, il D.M. 3 giugno 1991 – adottato dal Ministro della Pubblica Istruzione, udito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione – nel definire gli orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali, rileva nella premessa come “la legge n. 444/1968 ha consentito (…) una più definita consapevolezza delle funzioni della scuola materna, che si configura ormai come il primo grado del sistema scolastico” e nella parte II (“il bambino e la sua scuola”) riconosce che “la scuola dell’infanzia concorre, nell’ambito del sistema scolastico”, a promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini dai tre ai sei anni, nella prospettiva della formazione di soggetti liberi, responsabili ed attivamente partecipi”.
Conclusivamente sul punto, ritiene dunque il Collegio che la finalità costitutiva di formazione della personalità degli allievi, la connessa libertà di insegnamento dei docenti e la stessa definizione degli orientamenti educativi da parte degli organi interni del Ministero funzionalmente competente in materia concorrano univocamente al riconoscimento che qualsiasi normativa direttamente attinente all’attività e gestione delle scuole dell’infanzia si configura necessariamente come normativa in materia di istruzione, come tale preclusa (nel comparto in esame) alla competenza legislativa regionale dall’art. 117 primo comma della Costituzione, antecedentemente alla riforma del titolo V della Costituzione.
Quanto, infine, al profilo relativo all’asserita illegittimità costituzionale della legislazione regionale di riferimento per violazione degli artt 33, primo e terzo comma della Costituzione, va preliminarmente rilevato che tali disposizioni stabiliscono da un lato il principio della libertà di insegnamento e dall’altro il principio della libertà di istituzione di scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato.
Ciò posto, ritiene il Collegio che – rientrando le scuole d’infanzia nell’amplissima nozione costituzionale dianzi indicata e relativa al complesso sia delle scuole sia degli istituti di educazione, per le considerazioni sopra indicate e per la connotazione specificamente formativa della personalità, e quindi educativa, che le scuole d’infanzia necessariamente possiedono – la previsione di un sostegno finanziario direttamente a favore delle scuole d’infanzia private per contributi di spesa corrente e di investimento, come previsto dagli artt.3 e 5 L. r. n.52/1995, appaia in contrasto con il divieto costituzionale di oneri finanziari in materia a carico del bilancio pubblico. Un divieto che – secondo l’orientamento della Corte Costituzionale (dec. 20 dicembre 1994 n.454, in motivazione) – non risulta violato unicamente nell’ipotesi in cui la prestazione pubblica di sostegno abbia come destinatari diretti gli alunni e non le scuole private.
Inoltre ritiene il Collegio che ogni contribuzione pubblica – ove rivolta direttamente a favore della gestione di scuole ed istituti di educazione privati – contenga il rischio elevato di una ingerenza sull’organizzazione della scuola stessa.
E più la contribuzione concessa è significativa – nel caso in esame l’impugnata delibera regionale prevede uno stanziamento annuale a tal fine di £ 3.000.000.000 (tre miliardi) – tanto maggiore sarà il rischio sopraindicato, nel senso che il necessario controllo sulle concrete modalità d’uso delle risorse pubbliche assegnate, ancorché formalmente rivolto a profili estranei all’insegnamento può nella sostanza condizionare, ove particolarmente penetrante, anche quest’ultimo, come già rilevato nelle precedenti ordinanze di rimessione 1.4.1997 n.1 e 21.4.2000, n.1 di questa Sezione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna – Sede di Bologna, Sezione Seconda, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt.33, primo, secondo e terzo comma e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultima nel testo vigente anteriormente alla riforma del titolo V della Costituzione operato con la legge costituzionale n.3/2001, la questione di legittimità costituzionale della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n.52 del 24 aprile 1995.

Ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, e dispone che – a cura della Segreteria della Sezione – la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente della Giunta Regionale dell’Emilia Romagna, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Consiglio Regionale della medesima Regione e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Così deciso in Bologna, il giorno 18.10.2007.
G. Mozzarelli Presidente
U. Di Benedetto Consigliere Rel.Est.

Depositata in Segreteria ai sensi dell’art.55 L. 18/4/82, n.186.
Bologna, li 10.03.2008