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    Ordinanza 16 gennaio 2003, n.3661

    Responsabilità per danno erariale dei componenti del consiglio di amministrazione di una IPAB

    Data: 16 gennaio 2003
    Autore:
    Corte di Cassazione - Civile
    Argomento:
    Ipab
    Nazione:
    Italia
    Parole chiave:
    Ipab, Amministrazione, Contrattazione collettiva, Enti privati, Enti di assistenza, Personale dipendente, Impiegati civili dello Stato
    Non viola i limiti esterni della giurisdizione contabile la pronuncia con la quale la Corte dei conti abbia condannato al risarcimento del danno erariale i componenti del consiglio di amministrazione di una Ipab esercitante la propria attività in una limitata parte del territorio locale nazionale (nella specie, "Oasi" di Verona), atteso che l'art. 58 della legge n. 142 del 1990 (estensivo della disciplina della responsabilità amministrativa degli impiegati civili dello Stato anche ai dipendenti ed agli amministratori degli enti locali) deve intendersi riferito a tutti gli enti locali e non soltanto a quelli territoriali, salva prova (del tutto assente nel caso di specie) della natura e qualità di ente privato dell'istituzione "de qua".

    Corte di Cassazione. Sezioni Unite Civili. Ordinanza 16 gennaio 2003, n. 3661: “Responsabilità per danno erariale dei componenti del consiglio di amministrazione di una IPAB”.

    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    Dott. Vincenzo CARBONE – Primo Presidente f. f.-
    Dott. Vittorio DUVA – Presidente di sezione –
    Dott. Paolo VITTORIA – Consigliere –
    Dott. Antonino ELEFANTE – Consigliere –
    Dott. Alessandro CRISCUOLO – Consigliere –
    Dott. Vincenzo PROTO – Consigliere –
    Dott. Michele VARRONE – Consigliere –
    Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Consigliere –
    Dott. Stefanomaria EVANGELISTA – Rel. Consigliere –

    ha pronunciato la seguente

    ORDINANZA

    sul ricorso proposta da:

    BERNARDI GIOVANNI, CASTAGNARO ANTONIO, COCCO CAMILLO, MAFFICINIRICCARDO, MASTELLA MARIA, elettivamente domiciliati in ROMA LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato PAOLO VAIANO,che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELA BACCOMO,giusta delega a margine del ricorso;
    ricorrenti

    contro

    PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI, domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;
    controricorrente

    avverso la sentenza n. 99-00 della Corte dei Conti di ROMA, depositata il 23-03-00;
    udito l’avvocato Donella RESTA, per delega dell’avvocato Paolo VAIANO;
    udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il16-01-03 dal Consigliere Dott. Stefanomaria EVANGELISTA;
    lette le conclusioni scritte dal sostituto Procuratore Generale Dott.Antonio Martone, il quale chiede per l’inammissibilità del ricorso.

    Fatto

    che, con sentenza. n. 99 del 23 marzo 2000, la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale, ha rigettato l’appello proposto da Giovanni Bernardi, Antonio Castagnaro, Camillo Cocco, Riccardo Mofficini e Maria Mostella contro la sentenza della stessa Corte, Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, recante la condanna di questi ultimi, quali componenti del consiglio di amministrazione dell’I.P.A.B. “OASI” – Ente Opere di Assistenza e Servizi Integrati – di S. Bonifacio (Verona), al pagamento, in favore della stesso Ente, della somma di lire 10.000.000, oltre interessi, per danno erariale prodotto attraverso l’erogazione di retribuzioni non dovute al personale dipendente;
    che, in particolare, la ragione della responsabilità dei sunnominati amministratori è stata ravvisata nell’avere essi attribuito a taluni lavoratori qualifiche dirigenziali, con provvedimenti illegittimi, in quanto contrastanti con l’art. 2 del D.P.R. 25 giugno 1983, n. 347, di ricezione del C.C.N.L. per il personale dipendente dagli enti locali;
    che contro questa sentenza gli stessi amministratori propongono, previa istanza cautelare di sospensione dell’esecuzione, ricorso per cassazione, denunciando violazione delle norme costituzionali sul giusto processo, nonché “difetto di giurisdizione sull’interpretazione autentica delle norme contrattuali de quo ex art. 12 dPR. 347-83”;

    Diritto

    che, mentre il primo profilo di censura, dichiaratamente propone questioni in nessun modo riconducibili a quelle di giurisdizione, contemplate dall’art. 37 cod. proc. civ., mentre il secondo profilo, come sopra testualmente riferito, ancorché formalmente richiamando questioni di quest’ultima specie, risulta, nei contenuti, a sua volta, tale da investire il merito della controversia e non il problema dei limiti esterni posti alla giurisdizione contabile;
    che, in effetti, come chiariscono i ricorrenti, il senso delle loro censure si compendia nel rilievo dell’errore nel quale la Corte dei conti sarebbe incorsa col ritenere che ai dipendenti della I.P.A.B. si applichi la contrattazione collettiva per il comparto degli enti locali, di cui al d.P.R. 25 giungo 1983, n. 347;
    che, per contro, il sindacato delle Sezioni unite della Corte di cassazione sulle decisioni della Corte dei conti è circoscritto al controllo dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo; ovvero all’esistenza dei vizi che attengono all’essenza della funzione giurisdizionale, e non al modo del suo esercizio, cui attengono, invece, gli errori “in iudicando” o “in procedendo” (v., fra le tante conformi e da ultima, Cass., sez. un., 12 giugno 1999; n. 325; Id., 24 marzo 1999, n. 41; Id., 12 giugno 1998, n. 556; Id., 26 agosto 1998, n. 8449; ecc.);
    che, pertanto, le sopra sintetizzate censure non si iscrivono nei testè indicati confini dell’area di ricorribilità per cassazione avverso le sentenze del giudice speciale;
    che, una questione di violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile non è prospettabile nemmeno in relazione alla natura giuridica dell’ente al quale è stato cagionato il danno sul cui risarcimento ha deliberato la semenza impugnata, perché, trattandosi di ente che svolge attività di rilevanza locale e ricorrendo la condizione della posteriorità dell’attività lesiva all’entrata in vigore della legge n. 142 del 1990, trova applicazione l’art. 58 della medesima legge, il quale, nell’estendere ai dipendenti ed agli amministratori degli enti locali la disciplina della responsabilità amministrativa (per dolo colpa) degli impiegati civili dello Stato, deve intendersi riferito a tutti gli enti locali, non solo a quelli territoriali (Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11298);
    che, in senso contrario alle attinte conclusioni, non è invocabile neanche il principio delta non necessità della natura pubblica delle I.P.AB; se è vero, infatti, che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 396 del 1988 – dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1 legge n. 6972 del 1890 (*) sulle istituzioni di assistenza e beneficenza, nella parte in cui non prevede che queste istituzioni, ove regionali ed infraregionali, possano avere e conservare la qualità di enti privati (anziché pubblici) – la natura pubblica o privata di una delle predette istituzioni deve essere accertata, di volta in volta, dall’autorità giudiziaria adita, facendo ricorso ai criteri di distinzione tradizionalmente indicati dalla giurisprudenza, indipendentemente dalle denominazioni assunte dagli enti e dalla stessa volontà dei loro organi direttivi (Cass., sez. un., 7 maggio 1998, n. 4631; Id., 15 marzo 1999, n. 139; Id., 22 luglio 1999, n. 492; ecc.), non è men vero che nella specie nessuno degli elementi identificativi della natura privata (secondo il sistema delineabile, ratione temporis, alla stregua del d.P.C.M. 16 febbraio 1990) dell’istituzione di cui trattasi è stato allegata dai ricorrenti, mentre gli effetti dell’eventuale privatizzazione derivante dal d. Igs. 4 maggio 2001, n. 207 (recante il “Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a norma dell’art. 10 della legge 8 novembre 2000, n. 328”), non potrebbero comunque, avere influenza nel presente procedimento, trattandosi di disposizioni sopravvenute all’esercizio dell’azione e quindi inidonee, giusta il principio di perpetuatio di cui all’art. 5 cod. proc. civ., a sottrarre la causa al giudice titolare della giurisdizione al momento dell’introduzione del giudizio (Cass., sez. un., 6 maggio 2002, n. 6487; Id., 19 febbraio 2002, n. 2415; Ida, 8 agosto 2001, n. 10963; ecc.), che, in conclusione, il ricorso si manifesta inammissibile, conformemente alle conclusioni del Procuratore generale;
    che non v’è luogo a condanna, dei ricorrenti al rimborso di spese processuali, attesa la particolare natura dell’organo resistente, ossia del Procuratore generale della Corte dei conti, il quale, ai fini del regolamento delle spese stesse, non può essere equiparato ad una parte in senso sostanziale, poiché, anche nei giudizi di responsabilità da lui iniziati, egli esercita una legittimazione processuale che non si riconduce a quella dell’amministrazione danneggiata e non è quindi inquadrabile nello schema della rappresentanza, ma in quello dell’adempimento di un dovere impostogli quale tutore imparziale della legge;

    P.Q.M

    La Corte, a sezioni unite, dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.

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